Cosa mi attendo dal tempo che verrà? Ogni giorno ha il sapore del Vangelo

«Vedo la nostra Chiesa che si mette addosso l’abito della fiducia, delle opere belle, della formazione, di possibili riassetti perché ciò che appare sia davvero ciò che conta». Cosa mi attendo dal tempo che verrà? Cosa vedo di bello e di buono? Dal vicario generale una lettura “incarnata” del cammino che sta vivendo la Chiesa di Padova

Cosa mi attendo dal tempo che  verrà? Ogni giorno ha il sapore del Vangelo

«I giorni si susseguono. Mutano le nubi. Le stagioni passano come processione lenta e regolare nei nostri boschi e sui campi, e il tempo passa senza neppure che ce ne accorgiamo. Il Cristo riversa su di noi dal Cielo, come fuoco di giugno, lo Spirito Santo, poi ci guardiamo attorno e ci avvediamo di essere nel cortile a sgusciare il granturco, mentre il vento freddo di fine ottobre passa tra i boschi quasi spogli e morde fin dentro le ossa. Qualche minuto dopo è Natale, e il Cristo rinasce». Sono parole luminose di Thomas Merton alle quali torno di tanto in tanto, come capita in questo tempo di autunno, mentre si rimettono in moto le scuole, le attività pastorali, si vendemmia l’uva, le giornate si accorciano... C’è il sapore di cose che vanno e di cose che restano. C’è la vita di tutti, c’è la vita del mondo, abitata dalla presenza di Cristo che non viene meno. Anche l’invito di san Massimo il Confessore a «pensare secondo Cristo e pensare Cristo attraverso tutte le cose» dà forma alla stagione e al tempo in cui siamo, perché restituisce il senso di una fede che si veste dell’ordinario per renderlo straordinario. Cosa mi attendo dal tempo che verrà? Cosa vedo di bello e di buono? Ammetto che il mio incarico può risultare mortificante: abitualmente ci sono le carte, le cose che non funzionano, gli aggiustamenti continui, le lamentele, la delusione delle comunità e dei presbiteri davanti a un futuro che fatica a prendere forma. Insomma, ci sono situazioni e parole che sembrano aver poco a che fare con Gesù e la novità del suo Vangelo, eppure io non voglio che sia questa parte del mio lavoro a insegnarmi la vita e la fede. C’è molto altro che attende di essere riconosciuto: c’è il tanto bene ostinato e silenzioso che vedo mettere in atto, meno visibile di un tempo, ma non meno fecondo; ci sono uomini e donne che si occupano dei figli degli altri e ci sono uomini e donne che danno dignità alla vita di altri; ci sono preti che si spendono senza trattenere nulla e ci sono persone che tengono viva l’anima delle comunità; c’è chi custodisce domande grandi e c’è chi si esprime nella carità. C’è un contesto che ci rende inevitabilmente più poveri e meno forti, rendendoci allo stesso tempo ugualmente generosi. Abbiamo ancora parole più grandi di noi da spendere bene: prendono forza proprio dal fatto che non sono nostre, ma salvano il mondo. Vedo la Chiesa di Padova che si veste a festa, o per lo meno si mette addosso l’abito della fiducia, delle opere belle, della formazione, di possibili riassetti perché, nonostante tutto, ciò che appare sia davvero ciò che conta. Non so se vedo bene, ma sento che queste parole sono necessarie e a me prima di tutto. E nessuno si permetta di dire che le cose vanno male, come se questa fosse l’unica sentenza possibile: il Vangelo è troppo bello per credere che ne sia finito il sapore.

mons. Giuliano Zatti
Vicario Generale della Diocesi di Padova

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