Rimanere, verbo di movimento. Rimanere nel Signore “significa crescere, crescere nella relazione con lui”

Restando uniti a Cristo, afferma il Papa, “potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace”

Rimanere, verbo di movimento. Rimanere nel Signore “significa crescere, crescere nella relazione con lui”

In questa quinta domenica di Pasqua la liturgia ci propone un altro dei discorsi di addio di Gesù, e dopo l’immagine del buon pastore, domenica scorsa, Giovanni propone la figura della vite e dei tralci, per dire il legame stretto tra il Signore e i suoi discepoli. E c’è un verbo che nel quarto Vangelo viene ripetuto ben sette volte: rimanere. Verbo che non va interpretato come qualcosa di statico, dice Papa Francesco, non significa “star fermi, parcheggiati nella passività”, ma invece ci chiede di “metterci in movimento”, perché rimanere nel Signore “significa crescere, crescere nella relazione con lui”; significa ancora camminare e “lasciarci provocare dal suo Vangelo e diventare testimoni del suo amore”.
È a Venezia in questa domenica di fine aprile Papa Francesco, prima tappa di un viaggio nel triveneto che lo porterà a maggio a Verona e, a luglio, a Trieste. E il verbo rimanere fa un po’ da filo conduttore dei suoi incontri in questa città che Giovanni Paolo II, nella sua visita del giugno 1985, definiva “una architettura che addobba lo spazio reso luce dall’acqua e dal cielo”. Venezia, per Francesco, “da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale”, e nello stesso tempo è chiamata a “essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune”; è “terra che fa fratelli”.
La prima tappa della visita è il carcere femminile della Giudecca dove, alle donne detenute, ricorda ci sono “errori di cui farci perdonare e ferite da curare”; e quel restare in carcere non è luogo dove la dignità della persona è “messa in isolamento”, ma può segnare “l’inizio di un qualcosa di nuovo”, un “cantiere di ricostruzione in cui guardare e valutare con coraggio la propria vita, rimuovere ciò che non serve, che è di ingombro, dannoso o pericoloso”.
Agli artisti alla Biennale d’Arte ha parlato dell’arte come di città di rifugio. Anche qui non qualcosa di statico, ma luogo che “disobbedisce al regime di violenza e discriminazione per creare forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti a iniziare dagli ultimi”; una “rete” per dire no al razzismo, alla xenofobia, alla disuguaglianza, allo squilibrio ecologico, all’aporofobia” cioè la fobia dei poveri.
Ai giovani, davanti la Chiesa della salute, ha detto di “alzarsi e andare”, e rimanere in piedi “quando viene voglia di sedersi, di lasciarsi andare”; alzarsi e rimanere in piedi di fronte alla vita “non seduti sul divano”, uscire “dal mondo ipnotico dei social che anestetizza l’anima”, perché per Dio non siete “un profilo digitale, ma un figlio, con un Padre nei cieli”.
Infine, nell’omelia in piazza San Marco il verbo rimanere è coniugato nella interpretazione del testo giovanneo della vite-Gesù e dei tralci-apostoli-fedeli, metafora che “mentre esprime la cura amorevole di Dio per noi, d’altra parte ci mette in guardia, perché, se spezziamo questo legame con il Signore, non possiamo generare frutti di vita buona e noi stessi rischiamo di diventare rami secchi”. Un legame, ricorda Francesco, che “non imprigiona la nostra libertà ma, al contrario, ci apre ad accogliere la linfa dell’amore di Dio, il quale moltiplica la nostra gioia, si prende cura di noi con la premura di un bravo vignaiolo e fa nascere germogli anche quando il terreno della nostra vita diventa arido”.
Rimanere, dunque. Perché restando uniti a Cristo, afferma il Papa, “potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace”, e al Regina caeli rinnova il suo appello per la pace in Ucraina, in Palestina e Israele; pace e fine delle violenze a Haiti dove è in vigore lo stato di emergenza. Ancora “frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano. Da Venezia con la sua “incantevole bellezza”, Francesco rinnova l’appello per la salvaguardia del creato: “i cambiamenti climatici, hanno un impatto sulle acque della laguna e sul territorio”; la città “è un tutt’uno con le acque su cui sorge, e senza la cura e la salvaguardia di questo scenario naturale potrebbe perfino cessare di esistere”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir