Il buon grano. Bene e male convivono e non sempre siamo capaci di scegliere con giustizia e in carità

La zizzania, afferma il Papa, “riassume tutte le erbe nocive, che infestano il terreno”.

Il buon grano. Bene e male convivono e non sempre siamo capaci di scegliere con giustizia e in carità

Bene e male convivono nella storia dell’umanità, ma in questa domenica la pagina di Matteo ci propone un volto del Signore dove la mitezza è la misura del suo agire: il Dio misericordioso lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, come leggiamo nel Salmo.
Quotidianamente, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, siamo testimoni di questo scontro tra bene e male: la violenza, l’ipocrisia, la prepotenza. Nel dopo Angelus, Francesco ha un pensiero, “in questo tempo in cui la pandemia non accenna a arrestarsi”, per quanti stanno affrontando la malattia e le sue conseguenze, soprattutto coloro che vivono in zone di conflitto. Così, ricordando la risoluzione dell’Onu, rinnova “l’appello ad un cessate-il-fuoco globale e immediato, che permetta la pace e la sicurezza indispensabili per fornire l’assistenza umanitaria necessaria”. Chiede anche una “soluzione pacifica e duratura” delle tensioni “tra Armenia e Azerbaijan”.

Bene e male, dunque, convivono e non sempre siamo capaci di scegliere con giustizia e in carità. Matteo, nel suo Vangelo, ci propone tre parabole – il granello di senape, piccolissimo, ma grande nella sua crescita; la forza nascosta del lievito; l’attesa paziente del bene anche se assediato dalla zizzania – che evidenziano la mitezza e la misericordia dell’agire del Signore con gli uomini; la pazienza, anzi dello scandalo della pazienza di Dio che lascia che il male cresca accanto al bene: la zizzania in mezzo al grano. Le parabole evangeliche, ricordava Benedetto XVI, sono un modo il Signore indica “il vero fondamento di tutte le cose”; Dio “che agisce e entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano”, come scrive nel primo libro dedicato a Gesù di Nazaret.
Francesco si sofferma, all’Angelus, sulla parabola della zizzania: Dio che giudica per mezzo della sua parola, ma che non separa gli uomini, pur conoscendo la storia di ognuno. Una lezione anche per noi: possiamo parlare di bene e male ma non possiamo giudicare, dividere il buono dal cattivo. La zizzania, afferma il Papa, “riassume tutte le erbe nocive, che infestano il terreno”. Anche oggi, aggiunge, il terreno “è devastato da tanti diserbanti e pesticidi, che alla fine fanno pure male sia all’erba, che alla terra e alla salute”.

I servi vorrebbero strappare subito la zizzania, il Padrone chiede invece di aspettare la mietitura: allora separeranno il grano dalla zizzania, bruciando la seconda. La presenza della divisione, dell’odio nel campo, il mondo, accanto all’uomo giusto: Gesù non strappa la zizzania, non caccia Giuda dai dodici ma anzi si china e gli lava i piedi; non interviene per impedirgli di compiere fino in fondo il suo tradimento, ma lo lascia nella sua libertà e lo chiama amico. Ecco l’infinita pazienza del Signore che può cambiare il cuore dell’uomo.
Il padrone, il Signore, agisce “apertamente, alla luce del sole”; l’avversario, il diavolo, “approfitta dell’oscurità della notte, e opera per invidia, per ostilità, per rovinare tutto”. Il suo intento, dice il vescovo di Roma, è intralciare l’opera della salvezza: “il buon seme e la zizzania rappresentano non il bene e il male in astratto, ma noi esseri umani, che possiamo seguire Dio oppure il diavolo”. Ricorda Francesco: “è sempre seminare il male che distrugge. E questo lo fa sempre il diavolo, o la nostra tentazione: quando cadiamo nella tentazione di chiacchierare per distruggere gli altri”.

Certo il male va rigettato dice il Papa, “ma i malvagi sono persone con cui bisogna usare pazienza. Non si tratta di quella tolleranza ipocrita che nasconde ambiguità, ma della giustizia mitigata dalla misericordia. Se Gesù è venuto a cercare i peccatori più che i giusti, a curare i malati prima ancora che i sani, anche l’azione di noi suoi discepoli dev’essere rivolta non a sopprimere i malvagi, ma a salvarli. E lì, la pazienza”.
Il campo senza erbacce, il buon grano. Due modi di “agire e di abitare la storia”. Il Signore, dice il Papa, “ci invita ad assumere il suo stesso sguardo, quello che si fissa sul buon grano, che sa custodirlo anche tra le erbacce. Non collabora bene con Dio chi si mette a caccia dei limiti e dei difetti degli altri, ma piuttosto chi sa riconoscere il bene che cresce silenziosamente nel campo della Chiesa e della storia, coltivandolo fino alla maturazione”.

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Fonte: Sir