I cattolici, elettori mimetici. I dati dell'analisi di Alessandro Castegnaro

Supponiamo di essere andati a messa una domenica di settembre 2022, in una parrocchia in cui i presenti votano in modo assolutamente identico alla media dei praticanti italiani. Che tipo di opzioni di voto avremmo trovato?

I cattolici, elettori mimetici. I dati dell'analisi di Alessandro Castegnaro

Considerato il peso esercitato in passato dal voto dei cattolici è inevitabile che a ogni elezione si ripresenti la domanda peraltro sempre meno rilevante: ma i cattolici come hanno votato? Ovviamente nella risposta da dare a questa domanda molto dipende dalla definizione che si dà dei cattolici. Qui, in assenza di qualcosa di meglio, ci riferiamo ai praticanti assidui, lasciando perdere quel genere di persone la cui appartenenza religiosa non si manifesta che in forme saltuarie e per le quali quindi si può ritenere che essa influisca poco sui comportamenti (con le debite eccezioni ovviamente, esistono anche dei magnifici “saltuari”). È possibile fare una veloce analisi avvalendosi dei risultati di una
indagine condotta da Ipsos, l’Istituto di ricerca diretto da Nando Pagnoncelli. La numerosità delle interviste condotte – 16 mila – consente di dire qualcosa sui praticanti con un minimo di serietà. Dallo studio di Ipsos emerge che il voto alle politiche di settembre non aggiunge nulla di nuovo a quanto le Europee del 2019 avevano messo in luce. I cattolici brillano per la loro perfetta capacità di mimetizzarsi. Lo si può facilmente vedere dando un’occhiata alla tabella che mette a confronto le opzioni di voto dei praticanti con quelle della popolazione nel suo insieme. I praticanti non sono, dunque, più a destra, come spesso si sente dire. E non sono nemmeno più a sinistra. Il loro voto si spalma tra le diverse posizioni politiche esattamente come fa la popolazione italiana, con variazioni minime e comunque non significative. Se c’è una specificità essa sta in qualche punto percentuale in più di persone che si astengono dal votare, che fu ancora più evidente alle Europee di tre anni fa quando i non partecipanti superarono il 50 per cento, ma rimane forte anche oggi (quasi il 40 per cento).

Nella scelta di non votare in parte si evidenzia la presenza di atteggiamenti caratterizzati da quei sentimenti antipolitici che sono purtroppo penetrati anche nell’ambiente ecclesiale. In parte pensiamo sia il derivato di quell’atteggiamento, coltivato proprio all’interno degli ambienti ecclesiali, in base a cui si dice che il cristiano di fronte al voto è in difficoltà perché la destra sostiene quelli che al tempo di Benedetto XVI (e di Ruini…) venivano chiamati valori non negoziabili, ma non è abbastanza interessata alle questioni sociali; mentre la sinistra lo sarebbe, ma porta avanti principi diversi in ordine alle questioni non negoziabili. In base a questa ormai invecchiata contrapposizione, che però gira ancora per le parrocchie, non potendo trovare partiti che contemperino entrambe le istanze alcuni cristiani che si ritengono di “forti principi” si astengono dal votare. Sappiamo da tempo che il pluralismo del voto cattolico è un dato assodato, espressione dell’esistenza tra i cristiano-cattolici di diverse culture politiche e diverse culture tout court, a loro volta correlate con modi diversificati di intendere l’appartenenza cristiana. Non è questo il punto. Il punto è: come dobbiamo valutare l’assoluta assenza di qualsiasi influenza dell’ispirazione religiosa sul comportamento di voto? È pensabile che una cosa è riconoscere il pluralismo dei cattolici sul piano del voto, qualcosa di stabile ormai, positivo tra l’altro, perché certamente il Vangelo è compatibile con diverse culture politiche; un’altra è accettare come del tutto non problematico il fatto che essi votano (e fanno tante altre cose…) esattamente come gli altri, o addirittura sembrano meno impegnati politicamente al punto da partecipare di meno al voto, nonostante le raccomandazioni dei loro vescovi. Possiamo porci due domande che implicano ipotesi diverse per spiegare questi risultati, la prima più ottimistica, la seconda meno, ma forse più realistica. La coscienza cristiana è un lievito che agisce nelle coscienze, in forme che possono essere straordinariamente efficaci, ma agisce in modo nascosto, non rilevabile con le analisi dei comportamenti elettorali? O, semplicemente, i cattolici subiscono gli stessi processi mediatizzati di formazione degli orientamenti politici che agiscono su tutti e, non avendo né luoghi dove confrontarsi politicamente (e pacatamente), né sorgenti significative che li orientano, reagiscono allineandosi a ciò che fa la popolazione nel suo insieme? Tra la nostalgia di alcuni per un tempo caratterizzato dall’egemonia cattolica e la posizione di chi teorizza, quasi felicemente, l’insignificanza pratica dell’ispirazione cristiana nell’agire politico è ancora possibile pensare a una terza posizione, senza con ciò pensare a all’ipotesi demodé di un altro partito dei cattolici? O tertium non datur?

