Dad o scuola in presenza? Nel confronto “vince” la seconda, ma si potrebbe fare di più

Dad o scuola in presenza? Nel confronto “vince” la seconda, ma... proprio perché i benefici della scuola in presenza sono inoppugnabili, qualcosa di più si potrebbe fare

Dad o scuola in presenza? Nel confronto “vince” la seconda, ma si potrebbe fare di più

Al di là delle contrapposizioni esasperate fra chi (in questo infausto periodo) sostiene a spada tratta la scuola in presenza e chi il suo opposto, ovvero la didattica a distanza (Dad), è possibile mettere in ordine alcune idee senza suscitare la stizzita reazione di chi non è d’accordo sul punto di vista espresso? Proviamo. Nessuno, neanche i più avveduti virologi, possiede la sfera di cristallo, e nessuno può fare previsioni sicure sull’andamento della pandemia.

Però ci si comporta (non solo in Italia) come se il virus fosse destinato a esaurirsi in poco tempo invocando la Dad per questo tempo invernale, consentendo così poi una regolare ripresa della scuola in presenza nella seconda parte dell’anno scolastico.

Lo scorso anno studenti e genitori avevano riempito alcune piazze d’Italia con slogan e striscioni per invocare la scuola in presenza. In questi primi giorni dell’anno, a motivo dei contagi schizzati alle stelle, duemila presidi su ottomila, hanno preso carta e penna chiedendo di entrare in Dad per tutto il mese di gennaio. La risposta del governo, sia nel suo presidente Draghi e sia nel suo ministro deputato all’Istruzione (Patrizio Bianchi), è stata determinata e coraggiosa: no alla chiusura delle scuole con varie e ponderate motivazioni che è bene richiamare. Dopo due anni di pandemia il problema non è la giusta considerazione da dare agli strumenti digitali quanto il senso stesso da attribuire all’esperienza scolastica in età evolutiva.

Ed è su questo versante che vanno trovate le ragioni più profonde che si possono riconoscere nella scelta governativa. A prescindere da una situazione contingente e pressante che – come estrema ratio – potrebbe portare la scuola dell’obbligo a entrare in Dad (a seconda del colore attribuito dal Cts alle varie regioni d’Italia), la scuola in presenza rimane la modalità didattica di apprendimento più funzionale nella formazione di un individuo.

Daniele Novara, pedagogista, su Avvenire del 9 gennaio lo ha ben spiegato: «Ci sono tappe di crescita che non possono essere saltate. I bambini dai 3 ai 6 anni hanno bisogno dei loro coetanei in una misura irriducibile, necessaria e indispensabile come dormire, mangiare e godere dell’accudimento dei propri genitori. Alla primaria gli apprendimenti basilari del leggere, scrivere e far di conto non possono avvenire in un contesto virtuale sganciato, come nel caso della scuola on line, dall’esperienza concreta, tangibile, sensoriale, direbbe Maria Montessori, dalla condivisione di materiali didattici e dello scambio mutualistico fra i coetanei». Non c’è schermo, non c’è tastiera, non c’è connessione che possa riempire questo bisogno di relazione e di contatto che la scuola nel suo essere costitutivo garantisce a ogni studente.

«Quando i ragazzi arrivano all’adolescenza – scrive ancora Novara – il bisogno della scuola non è semplicemente il bisogno di materie, discipline, conoscenze, contenuti e obiettivi di vario genere quanto di un incontro e a volte scontro con coetanei che sono a loro volta dentro il desiderio evolutivo di uscire di casa, di liberarsi dal controllo dei genitori, di vivere nuove avventure e nuove scoperte anche a livello affettivo, sentimentale, sessuale e sportivo. La scuola è il punto di convergenza della crescita per i nostri bambini e i nostri ragazzi. Non esiste un piano B».

Se poi diamo un’occhiata agli altri Paesi europei, questo orientamento lo troviamo confermato: Germania, Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, hanno deciso di tenere aperte le scuole nonostante il numero elevato di contagi. C’è un altro aspetto che non può essere omesso. Vada pure per la scuola in presenza (sulla quale il governo sembra aver vinto la sua scommessa tacitando coi numeri i detrattori), ma almeno alcuni accorgimenti la pandemia avrebbe dovuto insegnarli, ma da quel che si vede in giro non sembra. I trasporti pubblici e le aule continuano a essere sovraffollati (si era auspicata una riduzione del numero di studenti per evitare le classi pollaio). Alcuni edifici scolastici sono inadatti per affrontare la pandemia, le mascherine Ffp2 non sono ancora garantite in tutte le scuole.

Nel confronto tra scuola in presenza e Dad la prima surclassa la seconda. Se poi la comparazione la facciamo coi numeri non c’è neanche partita. Però è pur vero che proprio perché i benefici della scuola in presenza sono inoppugnabili, qualcosa di più si potrebbe fare perché almeno la vittoria sia piena.

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Bene ha fatto il governo a volere le scuole aperte. Si faticherà a mantenere tutte le classi in presenza, ci saranno ancora contagi (ma più fuori che nelle aule) didattiche miste, classi in Dad e si dovranno comunque moltiplicare prudenze, mascherine Ffp2 e tamponi. Ma tant’è. Bisognerà continuare a prenderla con filosofia, al netto delle posizioni di filosofi alla Becchi (e contenti), su cui sia consentito l’oblio. La pandemia non è finita e anche i vaccini, che pure hanno di gran lunga attenuato le conseguenze più rovinose del Covid, non sono riusciti a contenerlo e a debellarlo. Non hanno contribuito i no vax con il loro rifiuto intimorito o protervo e aggressivo. Il no al vaccino è peraltro una scelta spesso pagata cara anche in termini di puro egoismo, come si vede dai dati su ricoveri e terapie intensive. Lasciamo però cadere il rinvio alla tradizione teologica che vuole la colpa essere già anche la pena. Prevalga la compassione sulla brutta tentazione di dire «se la sono cercata».

Giacomo Bevilacqua

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