Salmo 110. Una sottomissione ottenuta da Gesù attraverso la potenza non dell’oppressione violenta ma della Croce che salva

Come conciliare l’immagine che il Salmo delinea con il modo in cui Gesù si è rivestito di regalità, sacerdozio e profezia nella sua vita terrena?

Salmo 110. Una sottomissione ottenuta da Gesù attraverso la potenza non dell’oppressione violenta ma della Croce che salva

È composto di solo sette versetti il Salmo 110, eppure è così centrale per la rivelazione biblica e per la sua ricezione cristiana che è il componimento con il più alto numero di citazioni nel Nuovo Testamento. Ha scritto Lutero: “è il vertice e la sommità di tutta la Scrittura. Descrive in modo eccellentissimo il regno e il sacerdozio di Cristo, spiegando che è lo stesso Cristo a governare tutto, a intercedere per tutti e ad avere ogni cosa nelle sue mani”. “[…] Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: domina in mezzo ai tuoi nemici! A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato. Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek. Il Signore è alla tua destra! Egli abbatterà i re nel giorno della sua ira, sarà giudice fra le genti, ammucchierà cadaveri, abbatterà teste su vasta terra; lungo il cammino si disseta al torrente, perciò solleva alta la testa” (vv 1-7). Siamo di fronte ad un re messianico per il popolo ebraico che per la Chiesa è Gesù Cristo stesso a cui, fin dagli inizi, sia la tradizione apostolica, sia i padri e di conseguenza la liturgia, hanno riferito gli attributi e le caratteristiche enunciati. Alla destra del Padre, infatti – come recitiamo anche nel Credo, ad ogni celebrazione eucaristica – vi è appunto Gesù, il Figlio Unigenito e la prima occorrenza di questa espressione risale proprio al salmo 110; e così che i nemici siano posti allo sgabello suoi dei piedi è una posizione di sottomissione di tutti nei confronti di Cristo, ma una sottomissione ottenuta da Gesù attraverso la potenza non dell’oppressione violenta ma della Croce che salva. Il giorno della potenza per Gesù è il giorno della sua resurrezione e anche per questo il salmo è centrale nella Liturgia delle Ore di ogni domenica. Ecco la bellezza delle espressioni inventate per rendere l’eternità del Messia – di per sé ineffabile e indescrivibile, come Agostino sottolinea: egli è generato dal Signore dal grembo dell’aurora, ovvero prima di ogni cosa. Affascinante intuire che il Salvatore – che per noi cristiani è il Figlio Unigenito, è vero uomo e vero Dio – anche per i nostri fratelli ebrei ha una nascita prima del tempo, prima della luce, prima di ogni cosa. Affascinante e pure in parte doloroso: siamo nel mezzo della cesura che ancora oggi nella storia degli uomini rimane e che, forse, solo nel Regno si sanerà: nato dalla stirpe di Davide, il Re che Israele ancora attende, per noi cristiani è già venuto, si è fatto carne nel grembo di Maria e il sangue di questa carne ha effuso, fino alla fine, sulla croce per la salvezza di tutti. Per questo è paragonato al misterioso sacerdote Melchìsedek, presente solo un’altra volta nella Bibbia, quando incontrando il nostro comune padre Abramo, offre sull’altare pane e vino, preconizzando il sacrificio eucaristico di Gesù. Difficile rappresentare l’intensità di questo annuncio, soprattutto rispetto ai fiumi di inchiostro spesi nei secoli per commentare tali versi. Ma il Cristo – potrebbe domandarsi il lettore odierno, anche in virtù di quanto ho appena espresso – non ha abbattuto teste e la sua giustizia non è stata sanguinaria! Come conciliare l’immagine che il Salmo delinea con il modo in cui Gesù si è rivestito di regalità, sacerdozio e profezia nella sua vita terrena? Leggendo i commenti si viene illuminati ancora una volta dal genio teologico di Agostino che invita a soffermarsi non tanto sugli attributi guerreschi, quanto piuttosto sul dissetarsi al torrente lungo il cammino e poi sollevare la testa. È questo – scrive il grande vescovo di Ippona – che Cristo ha fatto, perché si è abbeverato al torrente – come facevano i re d’Israele, in occasione della loro unzione – ma è stato il torrente dell’umanità: ha preso su di sé tutto il succedersi delle generazioni degli uomini che nascono e muoiono e così ha fatto anche lui, salvo poi sollevare la testa il terzo giorno ed essere, dopo la sua resurrezione, re e sacerdote per sempre. E proprio in virtù della dimensione sacerdotale evidenziata dal salmo, c’è una seconda modalità con cui pregarlo: ovvero come inno di ringraziamento per tutti i sacerdoti che, nel corso della nostra vita, ciascuno con il suo carisma, la sua passione, la sua peculiare umanità, hanno intersecato le loro vocazioni con quelle di tanti sposi e laici cristiani. Davvero nasce spontanea la lode – chi scrive potrebbe farne un elenco quasi infinito – per tutti quegli uomini che hanno risposto ad una vocazione che li ha resi tutti di Dio, uomini fra gli uomini, santi e peccatori (quante migliaia di santi preti che fanno molta meno notizia dei pochi macchiati di tragici peccati?) investiti del ministero di spezzare il pane e il vino e renderli corpo e sangue di Cristo per tutti! Il Signore, nella sua sapienza provvidente, ci conceda di vedere ancora giovani che con coraggio accolgono l’invito ad amarlo secondo la via del ministero ordinato, non una via privilegiata per la santità rispetto a quella coniugale (se ne convincano gli sposi, più ancora del clero!), ma di certo insostituibile per il cammino della Chiesa.

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Fonte: Sir