10-12 maggio. Festival Biblico. Prendiamoci cura della città. Insieme

Ruotano intorno a tre verbi – conoscere, appassionarsi, abitare – gli eventi dell’edizione padovana, in programma dal 10 al 12 maggio, che cresce per numero di sedi e realtà coinvolte. L’invito è per quanti non vogliono essere spettatori inerti delle trasformazioni che interessano la polis.

10-12 maggio. Festival Biblico. Prendiamoci cura della città. Insieme

La settima edizione “padovana” del Festival Biblico dedicato, al tema “Polis” (10-12 maggio), è stata costruita attorno a tre verbi: conoscere, appassionarsi, abitare (da cristiani). Spesso si passa come spettatori distratti attraverso luoghi ed esperienze, sempre altrove, risucchiati dagli schermi dei nostri terminali. Il mondo intorno a noi si trasforma in un grande centro commerciale, la città in una gabbia senza mura e la politica in scambio di favori. Il contributo del Festival sta nell’invito a “prendersi cura” della città reale, per sentirla e farla diventare casa. «È importante – ricorda papa Francesco nella Laudato si’ – che le diverse parti di una città siano ben integrate e che gli abitanti possano avere una visione d’insieme invece di rinchiudersi in un quartiere, rinunciando a vivere la città intera come uno spazio proprio condiviso con gli altri».

Perché lo slogan: polis/città?
Per città s’intende un insediamento umano frutto di un processo più o meno lungo di urbanizzazione. Nel linguaggio comune la città si differenzia da un paese/villaggio per dimensione, densità di popolazione, importanza o status legale. L’abbinamento polis/città indica la volontà di ampliare questo significato. La polis nacque in Grecia. In origine era una piccola comunità autosufficiente, caratterizzata dall’isonomia (tutti i cittadini erano sottoposti alle stesse norme di diritto). Aveva la sua forza nell’attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. Il Festival non sarà una riflessione per super esperti sulle trasformazioni urbanistiche della città né si rivolge solo a chi vive nei grandi centri. È piuttosto un appello, rivolto a tutti, a partecipare alla costruzione della comunità che vogliamo essere. Inoltre, in quanto cristiani abbiamo il dovere di abitare questo nostro tempo, di assumerne le contraddizioni e le opportunità e dare il nostro contributo per definire una nuova idea di cittadinanza, di politica, di economia, in definitiva di polis.

Le novità di quest’anno?
Anzitutto sono aumentate le sedi che ospitano eventi del Festival: a Fiesso d’Artico (Villa Madonnina), si aggiungono Campese, Este (per un evento anteprima), Sarmeola di Rubano. L’opportunità di interagire sull’esperienza della polis si è allargata a tutta la Diocesi. In secondo luogo sono cresciute le realtà che si sono coinvolte, civili ed ecclesiali. La sinergia di questi soggetti è segno della vitalità del Festival e del diffuso interesse per il tema. Cresce anche il ventaglio di approcci: conferenze, tavole rotonde, mostre, spettacoli, laboratori attivi, visite guidate, cinema, meditazioni, presentazione di libri. Se la città è il luogo della vita, è opportuno che ogni espressione e ogni linguaggio della vita siano messi in campo per conoscerla e sognarla migliore.

Quanti eventi?
Nei giorni padovani si alterneranno 25 appuntamenti, sei itinerari artistici, un’esperienza di pellegrinaggio a piedi, due mostre fotografiche. Gli eventi sono articolati secondo tre prospettive, che permetteranno al pubblico una scelta ampia e diversificata: quella biblico-teologica si snoda attraverso temi che intrecciano la Scrittura, la Chiesa e il mondo; l’artistica comprende mostre, itinerari tra luoghi e spazi del territorio, incontri, laboratori artistici e di scrittura per bambini e ragazzi, fino a spettacoli teatrali e cinema; la prospettiva politico-sociale riflette sulla città come luogo/non luogo da costruire, custodire e abitare e approfondisce le prospettive di sviluppo delle città e dell’idea di cittadinanza.
A chi si rivolge il Festival?
A chiunque non voglia essere spettatore inerte delle trasformazioni che stanno interessando la polis. Il Festival nasce dalla collaborazione di cinque diocesi e dei Paolini ma è già diventato occasione di incontro ecumenico, interreligioso e con diversamente credenti.

Qualche elemento da cui partire?
È decisivo quanto disse, alla fine dello scorso anno, il presidente Sergio Mattarella: «Sentirsi “comunità” significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa “pensarsi” dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese. Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e nel battersi, come è giusto, per le proprie idee, rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore. (...) Il nostro è un Paese ricco di solidarietà. … È l’Italia che ricuce e che dà fiducia». La città può diventare occasione d’incontro per quanti sperimentano che “avere cura“ e “prendersi cura” è possibile, e lo si può fare (e forse già lo si fa) tantissime volte, insieme. Questo il punto di partenza per ridefinire i significati della città e sentirsi parte di una comunità.

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