Esaltazione delle Croce. Rifugio nelle ferite del Signore

Esaltazione delle Croce. Dal prefazio: «Nel legno della croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo...»

Esaltazione delle Croce. Rifugio nelle ferite del Signore

I Vangeli non descrivono che con pochi verbi taglienti, scolpiti, la passione di Cristo. «Fu crocifisso», «fu flagellato», «gridò», «spirò», senza nessun indugio sul suo patire. Ci si ferma alla soglia del racconto del dolore, anche per il Figlio di Dio.

Paolo, dopo aver affermato di non avere altro vanto che la croce di Cristo, si ritrae nel silenzio: «D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 6,17). Chi soffre non vuole svolazzi poetici. Eppure è proprio la poesia che, con la sua sintesi, può evocare l’indicibile. Penso al verso dell’antica preghiera Anima Christi, che recita: «Intra vulnera tua absconde me», nascondimi nelle tue piaghe. L’orante trova rifugio nelle ferite del Signore, perché la croce è segno del Mistero pasquale: non è solo dolore, ma vittoria.

Il testo del prefazio dell’Esaltazione della Croce dichiara: «Nel legno della croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché da dove sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall’albero dell’Eden traeva la vittoria, dall’albero della croce venisse sconfitto». L’enigma della sofferenza scopre nel mistero pasquale il suo senso. Sulla croce, il Verbo parla morendo e muore spirando il soffio della Trinità, che ci raggiunge attraverso quel dolore infinito. La sua croce, nel buio dell’eclissi, farà splendere il fuoco dell’amore di Dio.

La colletta: «O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la croce del tuo Figlio unigenito, concedi a noi, che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero, di ottenere in cielo i frutti della sua redenzione» offre una sciabolata di luce nella notte del dolore. La poesia, nell’eucologia, non rimane vuota. Ha la forza del Verbo incarnato, che parla e realizza quanto dice.

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