Azione Cattolica. L'assemblea diocesana: incontro e ascolto sono i passi chiave

L’assemblea diocesana, che era aperta a tutti i soci, ha fornito numerosi spunti “verso un noi sempre più grande”

Azione Cattolica. L'assemblea diocesana: incontro e ascolto sono i passi chiave

«Dall’assemblea ho portato a casa una grande ricchezza. Ho visto come sempre un’Azione cattolica declinata nella realtà del mondo, presenza viva nelle varie situazioni. Un’associazione fatta di persone, che guarda dentro alle persone per coglierne l’essenza e il valore e che dà voce a ciascuno. Mi porto a casa un’associazione che aiuta a trasformare il cuore, a cambiare i nostri occhi per avere uno sguardo nuovo sulle persone e sulle cose». Così Mariangela Varotto, di Cristo Re, restituisce la sua partecipazione all’assemblea dell’Ac di Padova – che si è svolta il 6 febbraio – sul tema “Verso un noi sempre più grande per costruire una cultura dell’incontro”. Questo è solo uno dei tanti e positivi riscontri giunti dopo una mattinata che ha messo al centro la parola/esperienza dell’incontro e su cui si sono “lasciati sfogliare”, come fossero dei libri, alcuni testimoni. «Grazie a loro – sottolinea Francesco Simoni, il presidente unitario – abbiamo potuto, prima di “fare teoria” sulla cultura dell’incontro, sperimentarla. Prima di tutto abbiamo incontrato e ascoltato».

Oltre i preconcetti «Il tema dell’incontro mi tocca da vicino – racconta Francesca Cogo, una dei testimoni che sono intervenuti – ma, pensando al contributo che potevo portare all’assemblea, mi sono domandata: come possiamo, noi come singoli e noi come parte della Chiesa di Padova, incontrare l’altro, il migrante, la persona vulnerabile? Pensando alle mie esperienze è stato fondamentale uscire dalla mia comfort zone e iniziare a dire di sì a proposte e opportunità che danno la possibilità di incontrare persone al di fuori del nostro contesto abituale. I migranti, le persone senza fissa dimora e vulnerabili hanno una storia, un bagaglio di esperienze che li definiscono ma che rischiano di influenzare il modo in cui ci relazioniamo con loro. Quando mettiamo da parte i preconcetti e quello che pensiamo di sapere sull’altra persona, rispettandone i tempi e le necessità, provando a guardare le cose da un altro punto di vista, adottiamo uno stile diverso, che porta a un incontro vero».

Rispetto di ogni esperienza «Le testimonianze dell’assemblea diocesana seguivano il format della “biblioteca vivente” – racconta Giorgia Bottaro – Assieme alla mia ragazza abbiamo presentato un racconto dal titolo Pecore nere?, ovvero la nostra storia di persone credenti e appartenenti alla comunità LGBT+. Due storie simili, ma diverse. Il mio percorso di consapevolezza mi ha portata a sentire in maniera più vera l’Amore che Dio ha per l’uomo e a rafforzare il mio rapporto con la fede. Nel caso della mia ragazza, invece, l’ha portata ad allontanarsi non sentendosi più accolta e amata. La differenza? Aver trovato, nel mio caso, dei luoghi e delle persone dove poter esprimere il mio essere credente senza dover nascondere la mia affettività. Nel suo caso invece è stato necessario nascondere il suo essere lesbica per poter continuare a fare attività nel gruppo scout. Il “nero” non sta in noi ma negli occhi, ancora miopi, di una istituzione che ci guarda. Fortunatamente la comunità di credenti si sta muovendo ed è stata capace di accogliere “Il Mandorlo” (ilmandorlopadova@gmail.com), un gruppo di giovani LGBT+ cristiani che vuole “essere inclusivo e rispettoso di ogni esperienza e identità, come la Chiesa e la società che sogniamo” (da statuto)».

Unici e speciali «Andare incontro agli altri non è sempre facile: se poi c’è di mezzo una disabilità le cose possono diventare ancora più complicate – sottolinea Chiara Pedron, che si è raccontata – Spesso una persona con disabilità viene vista come qualcuno a cui “manca” o “non è in grado” di fare qualcosa. Il mio primo “incontro” con Veronica lo definirei quasi scioccante: una figlia con disabilità ti costringe a cambiare tempi e modi, a costruire nuove dinamiche e modi di comunicare, ma grazie a lei ho imparato a guardare innanzitutto me stessa e poi gli altri con occhi nuovi. Scoprire la bellezza racchiusa in ognuno di noi è possibile solo avvicinandosi ed entrando in relazione: se con fiducia proviamo ad andare oltre il “visibile”, potremo davvero scoprire la ricchezza nascosta in ciascuno. Veronica mi ha insegnato che ciò che ci distingue gli uni dagli altri non è altro che quello che ci rende unici e speciali: a ben guardare, se ognuno di noi venisse valutato solo secondo le proprie abilità, un incontro sarebbe davvero possibile?».

La speranza di una Chiesa sempre più aperta

«È stato un momento di confronto su temi importanti e delicati, su cui la Chiesa fa ancora fatica ad avvicinarsi – sottolinea Chiara Rampazzo, giovane partecipante all’assemblea – Mi porto a casa, anche grazie alla presenza del vescovo, la speranza di una Chiesa sempre aperta verso l’altro».

Contro ogni indifferenza bisogna toccare

«Nella serata dell’assemblea – racconta Francesco Simoni – molti di noi hanno visto l’intervista televisiva a papa Francesco. A un certo punto ha detto: “Non basta vedere, bisogna sentire e toccare per sconfiggere la psicologia dell’indifferenza”. Ho pensato che proprio quel giorno, all’assemblea dell’Ac, avevamo fatto un’esperienza di questo tipo. Non è sufficiente che vediamo, elenchiamo, discutiamo le varie questioni della vita... dobbiamo incontrarle». Al cuore dell’assemblea c’è stato proprio il guardare le persone negli occhi, ascoltare le loro storie,  essere fisicamente di fronte... «Questo fa la differenza. Questo permette di sgonfiare l’ideologia, sia in positivo che in negativo, che ci portiamo addosso rispetto a qualsiasi tema. Si tratta di avere a che fare con le varie unicità che ci sono nelle nostre parrocchie, ma che troppo spesso non vengono accolte in pienezza». L’Ac, con l’esperienza di questo momento sul tema dell’“incontro”, non ha voluto consegnare vademecum o linee guida. «A volte ne vorremmo per affrontare questioni che richiedono tanto discernimento. Penso che i soci che hanno partecipato si portino a casa soprattutto l’incontro con persone. Questa è la chiave. Questa è l’indicazione operativa. La mancanza delle persone ha caratterizzato il tempo della pandemia; il gusto di incontrarci è il bello che stiamo sperimentando. È un piccolo passo... Ci vorrà pazienza. Certo, non usciamo con il “manifesto sull’inclusione” dell’Ac di Padova».

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