Il canto del cristianesimo inizia dalla stella della fine. Rileggendo l'Egloga VI di Virgilio

Virgilio, nel suo scritto più ambizioso – Egloga VI –, canta il tutto del cosmo e dell’uomo, fino al comando della stella che annuncia la notte, Vesper: è tardi. È l’ora di accettare l’amara Necessità. Ma non è così per chi crede in Lui...

Il canto del cristianesimo inizia dalla stella della fine. Rileggendo l'Egloga VI di Virgilio

Lo scritto più ambizioso di Virgilio non è l’Eneide e non si trova all’interno del celeberrimo poema epico. È l’Egloga VI, dove un Sileno, artista del canto, cerca di raccontare il tutto del cosmo e dell’uomo. Sono versi di grandiosa plasticità e forza musicale. Cominciano dalla nascita delle realtà fisiche, poi attraversano, in una potente sintesi arbitraria, le storie delle mitologie, e infine guardano, con occhi ormai pieni di energia profetica e immensa delicatezza, le figure dell’oggi. Fino a che il canto canta quasi se stesso e commuove dèi e uomini, piante e rocce, aria e stelle: tutti in ascolto, con lo stesso languore di chi lo sente inspiegabile e “molto buono”.

Ma ecco la tagliola della Necessità. Basta. È tardi; è sera. Lo comanda “Vesper”, la stella che annuncia la notte. E l’Olimpo, che pendeva dalle labbra del cantore e non avrebbe voluto smettere, deve accettare l’amara Necessità, Ananke – la parola quasi senza suono, la realtà perfettamente senza vita, cui il mondo classico affida la custodia delle porte di ogni mistero. Gli dèi sono costretti a trangugiare la tristezza con uno sforzo che Virgilio rende attraverso un ablativo assoluto divenuto simbolo: “invito Olympo”. La vita finisce dove comincia quel nodo in gola. Ci hanno lavorato gli stoici a rendere decente l’urlo di dolore che, a quel punto, è l’uomo, cui restano solo le distrazioni di guerre, conquiste, potere, imprese al limite. È invece dalla stella della fine che inizia il canto del cristianesimo. Certo, è sempre benedizione di un Sole che sorge, acclamazione di un Oriens, ma la luce trionfale ha già attraversato la notte e non smette per un istante di cantare nelle ore del buio. E chi è toccato dal kerigma del Crocifisso risorto a questo dice il suo “amen”, il sì della fede: a questa poesia, che sente farsi aria e fiori e pietre e uomini e Dio, quando entra in una chiesa dove si celebrano i Vespri con la dolcissima maestà che è loro propria.

Catene, veri monili per chi fu scelto dal Signore

Sfogliando la Liturgia delle ore: «Prendo parte vivamente alla vostra gioia nel Signore nostro Gesù Cristo perché avete praticato la parola della carità più autentica. Infatti avete aiutato nel loro cammino i santi avvinti da catene, catene che sono veri monili e gioielli per coloro che furono scelti da Dio e dal Signore nostro». (san Policarpo di Smirne)

La luce del Cristo sacrificato illumina il vespro

«Il vespro è illuminato da una luce che non conosce limite: Cristosacrificato» (Gianandrea Di Donna, in La Veglia Pasquale e gli After-Hours).

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