Da Padova a San Severino, per condividere sogni e fatiche

Don Luca Ferro da tre mesi è dono della fede di Padova per la Chiesa sorella colpita dal sisma del 2016. Il rammendo della comunità è partito. Questa è l'ora della preghiera e dell'aiuto.

Da Padova a San Severino, per condividere sogni e fatiche

Da tre mesi, don Luca Ferro osserva San Severino dalla finestra dell’ex palazzo vescovile. Ormai lo sa, ciò che appare normale quotidianità in una splendida cittadina marchigiana, in realtà nasconde una ferita profonda e invisibile al primo sguardo. La Quaresima di fraternità, per la Chiesa di Padova, vive anche qui, dove il tempo si misura in “prima” e “dopo il terremoto”.

«Il terremoto ti prende la testa». La gente ne parla continuamente. Basta un tir di passaggio, i vetri di una finestra che vibrano, e l’istinto di scappare fuori di casa o di rifugiarsi sotto un architrave si ripresenta identico al 26 e al 30 ottobre del 2016.

Don Luca è il punto di congiunzione tra le due Chiese sorelle. Padova, con la risposta generosa del vescovo Claudio. Camerino-San Severino Marche, con la domanda di aiuto del pastore oriundo padovano Francesco Giovanni Brugnaro, con le sue 300 chiese inagibili su 320, con i suoi 40 sacerdoti sfollati su 60 totali. «Il terremoto ha cambiato il volto esistenziale e pastorale di questa chiesa – racconta il sacerdote padovano in servizio nella parrocchia di San Severino vescovo – Gli effetti della tragedia si vedono nel cuore e nella mente delle persone, durano tutt’ora e saranno percepibili a lungo. È lo strano destino di San Severino: nessuna vittima immediata nei crolli, ma un’onda lunga di ansia, stress, preoccupazione. Oltre alla perdita delle strutture che permettono di incontrarsi, vedersi, ritrovarsi».

Il rammendo della comunità è in atto, ma necessiterà di anni, forse decenni per completarsi. San Severino fa i conti con i suoi 3.500 sfollati su 12.600 abitanti. La parrocchia di don Luca per i due terzi ha dovuto abbandonare le proprie case e il grande centro interparrocchiale don Orione, reso inagibile, ha trovato solo all’Epifania un “fratello minore”: tre container uniti, donati generosamente dal decanato di Cantù, capaci di ospitare le attività. «Grazie a questo dono abbiamo recuperato tre classi di catechismo – riprende don Luca – Un segno importante in una realtà in cui diversi tra i chierichetti, la domenica, fanno 40 chilometri per partecipare alla messa delle 11.30, sempre affollata, nel tendone che ha preso il posto della nostra chiesa. Inagibile anch’essa».

A tre mesi dal suo arrivo, il prete padovano vede famiglie e bambini tornare sempre più alla messa. La domenica, la comunità si ritrova. Ed è proprio ai più giovani, in chiave estiva, che don Luca indirizza il suo pensiero:«Stiamo pensando a un’estate ragazzi, per riprendere contatto con coloro che affollavano il centro pastorale, e che abbiamo perso di vista dall’ottobre 2016. Abbiamo bisogno di urgente aiuto per acquistare tre gazebo per poter dare vita alle attività».

Nel frattempo da Padova cresce l’attenzione attorno a questa esperienza di fraternità fra chiese. Non c’è in programma solo il viaggio per i sacerdoti che l’Istituto San Luca sta organizzando per i primi di aprile. C’è la parrocchia di Paluello che ha chiamato don Luca per una testimonianza in Avvento, e poi Codiverno e Agna, che stanno pensando di portare i giovani a San Severino l’estate prossima. «Accogliamo queste esperienze, questi gemellaggi, a braccia aperte – commenta don Luca – anche se non sarà possibile compiere dei veri e propri campi-lavoro, ma esperienze intense di animazione accanto alla Caritas sì».

A reggere l’urto del terremoto, nell’immediatezza della tragedia, è stata la pastorale familiare. «Il nostro cammino non si è fermato, semmai ha rallentato – racconta Valentina Sticconi, che con il marito Fernando segue le famiglie in parrocchia e in diocesi – Il nostro gruppo “Famiglia di famiglie”, composto da una decina di coppie, è diventata l’occasione per gustare lo stare insieme, reso impossibile per tanti dalla perdita della loro casa e del loro tempo».

Perse le strutture parrocchiali già con la scossa del 24 agosto, non si sono fermati nemmeno gli incontri in preparazione al matrimonio, con riferimenti come le esperienze di don Renzo Bonetti e la comunità di Caresto. «Spaventati, preoccupati, fuori dalla nostra normalità, abbiamo deciso di andare avanti insieme – continua Valentina – E ora stiamo conoscendo don Luca, che ci porta una prospettiva diversa, per il quale mandiamo un grande grazie alla nostra chiesa sorella di Padova».

«Don Luca sta diventando un punto di riferimento per tutto – interviene Tarcisio Antognozzi, parrocchiano e assessore al bilancio di San Severino – Per i ragazzi, il suo è un volto adulto sorridente tra i mille segnati dalla preoccupazione e dall’ansia. In questo momento ha l’energia e la forza che ci mancano, perché è libero dal ricordo di ciò che abbiamo vissuto».

San Severino è stato il primo comune del Centro Italia a liberarsi delle macerie del tragico sisma. A un anno dalla scossa del 30 ottobre (6,5 Richter, paragonabile per magnitudo solo a quello dell’Irpina del 1980) la città era sgombra dalle 21 mila tonnellate di calcinacci che la invadevano. Ma il Calvario di questa gente dura tuttora. «Nell’anno successivo al terremoto, il tasso di mortalità si è impennato – riprende l’assessore – I nostri anziani non hanno retto al colpo. Secondo gli studi compiuti dalle ong che sono venute in soccorso, il 50 per centro dei nostri ragazzi delle scuole dell’obbligo soffre di stress psicologico post-traumatico, frutto della preoccupazione che assorbono in famiglia».

I dati forniti dal Dipartimento di salute mentale dell’Area vasta 2 danno l’idea della via Crucis che la popolazione sta ancora compiendo. Nella provincia di Macerata il tasso di mortalità post sisma è salito del 15 per cento (del 20 a Fermo, del 12 nell’Ascolano): 140 morti in più. L’utilizzo di antidepressivi è schizzato in su del 70 per cento, gli ansiolitici del 33 per cento, mentre gli antipsicotici del 7 per cento. Gli anziani soffrono la “fuga” dalle proprie case e il cruccio di non farvi ritorno in tempo.

«Le scosse sono durate mesi – conclude Antognozzi – Ancora a gennaio 2017 l’ennesimo sisma ha messo in fuga la gente che si è trovata di fronte un muro di due metri di neve e poi un black out elettrico di due giorni. Ci chiediamo, cosa deve accadere ancora? Nel frattempo, mentre la ricostruzione degli edifici pubblici procede, la burocrazia impastoia l’apertura dei cantieri privati.Non lasciateci soli, venite a visitare queste terre ricche di storia e di arte, permetteteci di raccontarvi quanto abbiamo vissuto».

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