Le parrocchie sono ancora in grado di generare alla fede? Scosso l’albero della fede. Parla Franco Garelli

Le parrocchie sono ancora in grado di generare alla fede? Ce lo chiediamo su uno sfondo che è fatto di un calo
sensibile della partecipazione alla pratica religiosa. Causata dal Covid, certo, ma non solo...

Le parrocchie sono ancora in grado di generare alla fede? Scosso l’albero della fede. Parla Franco Garelli

Sono ancora molti i cristiani che frequentano la messa domenicale e le attività della parrocchia, luogo in cui incontrano
Cristo e i fratelli nella fede. Ma, oggi, le parrocchie sono ancora in grado di generare alla fede e di trasmetterla a chi è più giovane, “tiepido” o lontano? «La tendenza degli ultimi 20-30 anni vede la pratica religiosa in diminuzione in Italia – spiega il sociologo Franco Garelli – Si è passati dal 36 per cento di fedeli frequentanti le celebrazioni nel 2001 al 20 per cento di questi ultimi anni. Il Covid è senz’altro una delle cause che hanno pesato nei tempi più recenti, anche se non è ancora chiaro se tale diminuzione sia legata alla minor partecipazione degli anziani che temono il contagio o sia un fenomeno complessivo di calo della fede». Un secondo dato, collegato al primo, riguarda la situazione singolare del nostro Paese «dove oltre il 70 per cento di cittadini si dichiara cattolico, a differenza di altre nazioni europee dove circa la metà della popolazione si dice atea, agnostica, non credente. All’interno di questo 70 per cento ci sono due tipologie principali di soggetti: circa il 20 per cento è rappresentato dal nucleo di cattolici convinti, per lo più con formazione religiosa intensiva, che partecipano a gruppi e associazionismo, e trasmettono la fede ai figli. Costoro sono i più vicini alla Chiesa, anche se non è detto che ne approvino tutte le istanze. L’altra quota rilevante di soggetti, 35-40 per cento, si identifica ugualmente nel cattolicesimo, riconosce che la fede è un tratto della propria famiglia, ma si tratta più di un “cattolicesimo culturale”, legato al fatto di essere nati in Italia. Questa percentuale è in crescita perché connessa a una società differenziata, multiculturale e rappresenta una riscoperta delle proprie radici».

Vivere nella modernità, in un contesto plurale, secondo Garelli apre a una fede relativa. «Oggi i credenti sono dubbiosi, credono magari in un Dio, ma non è necessariamente un Dio cristiano. L’atteggiamento nei confronti della Chiesa, poi, è ambivalente: se da una parte si accusa questo papa di non aver fatto molto per sradicare alcuni mali insiti nella Chiesa, dall’altro si chiede alla Chiesa stessa di non cambiare i suoi punti fermi. Ancora, se da un lato si registra una certa apertura nei confronti dell’eutanasia, le cose cambiano nei confronti della procreazione assistita o dell’utero
in affitto...». Un altro aspetto che assume un peso rilevante nel nostro Paese riguarda la religiosità popolare: 5-6 milioni di italiani la coltivano. Basti pensare alla devozione nei confronti di sant’Antonio o padre Pio, solo per citare due tra i santi più amati e “frequentati”; è diffusa, legata all’esigenza di avere una fede sensibile, fatta di simboli. Un capitolo a parte, poi, è quello che riguarda le fasce di popolazione più giovane. «Il 40 per cento dei giovani si dichiara agnostico, verso un 25 per cento di adulti che si dice non credente – prosegue il sociologo – I più giovani partecipano ai percorsi per ricevere i sacramenti, poi lasciano la comunità parrocchiale: oggi la società offre molte alternative. Si riscontra comunque nei giovani una ricerca di senso». Guardando al contesto attuale, è indubbio che la pandemia abbia lasciato delle conseguenze. «Ciò che si è registrato durante il lockdown è stata la ricerca di incontro tra credenti, al di là dei limiti fisici; c’è stato un attivismo interessante per cercare di vivere le celebrazioni nonostante l’impossibilità di uscire di casa. Si sono verificate curiose sperimentazioni e le persone hanno scoperto comunità diverse da quelle della propria parrocchia; ecco che oggi le parrocchie di elezione non sono più necessariamente quelle più attraenti, laddove sono presenti comunità significative si crea un polo di riferimento e, accanto a parrocchie che riducono il numero delle messe, ce ne sono altre che funzionano bene. Nel bene e nel male la pandemia ha “scosso” l’albero della fede».

Continuiamo a interrogarci sulla Chiesa oggi

A metà ottobre è cominciato il nostro “viaggio” per capire, girando per la Diocesi di Padova, qual è il volto della Chiesa oggi. Siamo partiti da una domanda: come stanno le parrocchie all’inizio dell’anno pastorale? È emerso che, pur vestendo ciascuno la fede a seconda dei contesti di vita ed essendoci oggi la tentazione di “fare da soli”, è la comunità che celebra e sostiene il singolo. Ma, questa comunità... è ancora in grado di generare alla fede? Abbiamo rivolto questa domanda, per la seconda tappa del nostro viaggio, al sociologo Franco Garelli, a don Leopoldo Voltan, vicario per la pastorale, e a tre laici delle nostre comunità. La rivolgiamo anche a tutti voi lettori – laici, presbiteri, religiosi – e vi invitiamo a scriverci (redazione@ difesapopolo.it) qual è la vostra esperienza e in merito. Se poi questo approfondimento, o quello precedente, vi suscitano nuovi “fronti” da approfondire... li raccogliamo volentieri.

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