La terza domenica di Pasqua. Chi di noi non è mai stato sconvolto e pieno di paura?

La fede in Cristo è l’incontro con un Uomo che con il suo amore ha vinto la morte per sempre, ma non evitandola, quanto piuttosto passandoci attraverso

La terza domenica di Pasqua. Chi di noi non è mai stato sconvolto e pieno di paura?

Possiamo credere che il tempo di Pasqua sia “solo” un tempo di gioia, ma se leggiamo con attenzione il Vangelo che è stato proclamato nella liturgia domenicale di ieri (Lc 24, 35-48) ci accorgiamo che, in realtà, per i discepoli – e quindi per tutti noi – è anche un tempo particolarmente drammatico. C’è ancora una grande paura: la paura di fare tutti la stessa fine del Maestro: essere arrestati, torturati e uccisi in croce. I Dodici hanno investito tutto su quell’uomo, hanno creduto davvero alle sue parole e hanno lasciato ogni cosa per seguirlo. I loro affetti, le loro ricchezze materiali, poche o tante che fossero, i loro progetti, grandi e piccoli. Chi come Pietro era un pescatore e aveva la sua famiglia, chi come Matteo faceva l’esattore delle tasse e di certo se la passava bene, anche se sulla pelle degli altri… Tutti, comunque, avevano fatto una scelta radicale e irreversibile e adesso? Adesso con la morte ignominiosa e tragica di Gesù, tutto si è sgretolato e nel loro cuore smarrito c’è solo un tremendo buio. Affogano nel non senso e, probabilmente, hanno perso fiducia anche gli uni negli altri, visto che Pietro stesso – che Gesù ha indicato, alla presenza di tutti, come suo erede spirituale – pur di salvare la pelle, ha ripetutamente negato la sua identità. Che fare, se non nascondersi? Che fare, se non cercare di pregare ad occhi chiusi che tutto questo finisca presto e vi sia una via di fuga? Altro che Messia! Altro che Regno! È già tanto se gli apostoli non bestemmiano; ma di certo non hanno nessuna forza e volontà per coltivare alcuna memoria di futuro, ovvero quell’alchimia di speranza e coraggio che dovrebbe fargli ricordare le parole e i gesti del loro Signore, affinché possano costruire un domani per loro e per quelli a cui porteranno la buona notizia del Vangelo. Con questo macigno sul cuore – pesante come la pietra del sepolcro che le donne hanno visto rovesciata: ma non sarà stato solo un sogno? – gli apostoli sono raggiunti dai due discepoli che, andando verso il villaggio di Emmaus, hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Proprio dove due (o più) trovano la forza di parlare del Signore, anche se la situazione – qualunque situazione – sembra un tunnel di cui non si vede la fine o un vicolo cieco che ha in fondo solo un muro senza alcuna fessura od appiglio…, proprio lì, Gesù torna a ripresentarsi in carne, ossa e piaghe; “sta in mezzo” e dice: pace a voi! Vorrei non finire mai di gridare, seppur afono come sono oggi, che questo invito alla pace può venire solo da Dio in questo modo, così carnale e così eterno nello stesso istante. Solo il Crocifisso risorto è colui che può diradare le nubi plumbee che oscurano i cieli delle zone di guerra, trafitti da bombe, missili e droni, così come i nostri cieli che sono punteggiati da macchie più o meno vaste e più o meno scure di dolore, angoscia, depressione e morte. Solo il Crocifisso risorto può convincerci di non essere un fantasma come i dodici hanno creduto, “sconvolti e pieni di paura”. Chi di noi non è mai stato sconvolto e pieno di paura? Chi ora non lo è e può dire di non esserlo stato ieri o è sicuro che non lo sarà domani? Basta un lutto, una malattia grave o anche un semplice malanno, un fallimento in amore o il tradimento di un amico, un tracollo finanziario o un banale ammanco, una bocciatura o un insuccesso scolastico, un lavoro che non si trova o non vada come abbiamo previsto… A me – lo confesso – basterebbe non trovare, stasera, sotto l’ufficio, la bici elettrica, legata al solito palo, o anche solo che lo smartphone smetta di funzionare, o perfino niente di più che WhatsApp in tilt per qualche ora… Sì, lo ammetto, già più volte ho sperimentato che il mio buon umore, ma, anzi, ben di più, la mia stessa gioia di vivere e, diciamo pure, la mia fede sono appesi al filo di quella manciata di progetti che mi paiono il tutto solo perché sono i miei, eppure sono esili quanto il filo di una ragnatela, quelle quattro idee e poche più sicurezze (materiali e relazionali) fragili come la pianta di ricino, il qiqajon, che Dio fece crescere su Giona perché avesse un poco di sollievo e che morì poco dopo, facendogli capire che non poteva lamentarsi, con livore, se il Signore aveva risparmiato tutte le vite umane degli abitanti della perversa città di Ninive, perché avevano fatto penitenza e si erano convertiti dai loro peccati. Sì, siamo troppo aggrappati ad idoli che non ci soddisferanno mai abbastanza, ad acquedotti che non ci portano acqua che disseti davvero. Quell’acqua che non finisce, come quella che Gesù offre alla donna samaritana, dicendole che con essa, non dovrà più tornare ad attingerne altra al pozzo, quell’acqua è lo stesso Spirito che solo il Risorto oggi ancora dona a noi, proprio perché non è un fantasma, un ologramma, un sogno, un’utopica ideologia. Ecco perché ancora una volta possiamo dire che il Cristianesimo non è una religione, un’appartenenza che lega e relega chi la sceglie. No, la fede in Cristo è l’incontro con un Uomo che con il suo amore ha vinto la morte per sempre, ma non evitandola, quanto piuttosto passandoci attraverso. La croce non salva da sola, il male è male e non è mai redentivo di per sé; è il Crocifisso, che ha ancora le mani e i piedi forati dai chiodi, colui che ci ha salvato e ancora ci salva. Gesù mangia con noi – Gesù si fa mangiare da noi ad ogni Eucarestia – e poi ci manda. Non possiamo stare soli con lui, attorno alle braci di quel fuoco su cui abbiamo arrostito il pesce che lui ha gradito. Non possiamo attardarci e neppure fare tre tende e rimanere lì, in un campeggio per pochi privilegiati. Ora possiamo, anzi vogliamo portare a tutti la gioia incontenibile di aver intuito che è avvenuto una volta per tutte e ogni volta per sempre avviene ciò che di Gesù Cristo è scritto nel grande tesoro dell’Antico e del Nuovo Testamento. La Salvezza si è compiuta, è qui, a portata di mano, possiamo toccarla, possiamo mangiarci accanto, come con un amico che torna da un viaggio molto avventuroso ma con un emozionante lieto fine e – come canta Elisa in una splendida canzone, a proposito di un figlio che cresce – sarà difficile, ma sarà fin troppo semplice!

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Fonte: Sir