Alessandro Castegnaro

In Parlamento ci sono medici, artigiani, agricoltori, giornalisti

Non c’è nemmeno un operaio tra gli inquilini di Palazzo Madama, sede del Senato; uno fa l’artigiano, due sono agricoltori. Un quinto dei senatori (43 su 206) ha superato l’esame di avvocato; 25 sono imprenditori; 21 vantano la qualifica di dirigenti. Venti fanno i professori universitari; 18 i consulenti; 16 i giornalisti. Dieci sono medici; otto i funzionari di partito. Ai 200 eletti si affiancano sei senatori a vita (Giorgio Napolitano; Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia nominati dallo stesso Napolitano; Liliana Segre nominata da Sergio Mattarella).

Ammontano a 91 (il 44,2 per cento) i senatori che possono indicare nel loro curriculum un diploma di laurea, 44 vantano invece un diploma di scuola secondaria superiore. Due inquilini di Palazzo Madama si sono fermati alle medie, uno ha la licenza elementare. Tra i laureati ammontano a 17 quelli che si fregiano di una laurea specialista a ciclo unico, 16 sono dottori di ricerca, 9 hanno frequentato un master universitario, due esibiscono una laurea magistrale. Sei hanno una laurea specialistica, altrettanti una laurea di primo livello, cinque un diploma di specializzazione. Tre non hanno indicato il titolo di studio.

La fascia anagrafica più numerosa è quella compresa fra 50 e 59 anni con 86 senatori (59 uomini e 27 donne); segue la fascia 40-49 anni con 58 rappresentanti (30 uomini e 28 donne); quella tra 60 e 69 anni con 46 eletti (33 uomini e 13 donne); i senatori over 70 sono 16 (13 uomini e 3 donne). Complessivamente gli uomini sono 135 (il 65,53 per cento), le donne 71 (il 34,47 per cento). L’età media sfiora i 56 anni; le donne sono più giovani e hanno in media poco più di 53 anni. Ben 73 (su 200, il 36,5 per cento) sono i senatori confermati dalla precedente legislatura; 36 sono invece quelli arrivati da Montecitorio. Risultano 78, infine, quelli al primo incarico: tra loro i veneti Mara Bizzotto (Lega, proveniente dall’Europarlamento), Andrea Crisanti (Pd, microbiologo); Aurora Floridia (Europa Verde, consigliera comunale a Malcesine); Matteo Gelmetti (Fdi, consulente veronese); Raffaele Speranzon (Fdi, già consigliere regionale in Veneto, surrogato a Palazzo Ferro-Fini dallo jesolano Lucas Pavanetto).

Alla Camera dei deputati, dove gli eletti sono 400 (con un taglio di ben 230 scranni rispetto alla precedente legislatura), gli uomini sono invece 271 (il 67,75 per cento), le donne 129 (il 32,25 per cento). Tra i cinque onorevoli collocati nella fascia 25-29 anni, ben due sono veneti: la trevigiana Rachele Scarpa, la parlamentare più giovane (nata il 29 gennaio 1997), esponente del Partito democratico, e il padovano Alberto Stefani (avvocato leghista, sindaco di Borgoricco), che il prossimo 16 novembre soffierà su trenta candeline. Fra i 30 e i 39 anni figurano 60 deputati. La fascia più folta (150) è quella tra i 40 e 49 anni; in quella 50-59 anni gli onorevoli censiti ammontano a 118; quelli con più di sessant’anni sono 67.

Otto i deputati nati in provincia di Padova: i leghisti Massimo Bitonci, Arianna Lazzarini e Alberto Stefani; Elisabetta Gardini e Marina Marchetto Aliprandi (Fdi); Alessandro Zan (Pd); Enrico Cappelletti (M5S); Piergiorgio Cortelazzo (Forza Italia). Nel Vicentino hanno visto la luce tre onorevoli: Maria Cristina Caretta e Silvio Giovine (Fdi); Erik Umberto Pretto (Lega). Cinque inquilini di Montecitorio vantano natali trevigiani: i leghisti Ingrid Bisa, Gianangelo Bof e Dimitri Coin; il meloniano Carlo Nordio; la dem Rachele Scarpa. Due deputate sono nate nel Veneziano: Martina Semenzato di Noi Moderati e Luana Zanella dell’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana.

Alla Camera hanno la laurea 236 deputati; 92 hanno conseguito la maturità; due hanno la licenza media; per cinque onorevoli non è stato rilevato il titolo di studio; sei non l’hanno indicato. Per quanto riguarda la professione, ben 72 deputati sono avvocati; 22 risultano giornalisti; 12 sono funzionari di partito; 42 gli imprenditori: uno soltanto (Attilio Pierro, eletto dal centrodestra in Campania) è operaio; ben 14 sono commercialisti (come l’ex sindaco di Padova Massimo Bitonci); dodici insegnano; dieci sono docenti universitari; 21 si dichiarano dirigenti; sei hanno la laurea in ingegneria (tra loro Alessandro Zan); tre (tra cui Elisabetta Gardini) si qualificano professionisti dello spettacolo. Due deputati, infine, arrivano dalla magistratura e sono Simonetta Matone e Carlo Nordio. (C. B.)

A settembre ha votato solo il 63,91 per cento

Le prime elezioni politiche del 1948 videro un’affluenza del 92 per cento degli aventi diritto. Alcuni picchi successivi, come il 93,39 per cento registrato il 20 giugno 1976. Nel 1983 si andò per la prima volta sotto il 90: 88 per cento.

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