Conclusi in quasi tutte le parrocchie gli incontri di dialogo per il Sinodo. Sguardo franco sulla Chiesa. Per il futuro

Spazi di dialogo. In quasi tutte le parrocchie si sono conclusi i tre incontri in cui, sono stati “raccolti” punti di rottura del nostro tempo e germogli di speranza. Da questo primo ascolto “usciranno” i temi del Sinodo diocesano

Conclusi in quasi tutte le parrocchie gli incontri di dialogo per il Sinodo. Sguardo franco sulla Chiesa. Per il futuro

Gli “spazi di dialogo” previsti nel cammino sinodale sono in fase di chiusura: nella maggior parte delle parrocchie si sono conclusi a fine gennaio. Come sono stati vissuti questi momenti proposti come luogo in cui, a partire da ciò che siamo oggi, ci possiamo raccontare come sogniamo il domani, per costruire insieme il volto nuovo della Chiesa di Padova? Hanno portato frutti, già ora, per le comunità? Che clima si è creato nei gruppi? Parlare delle proprie esperienze di vita – perché questo era uno dei presupposti – non è sempre facile. Cercare di portare in luce i “punti di rottura” del nostro tempo, ovvero le fratture e le dissonanze e i “germogli”, cioè le speranze e le cose buone di ogni giorno, raccontare il nostro sogno per la Chiesa di domani, non è cosa immediata. «È stata un’esperienza molto bella, più bella delle attese – afferma mons. Paolo Doni, parroco di Bertipaglia – nella quale il gruppo è stato già esperienza di sinodo, uno stile da coltivare ancora. Si è sperimentata libertà di dialogare e disponibilità all’ascolto che ha creato un clima favorevole, empatia fra i partecipanti cui si aggiungono anche grande disponibilità, puntualità e molta attenzione. Credo sia ancora presto per poter dire quali frutti potrà portare alla comunità, ma già il fatto di essersi trovati, con grande fedeltà, gusto, desiderio, è segno tangibile di come sogniamo la Chiesa di domani». Il clima favorevole, quasi familiare, disteso, pronto all’ascolto e alla condivisione ha accomunato molte esperienze in diverse comunità parrocchiali. C’era il desiderio di ritrovarsi perché sono state create le condizioni per fare riflessioni profonde e anche molto personali, in libertà. «Le persone – evidenzia infatti don Leopoldo Zanon parroco dell’unità pastorale di Arre, Arzercavalli, Candiana, Fossaragna e Pontecasale – hanno condiviso il loro essere credenti oggi e l’essere parte di una Chiesa ferita, manifestando anche la voglia di vedere una Chiesa che si trasforma, che cambia forma, pur consapevoli della fatica che sta attraversando e consci che il passato non tornerà più. C’è però soprattutto il desiderio di mettersi in discussione. Non ci sono soluzioni, ma questo tempo offre possibilità di riflessioni grandi anche se il futuro non è ben chiaro». E i temi importanti sono emersi, se ne è parlato, si sono portati dubbi ed esperienze: celibato dei sacerdoti, questioni etiche del fine vita e dell’aborto, ma anche temi più quotidiani come le conflittualità interne alle comunità, lo sfaldamento nella fascia giovanile, il coinvolgimento delle famiglie. «Sappiamo che i numeri sono sempre più esigui – afferma Stefano De Marchi, facilitatore a Candiana – ma abbiamo anche capito che c’è una fede più convinta piuttosto che tradizionale e sul ruolo dei laici si è consapevoli che la strada è quella della maggiore responsabilità. Credo che l’esperienza degli spazi di dialogo sia stata interessante perché ha messo in luce la necessità delle persone di comunicare, condividere, soprattutto la sofferenza, dialogare, incontrarsi e poi ci ha permesso di farci delle domande. Se smetti di interrogarti stai fermo, non c’è crescita».

