Bilancio, strumento di spiritualità. Le priorità del vescovo Claudio e della Chiesa di Padova

Scegliere perché il passato non uccida il futuro. Come spendiamo dice ciò che è importante per noi. Le priorità del vescovo Claudio e della Chiesa di Padova

Bilancio, strumento di spiritualità. Le priorità del vescovo Claudio e della Chiesa di Padova

Accumulare, mettere da parte, risparmiare, sono attività che si ripetono in casa, in famiglia; azioni simili ma con risultati anche molto differenti. Il verbo accumulare mi riporta la mente alle tante cose che non servono e che nel mio garage sostano per mesi, e mi pare impossibile immagazzinarne così tante! Con la mia famiglia ho anche messo da parte (risparmiato) dei beni che mi potranno diventare utili per affrontare il futuro: una sapienza ricevuta in dono dai genitori. Due modi di relazionarsi con le cose: alcune possono dare sicurezza al futuro e altre che non servono si possono semplicemente eliminare.

Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo… (Mt 6,19-20).

La vita, e tutto quello che abbiamo a nostra disposizione, è un dono che continuiamo a ricevere, giorno dopo giorno, e che possiamo “accumulare” solo per garantirci il tesoro che avremo in cielo. È questa la relazione da instaurare con i beni, con le cose, con le persone.

Così come con il rapporto di amicizia con una persona cara: non lo si può “accumulare” ma bisogna rinnovarlo ogni giorno con gesti di affetto, vicinanza, messaggi, visite, abbracci. L’accumulo fine a se stesso rischierebbe di farmi sentire padrone di questa relazione, soffocandone il dono.

Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore… (Mt 6,21).

Accumulare tesori nel cielo diventa quindi un invito a purificare le relazioni con le persone, con i beni, a riconoscere dove il nostro cuore sta battendo, quali sono le priorità che ci fanno pulsare le vene e su cui stiamo investendo. Una comunità di credenti vive questa chiamata e mostra dov’è il suo cuore anche nel modo in cui investe le sue risorse umane e finanziarie.

Il vescovo Claudio appena arrivato a Padova ha potenziato la pastorale giovanile mettendo a disposizione più persone, come ha voluto avviare un nuovo progetto per le Cucine economiche popolari, mostrando che la carità doveva essere e rimanere una priorità; ora ha indetto un sinodo diocesano per trovare insieme la strada da fare come Chiesa diocesana.

Le comunità, chiamate a seguire questi stessi orientamenti, possono farsi aiutare anche dal bilancio, uno strumento privilegiato per monitorare e verificare dove stanno investendo e accumulando. Quante volte si pensa di aver fatto abbastanza per i giovani, ma il bilancio ci dimostra che non abbiamo investito proprio niente per loro. E così per gli altri ambiti pastorali: per la liturgia, per la carità, per la catechesi, o per sostenere le strutture.

Il bilancio diventa strumento di spiritualità se ci aiuta a riconoscere con chiarezza dove abbiamo messo il tesoro e con esso il nostro cuore. Anziché rimanere solo un assembramento di numeri, può aiutarci a verificare se stiamo vivendo il Vangelo e operando le scelte più opportune per perseguire il bene che predichiamo. Certo, non è facile, come è emerso da molti incontri fatti nel territorio con i membri dei consigli per la gestione economica.

Molte volte il bilancio viene fatto velocemente, senza rispettare bene le regole, perché «tanto nessuno lo guarda con attenzione» e «ci sono cose più importanti che perdere tempo sui numeri».

Nel mondo del terzo settore e delle imprese da anni si parla anche di bilancio sociale perché si è compreso che il bilancio è un aiuto fondamentale per: migliorare la propria organizzazione, condurre la propria realtà a fare delle valutazioni sui conti, mettere insieme i dati per poterli misurare, verificare le azioni che sono state sostenute e l’impatto sociale che hanno prodotto.

I membri dei Cpge in particolare dovrebbero riconoscere il valore del bilancio, sfruttarlo per far crescere la nostra comunità cristiana verso questo cambio di mentalità, mettendo il Vangelo come chiave di lettura dei conti.

Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete… Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? (Mt 6,25-27)

La comunità può fare un’attenta riflessione sul proprio rapporto con i beni grazie a quanto il bilancio mette in evidenza e verificare se sono un affanno, un accumulo, o un dono che si sta custodendo con saggezza per le necessità dei più poveri. Dopo più di anno di pandemia sentiamo che siamo obbligati a fare questo discernimento con molta cura; più di prima, in quanto ora ci vengono chieste scelte che non possono più essere ritardate.

Niente ci toglierà il nutrimento che viene dal Padre perché contiamo più degli uccelli del cielo! Ma non dobbiamo affannarci per quello che non serve più, per il “vestito” che le parrocchie indossano e che a volte non è più adeguato alla stagione che stiamo vivendo. Non è facile: forse servono delle potature che non vorremmo fare, ma non è una chiamata e una fatica solo di questo tempo!

Già nell’Antico Testamento il re Ezechia «fece a pezzi il serpente di bronzo, che aveva fatto Mosè» (2 Re 18,4) ma tenne l’Arca che era sempre stata data da Mosè al popolo. Perché ruppe un simbolo e tenne l’altro? «Perché, possiamo dedurre, – scrive Luigino Bruni (Avvenire, 23 novembre 2019) – l’arca aveva conservato il significato e l’uso iniziale, era memoria e sacramento dell’Alleanza [...] Quell’oggetto, diversamente dal serpente, non era diventato un idolo [...] Le comunità iniziano un lento ma inesorabile declino quando si affezionano all’origine e non guardano al significato corrente delle proprie realtà e delle proprie persone. Forse a Ezechia, quando comunicò la sua decisione di distruggere il serpente, non pochi scribi e dottori avranno ricordato e letto il brano delle scritture del miracolo di Mosè nel deserto. Quel re fu giusto perché impedì che il passato uccidesse il futuro».

Abbiamo la responsabilità di scegliere se tenere il serpente e anche l’arca o se lasciare l’uno, diventato idolo, per tenere ciò che invece è ancora simbolo per i credenti del nostro territorio; accumulare tesori in cielo per liberarci da cose diventate inutili e sapere invece mettere da parte e conservare tutto ciò che serve veramente alla nostra Chiesa.

Vanna Ceretta
economa diocesana

Il libro

Benedetta povertà? Provocazione su chiesa e denaro è il testo (Emi, 2020) scritto da mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e Carpi e recentemente (25 maggio) nominato vicepreseidente della Cei per l’Italia settentrionale. L’autore distingue tre povertà: una da scegliere, e si chiama sobrietà; una da combattere, per ottenere equità; e una da riscattare, per raggiungere la fraternità. Anche la chiesa è chiamata in causa: le sue ricchezze possono esistere solo per costruire condivisione, non per affermare prestigio o potere.

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