La carità nel tempo della fragilità. Passi di buon vicinato. La riflessione di don Leopoldo Voltan

Il progetto che coinvolge le comunità padovane riletto secondo le tre parole chiave: fragilità, carità, tempo. La fragilità, in particolare, crea legami, evita divisioni e accomuna gli uomini. Qui fiorisce la novità. Tante parrocchie si mobilitano. I progetti sono solo l’inizio. Il resto verrà, abbondante, nel segreto dei cuori

La carità nel tempo della fragilità. Passi di buon vicinato. La riflessione di don Leopoldo Voltan

Non saprei cosa potrei aggiungere rispetto a La carità nel tempo della fragilità. Tanto avevamo già detto e scritto a giugno, da remoto, e poi ripreso, in presenza, nelle serate di ottobre.

Anche la scorsa settimana La Difesa ha ospitato, in più pagine, una bella intervista al vescovo Claudio, un‘ulteriore presentazione del sostegno sociale parrocchiale e le prime narrazioni di alcune parrocchie già attive in questa direzione. Vorrei sostare accanto alle tre parole che compongono l’orizzonte pastorale della nostra Diocesi: fragilità, carità, tempo.

Fragilità.

Forse il più trascurato nella presentazione e quello forse su cui su cui ci siamo interrogati di meno. Forse lo vediamo più nella logica di alcuni che possono essere più esposti al dramma della vita, e oggi in particolare alle conseguenze del virus. Anche l’espressione «siamo tutti nella stessa barca», sembra rimanere appunto slogan, “dividendoci” ancora una volta in chi ha bisogno e in chi può dare qualcosa a vantaggio di altri. Allo stesso modo in cui ci “dividiamo” in positivi e negativi.

“Fragilità”, recupero alcune suggestioni di Luciano Manicardi nell’omonimo testo Fragilità, è di tutto ciò che esiste. È nome invariabile, uguale al singolare e al plurale, condizione costitutiva dell’umano, indica una miriade di situazioni personali, psicologiche e fisiche, come pure relazionali e sociali. Eppure la fragilità è di tutti noi e non solo di alcuni, constatazione impressa nel corpo (lo stesso ombelico indica la nostra dipendenza originaria) «diviene creatrice di legami, agisce come ponte che istituisce rapporti tra diversi, facilita una vera fraternità. Per quanto indesiderabile può divenire capace di mobilitare una società e di creare rapporti di solidarietà. Il problema non è la fragilità in sé, che finalmente ci affratella tutti, ma ciò che se ne fa».

In questo senso è bene anche verificare il nostro linguaggio e pensiero. Le immagini della “guerra”, usate molto in primavera e che sta adesso ritornando in voga può essere rivista in “cura”. La guerra si nutre di strategie, mezzi, risorse, eroi e ha un tempo, termina; invece la cura, il prendersi cura si nutre di prossimità, compassione, umiltà, dignità, delicatezza, tatto, ascolto, pazienza. Cura è “reciproco” e “indistinguibile” nella parola stessa: qualcuno si prende cura di me, io mi prendo cura di qualcuno. «Possiamo tutti essere artefici essenziali di questo aver cura dell’altro. Essere in cura e non in guerra è una condizione fondamentale anche per il “dopo”: il futuro sarà segnato da quanto saremo stati capaci di vivere questi giorni difficili, sarà determinato dalla capacità di cura. La cura non finisce mai. Se esistono malattie inguaribili, non esistono e non esisteranno mai persone incurabili. Non siamo in guerra, siamo in cura! Curiamoci insieme». (Guido Dotti, monaco di Bose, 29 marzo 2020).

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Carità, non solo nella logica dell’aiuto economico ai poveri.

Questa opportunità sensibile e molto praticata è importante e decisiva: una carezza concreta, attesa e desiderata, che non può mancare. Non si può volgere lo sguardo altrove. Ma la carità ha tanti volti e modi, come ricordato nel testo di giugno: di ascolto e di annuncio evangelico, nel campo educativo e formativo, nei segni e nelle parole liturgiche, in uno sguardo missionario ed estroverso, nella vicinanza trasversale a tutte le età della vita, nella responsabilità verso la salvaguardia del creato. Il Vangelo si traduce naturalmente in carità e allo stesso tempo noi credenti possiamo comunicare a tanti la carità del Vangelo: Colui che incoraggia, libera, sostiene, accompagna la nostra fragile vita!

Tempo, abitare questo tempo.

«I numeri tornano a salire secondo l’invariabile matematica del contagio, le strade si svuotano verso sera, i nomi dei positivi famosi si inseguono tra sport, spettacoli, tribune internazionali. E noi ci sentiamo di nuovo increduli e smarriti mentre brancoliamo nella stessa foschia di marzo/aprile con il timore di andare a sbattere gli uni contro gli altri. La seconda ondata, che era prevista eppure pareva impossibile, ci mette alla prova. E questa prova autunnale è, se possibile, più sottile e dunque più esasperante: ci sembra di non aver più scorte di cibo né di compassione. Tutta la sequenza romantica di bandiere, canzoni, balconi, pane lievitato è ormai in servibile» (Barbara Stefanelli, Corriere della sera). Con una qualche approssimazione possiamo affrontare questo tempo con tre atteggiamenti. Il primo, l’adattamento: speriamo passi presto e che tutto torni come prima. «Andrà tutto bene». Il secondo, la resilienza: in questa stagione difficile dobbiamo tirare fuori il meglio di noi. «Ce la faremo». Il terzo, che riprende lo spunto dal fatto che la parola fragilità non ha il suo contrario e che potremo definire “anti-fragilità”: nella situazione di crisi possiamo imparare e migliorare. «Andrà tutto nuovo». «L’antifragilità va al di là della resistenza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l’antifragile migliora». Sicuramente come comunità cristiane stiamo maturando e migliorando tanto, stiamo crescendo in lenti ma dinamici percorsi di umanizzazione, illuminati dal Signore Gesù.

Sento tante parrocchie (e tanti battezzati) che si stanno interrogando sul sostegno sociale parrocchiale, che stanno riscoprendo prassi umili di buon vicinato, che antepongono le necessità di chi è più in difficoltà alle situazione economica faticosa della parrocchia, che con creatività stanno accanto ai più “piccoli” in tempi in cui esserci è oggettivamente complicato. Tanti modi in cui “andrà tutto nuovo”, in cui siamo già “antifragili”, in cui la carità del Vangelo ci sta trasformando.

La carità nel tempo della fragilità, le cose dette e scritte, i progetti scelti e quelli da avviare sono solo l’inizio: il resto verrà, in modo abbondante e sorprendente nel segreto dei cuori, nelle umili scelte quotidiane delle nostre case e parrocchie, nella forza nascosta di ogni ferita, nella gioia del Vangelo e del Battesimo.

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