«Le domande sulla Chiesa e il domani sono quelle più impegnative e faticose» dice Ylenia Sartorato, facilitatrice a Casalserugo. Qui si sono formati dieci gruppi con oltre un centinaio di partecipanti, molti anche i volti nuovi, di persone che frequentano la messa domenicale, ma non partecipano ad altre attività. «Veniamo da un periodo difficile – continua – in cui il domani è incerto, però si percepisce il desiderio di proposte di apertura trasversali, che possano essere intercettate anche da chi non frequenta la parrocchia». «La buona partecipazione – interviene don Federico Fortin, il parroco – è indice della voglia di dialogo e di incontrarsi. Ma viene anche da chiedersi: le persone non trovano, in altri gruppi, quello che hanno trovato in questi spazi di dialogo?». «Quello che è emerso nella nostra parrocchia – continua Sartorato – è l’idea di una Chiesa “fuori”, in cui è evidente l’aspetto più missionario. Portarla cioè in altri luoghi, al lavoro... Una Chiesa dove le attività non siano solo interne ma che possano essere esperienze “altre”: ad esempio il coro non sia solo per accompagnare la messa, ma anche lezione di musica per chi non frequenta».

Contaminare in modi diversi, nuovi; annunciare il Vangelo con modalità altre che si conformano a una società dove il benessere è abbastanza diffuso: questa una delle sfide emerse negli spazi di dialogo a Vigodarzere, dove la partecipazione è stata molto buona, anche da parte dei giovani, che hanno dato un bel segno di speranza con la loro presenza attiva. Si sono formati sei gruppi con più di settanta persone che si sono messe in gioco, si sono aperte in maniera naturale e spontanea, quasi inaspettata. «Il desiderio è di una Chiesa semplice, umile, attenta alle persone, capace di costruire relazioni autentiche – sottolinea Chiara Pajaro, una facilitatrice – Una Chiesa anche creativa che sappia proporre con linguaggi diversi l’annuncio del Vangelo». «Si vorrebbero sacerdoti e seminaristi impegnati in attività sociali – aggiunge un altro facilitatore, Enrico Scapin – perché possano così formarsi sul campo della vita, toccare con mano come più volte invita a fare il papa. Una Chiesa più vicina allo spirito francescano, più vicina ai deboli ed emarginati che sia in grado di annunciare, oggi, la Parola, una Parola che ancora poco conosciamo, che indichi vie di approfondimento e riflessione per gli adulti, anche per capire i sacramenti».

Si è ancora fiduciosi nella vita comunitaria, e ben lo dimostra la partecipazione alla proposta del cammino sinodale, pur con numeri diversi a seconda delle realtà parrocchiali, ma «il problema di oggi – ribatte Sandro Xausa, facilitatore di Lusiana– è saper coniugare fede, Chiesa e vita. Abbiamo capito che bisogna partire dal basso, come ci insegna il papa. Partire dalla “componente” umana della relazione per sentirsi parte della comunità. Di germogli ce ne sono tanti, ma è fondamentale iniziare dalla famiglia: lì si vive la vera fede, la prima testimonianza, le relazioni vere. Spesso si parla di una Chiesa ideale, ma dobbiamo partire dagli strumenti che abbiamo a disposizione, dal concreto, dal reale, dagli ultimi, anche da chi non va in Chiesa. Alla fine ciò che chiedono le persone è solo di essere accolte, di trovare legami sociali veri, luoghi di aggregazione sana».

Le modalità di lavoro introdotte dagli spazi di dialogo hanno già fatto un passo in questo senso: mettersi infatti in cammino insieme ad altre persone della propria comunità accende senso di appartenenza e condivisione ed è un’esperienza di arricchimento. «Si parte sempre dalla realtà, dalla concretezza – aggiunge mons. Paolo Doni – e da qui emergono germogli molto positivi, come ad esempio la presenza dei volontari in diverse espressioni della vita comunitaria o il cammino di iniziazione cristiana o la ricerca di fede nelle persone che hanno fame e sete della Parola di Dio. Ma anche le difficoltà percepite, in particolare la poca presenza dei giovani, sono concrete ed espresse con grande chiarezza. Questo ha portato a riflettere sul desiderio di comunicare, ma anche sulla necessità di creare legami forti di amicizia. Dalle fatiche rileviamo quindi l’idea della Chiesa che vogliamo. Si è avviato uno stile nuovo, un atteggiamento interiore condiviso da molti, un impegno mantenuto e portato avanti, ed è l’indicazione più preziosa da consegnare alla nostra comunità, il frutto che poi porterà altri frutti». «Abbiamo trovato uno spazio dove ciascuno poteva portare la propria autenticità e bellezza – sottolinea Chiara Pajaro di Vigodarzere – c’era la consapevolezza di camminare insieme, non solo come comunità, ma come Diocesi, di essere chiamati a portare il proprio sguardo attento al presente e al futuro. Questo modo di ascoltarsi e di raccontarsi può diventare modello da replicare all’interno delle relazioni in comunità perché c’è sete di incontri attenti, accoglienti, familiari». «Questo è il messaggio che portiamo alla comunità – conclude mons. Doni – una Chiesa che ascolta, fatta di relazioni, di persone che si riconoscono fratelli. Una Chiesa in cui l’umanità emerge, in cui si dà peso alle relazioni. Lo sguardo sulla realtà delle comunità cristiane è stato molto corretto e realistico: non ci si è celati dietro alcun velo, ma anzi fatiche e limiti sono stati manifestati chiaramente. In questo ho colto un tentativo di capire cosa il Signore stia facendo nella e per la comunità, nel contesto diocesano e nel tempo che viviamo. Lo possiamo considerare quasi un esercizio di fede in cui si fa chiara l’idea che l’esperienza e la realtà cristiana sono opera dello Spirito che sta guidando la sua Chiesa».

