Il ricordo di don Giuseppe Masiero, riparatore di brecce, mancato un mese fa

Don Giuseppe. Masiero Scomparso un mese fa, viene ricordato da Paolo Giaretta, don Cesare Contarini e don Marco Cagol: «Ci ha lasciato in eredità una Chiesa improntata a un protagonismo laicale»

Il ricordo di don Giuseppe Masiero, riparatore di brecce, mancato un mese fa

È trascorso un mese dalla scomparsa di don Giuseppe Masiero. Sono molti i ricordi di quanti, preti e laici, lo hanno conosciuto. A queste memorie si tessono le riflessioni sull’eredità spirituale e di impegno sociale che un testimone così importante ha affidato alla Chiesa e non solo. Tra i ricordi personali quello dell’ex sindaco di Padova, Paolo Giaretta. «Ci manca davvero. Manca la sua parola mite e persuasiva, capace di costruire relazioni, di mettere insieme i diversi, di offrire una amicizia sincera. Potremmo ricordare per lui il passo di Isaia (58,12): “Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi”. È stato un prete solido, appassionato del suo ministero, nelle diverse forme in cui è stato chiamato ad esercitarlo. Con umiltà, ma con piena determinazione e passione. Io lo ricordo in particolare alla guida della Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi: in momenti anche difficili, di tensioni sociali, di drammi umani per crisi occupazionali, su una frontiera esigente, appunto riparatore di brecce sociali, esprimendo non solo a parole la vicinanza della Chiesa padovana. Insieme a don Livio Destro, suo vice e poi suo successore, ha continuato la tradizione dei grandi preti sociali come don Giovanni Nervo e don Piero Zaramella, che nella durezza della guerra e della Resistenza al nazifascismo avevano posto le fondamenta della presenza attiva della Chiesa padovana nel mondo del lavoro. Una eredità importante raccolta da tutti i loro successori, vicini ai lavoratori delle aziende in crisi, presenti nelle associazioni sindacali e professionali, ovunque dando un competente consiglio ed una vicinanza spirituale. Ricordo anche l’impegno con cui sostenne l’iniziativa della Missione cittadina. Un impegno per il quale ha chiesto aiuto a quanti potevano sostenerlo, in particolare a Ruggero Menato, magnifica figura laicale. Insieme ricordavano che “la città prima di tutto deve essere compresa, deve essere amata e deve essere anche armonia di volti e di storie”; nello stesso tempo dicevano che “la città deve aprirsi come germe di futuro al mondo giovanile”». «Un amico anche. Sempre vicino nell’aiutare con idee e sostegno spirituale l’impegno dei cattolici in politica, per cui aveva anche dato sviluppo e impostazione ambiziosa alla Scuola socio-politica. Lo ricordo con affetto per tanti colloqui utili e costruttivi da sindaco, da privato cittadino, cui, anche se privo d’incarico, non fece mancare amicizia e vicinanza, e poi da senatore. A Roma era diventato assistente nazionale delle Acli, un ruolo importante per le politiche sociali della Chiesa italiana. Incontrandolo con una certa frequenza, tutti e due “esuli” dalla nostra città, io da senatore, lui da assistente, penso di non sbagliare dicendo che guardasse con una certa nostalgia a un lavoro pastorale più vicino al territorio, alle speranze dei fedeli, ai consigli da dare. Così divenuto parroco di Selvazzano riprese un lavoro sociale importante, tornando a essere attivo protagonista nel territorio. Confesso che ho provato un po’ di rimpianto per le tante cose positive che don Giuseppe ha promosso in città, ma insieme anche ho guardato alla profondità del suo pensiero, al moto generoso del cuore, che ci resta in eredità, guardando oltre il contingente».

Lo ricorda anche don Marco Cagol, suo successore alla guida della Pastorale sociale in Diocesi. «Anche se lontani di generazione, di don Giuseppe conserverò sempre la grande affabilità e la smisurata passione per i temi sociali che trasmetteva a chiunque. Insieme abbiamo condiviso il nostro servizio all’Istituto San Luca per la formazione permanente del clero: don Giuseppe, occupandosi dei sacerdoti anziani; io, dei preti giovani. Anche in questi momenti ho potuto apprezzare l’attenzione per i fatti del mondo e lo sguardo sempre rivolto alle realtà, il grande afflato sociale peraltro molto pastorale. L’eredità più grande che ci ha lasciato è quella di una Chiesa improntata a un protagonismo
laicale. Una Chiesa che entra dritta al cuore dei problemi sociali ma non in maniera clericale, bensì prendendosi cura dell’impegno laicale. Don Giuseppe era, poi, preziosa memoria di un periodo storico di attivismo della nostra Chiesa locale e nazionale. Aveva vissuto a pieno la grande stagione della pastorale del lavoro, quella di una presenza militante dell’associazionismo cattolico, pensiamo alle Acli. Una stagione che, in buona parte, non c’è più ma che si sicuro ha lasciato un segno che non si cancella».

Le persone vengono sempre prima

«La più grande eredità, affidata alla Chiesa e non solo – sottolinea don Contarini – è che la persona viene prima delle istituzioni; queste hanno un senso solo se sono a servizio degli altri, avendo il coraggio di stare pure fuori dagli schemi se serve. Don Giuseppe ci ha insegnato, con grande umiltà e senza proclami, che le persone vengono sempre prima di qualsiasi numero, conto, bilancio».

Un’umanità smisurata, capace di farsi piccola

Per anni, dal 1985 e fino a quando è diventato parroco di Sant’Agostino, don Giuseppe e don Cesare Contarini hanno abitato nella stessa casa. «Una condivisione che abbiamo avuto modo di rivivere durante la pandemia, risiedendo entrambi al Barbarigo, dove ha abitato negli ultimi 4-5 anni – racconta don Cesare – È stato un tempo intenso, brevi camminate nel giardino interno per sgranchirci le gambe e grandi scambi di opinione e di riflessione. La grande eredità che mi ha lasciato è quella di una umanità smisurata e, al tempo stesso, capace di farsi piccola. Sapeva stare con le persone ascoltandole, senza stancarsi mai. Possedeva una intelligenza acuta: era capace di intuire al volo collegamenti anche tra ambiti, posizioni, spunti differenti, riassumendo poi una molteplicità di visioni che è sempre ricchezza»

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