Malato e in auto-isolamento. Mons. Pezzi (Mosca): “Ci si sente indifesi, nelle mani di un’incognita”

“Non è stata tanto la paura di morire, quanto quel senso di sentirmi indifeso, nelle mani di un mistero, di un’incognita”. Positivo al Covid-19, mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, racconta al Sir come sta vivendo la malattia del Coronavirus, da otto giorni in auto-isolamento. “La malattia mette duramente alla prova. Non penso di avere qualcosa di più, o di speciale o di più forte che non possono avere tutti. La possibilità di affidarsi a Dio, di gridare a Dio anche se non se ne conosce il nome e il volto, è una possibilità che abbiamo tutti. E Dio risponde. È un mistero. Ma Dio ha una risposta per tutti”

Malato e in auto-isolamento. Mons. Pezzi (Mosca): “Ci si sente indifesi, nelle mani di un’incognita”

“Più della paura di morire, quello che si prova è un senso di vertigine come quando si è sospesi nel vuoto”. Ma la malattia, con il passare dei giorni, diventa “un’occasione di conversione per la mia vita e per il mio servizio”. “Un’esperienza di cambiamento già in atto”. Mons. Paolo Pezzi, metropolita dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, racconta al Sir come sta vivendo la malattia del Coronavirus dopo aver annunciato di essere positivo al Covid in un video-messaggio. Il tampone lo ha fatto, spiega, perché otto giorni fa, erano improvvisamente scomparsi olfatto e gusto. “Sono senza febbre da due giorni”, rassicura subito. “C’è questo senso diffuso di debolezza. I medici che in questi giorni sono stati veri angeli custodi, mi hanno detto di non aver riscontrato difficoltà respiratorie, per cui il decorso sembra buono”.

Come pensa di essersi contagiato?

Situazioni relativamente di rischio possono essere stati la celebrazione di un matrimonio, un incontro pastorale e l’ordinazione del vescovo ausiliare. Però devo dire che tutto si è svolto nel rispetto delle regole e non abbiamo a tutt’oggi riscontri di altre persone infettate in questi contesti. Quindi sono più incline a pensare – e ne sono convinti anche i medici – che siano stati o un asintomatico o uno degli spostamenti in metropolitana.

Qual è stata la prima cosa che ha pensato quando ha avuto l’esito positivo del tampone e ha avuto paura?

Un senso di paura e più che al responso del tampone, questa paura mi è venuta quando ho preso coscienza dei primi sintomi, che erano chiaramente riconducibili al Coronavirus, e cioè la perdita dell’olfatto e del gusto. In realtà, non è stata tanto la paura di morire, quanto quel senso di sentirmi indifeso, nelle mani di un mistero, di un’incognita. Devo dire che mi hanno fatto molto compagnia in questi giorni le parole di Paolo ai filippesi: “Per me il vivere è Cristo e il morire guadagno”. Quello a cui stavo andando incontro, poteva diventare una reale partecipazione all’azione di Cristo per la salvezza del mondo e questo mi ha pacificato, ha permesso di superare quel senso di vertigine e sospensione nel vuoto.

Il Coronavirus obbliga ovviamente all’auto-isolamento. Come si vive soli e malati?

Con un senso di solitudine. Ma questa condizione mi ha permesso di sperimentare sulla mia stessa pelle quello di cui tante volte ho parlato negli ultimi miei documenti, lettere pastorali, omelie. Però voglio anche dire che in realtà

io non mi sono mai sentito veramente solo in questi giorni

e non tanto perché ci sono i mezzi di comunicazione quanto perché forte è la vicinanza di Dio e la vicinanza di tante persone, con la loro preghiera e la loro offerta. Tutto questo mi consente di vivere questi giorni come una bella occasione di conversione per la mia vita e per il mio servizio.

Lei si trova in una condizione che purtroppo migliaia di persone nel mondo stanno vivendo. Con quale pensiero, sta seguendo queste situazioni?

La prima cosa che faccio ogni mattina è pregare soprattutto per i malati e per coloro che incontreranno Dio nella morte a causa di questo virus. Il pensiero che ho avuto, è una profonda coscienza della forza e del valore dell’offerta a Cristo della nostra vita. Significa offrire a Lui tutto il bene ma anche tutto il male, tutto il dolore, tutta l’incomprensione, l’ingiustizia.

E quando abbiamo la forza interiore di riconoscere che Cristo stesso è il contenuto di quello che ci sta accadendo, allora realmente facciamo un’esperienza di liberazione.

Lei ha fede e la fede aiuta a superare i momenti anche più difficili. Ma ci sono persone che non hanno fede. Come superare il dolore della malattia, della solitudine e della morte se non si ha fede?

La malattia mette tutti duramente alla prova. Non penso di avere qualcosa di più, o di speciale o di più forte che non possono avere tutti. La possibilità di affidarsi a Dio, di gridare a Dio anche se non se ne conosce il nome e il volto, è una possibilità che abbiamo tutti. E Dio risponde. È un mistero. Ma Dio ha una risposta per tutti.

Come ne vorrebbe uscire da questa prova?

Il cambiamento è già avvenuto. Mi sento oggi convertito a Dio, più desideroso di lui e più desideroso di diffondere il bene. Questo è quello che mi auguro. È una esperienza già in atto.

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Fonte: Sir