Ancora tanta la nostalgia per il passato...

Nell’unità pastorale di Piovene si è colta al volo l’indicazione di coinvolgere negli spazi di dialogo persone che vivono ai margini delle attività, formando così gruppi eterogenei, anche per età (dai 60 in su quelli più “parrocchiali”, dai 35 ai 55 anni gli altri). Tante le riflessioni sul futuro della Chiesa. «C’è nostalgia per il passato, per le chiese piene, le liste di attesa dei campiscuola, i patronati invasi dai ragazzi – racconta Anna Rudella, facilitatrice – e si fa fatica a fare proposte per il futuro, si nota mancanza di valori nei giovani e poca voglia di mettersi in gioco. E mancano anche le visite a casa del parroco, c’è ancora bisogno di ascolto, ma i presbiteri hanno troppi impegni amministrativi». Si è parlato di accoglienza a tutti, del modo di vivere la fede ed essere cristiani che pretende una preparazione importante, un continuo cammino per alimentarla, una formazione cui dovrebbe puntare la Chiesa. E si è riflettuto anche sull’iniziazione cristiana: «È da ricalibrare – sottolinea Rudella – è troppo presto fare i sacramenti entro i dieci anni, poi i ragazzi si perdono, sono pochissimi quelli che rimangono in parrocchia da giovanissimi e ancora meno dopo. E poi, ci si chiede, perché i giovani sacerdoti rimangono negli uffici diocesani, invece di essere destinati a parrocchie e condividere, la loro vita con i giovani e le famiglie?».

Pastorale “contaminata” dagli spazi di dialogo

A Vigodarzere lo spazio di dialogo ha già contaminato altre esperienze perché la modalità è stata estesa anche al gruppo di catechesi. «Questo è sicuramente uno dei frutti portati alla comunità – spiega il parroco, don Giovanni Marchiorello – un altro frutto è la rielaborazione di alcuni dati raccolti da due partecipanti esperti in statistica. Penso che questo sia un segno della voglia di condivisione, della cura dell’altro, della qualità nella relazione, nel “noi”. E, ad ampio raggio, questo poi si traduce anche nel sognare una Chiesa meno preoccupata a conservare e mantenere ciò che si è conquistata nel tempo, ma più orientata a riacquistare quello smalto di gioia, leggerezza, gratuità che sembra essersi perso. Una Chiesa più inclusiva in cui l’annuncio sia più incalzante, ma non stressante. Incalzante perché mi nutre, mi fa felice»

La parrocchia non è una realtà da rottamare

«Abbiamo anche capito – afferma don Sante Varotto, parroco di Lusiana – che la parrocchia non è una realtà da rottamare, ma rimane strumento attuale per adempiere al mandato del Signore: andate, predicate, battezzate. Abbiamo capito che le persone sono chiamate ad annunciare la missione della Chiesa e, più che dire come dovrebbe essere la Chiesa, c’è da puntare sul rinnovamento individuale perché possiamo essere segno di cambiamento e la fede non sia una realtà scontata ma una scelta. La proposta cristiana non invecchia mai e il Signore ci sorprende sempre con la sua creatività: dobbiamo solo tornare alla fonte del Vangelo e attingere alla sua freschezza originale».

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