Padre Bernardo Longo. Una vita donata per il Vangelo

Mercoledì 7 a Curtarolo, prima sessione dell'inchiesta diocesana suppletiva-del Servo di Dio

Padre Bernardo Longo. Una vita donata per il Vangelo

Mercoledì 7 dicembre si terrà, alle 17 nella parrocchiale di Santa Giuliana a Curtarolo, la prima sessione dell’inchiesta diocesana suppletiva del Servo di Dio, padre Bernardo Aquilino Longo (dehoniano). Presiederà la sessione il vescovo Claudio Cipolla; saranno presenti il postulatore padre Ramón Domínguez Fraile, don Tiziano Vanzetto (direttore dell’Ufficio diocesano delle cause dei santi), don Antonio Oriente e don Nicola Tonello (collaboratori dell’ufficio). L’inchiesta diocesana era stata avviata nel 1992, d’accordo con i Dehoniani, per accertare l’eroicità delle virtù (super virtutibus); il supplemento d’inchiesta è legato al fatto che è stato allargato il “campo d’indagine” sulla fama di martirio. Nato a Curtarolo il 25 agosto 1907, Bernardo Longo frequentò per tre anni il seminario minore di Padova; a vent’anni fu costretto a presentarsi a Verona per il servizio militare. Entrò poi nei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) e solo nel 1936 fu ordinato sacerdote. «Nel 1938 – si legge in una breve biografia curata dai Dehoniani – lo troviamo missionario nella regione dell’Alto Congo (Africa), in piena foresta equatoriale, nella zona ancora inesplorata tra Avakubi e Wamba, che egli stesso definisce “patria dei Walesse, dei pigmei e degli elefanti”. A partire dal 1950, sua residenza abituale è il villaggio di Nduye (presso Mambasa, Congo), che diverrà la sua missione, il suo amore, il suo martirio». E ancora: «Missionario dal cuore generoso, si rivela presto un vulcano di idee e di iniziative, a sostegno dell’evangelizzazione e per la promozione umana e spirituale della gente. Non alta tecnologia, ma progetti a portata di tutti: come coltivare le banane o il caffè, come lavorare il legno per costruire un tavolo o una capanna, come smontare e rimontare i pezzi di un motore... E, in campo femminile, con la cooperazione delle Pie Madri della Nigrizia, come lavorare di taglio e cucito, come gestire una scuola o un dispensario. È sempre vissuto povero e con i poveri. Alloggiava in una misera capanna di fango e di paglia. Di fango e di paglia erano anche la chiesa, la scuola e l’officina. Ma in questo ambiente così povero viveva un missionario dal cuore grande». Quando, nel vortice della rivoluzione del 1964, «fu invitato a nascondersi nella foresta per aver salva la vita, rispose: “Nel momento del pericolo il pastore non può abbandonare il suo gregge”. Volle quindi restare nella missione e con le “sue suore”, esortandole a testimoniare, nonostante tutto, perdono e speranza cristiana». Morì alle porte di Mambasa il 3 novembre 1964, «lo sguardo rivolto alla sua Nduye, colpito al petto da una lancia. Non una bara, ma solo la talare e il suo rosario l’hanno accompagnato alla tomba. Ha speso tutta la sua vita per la missione di Nduye, costruendo una comunità generosa, attuando la promozione umana tra i pigmei; ma soprattutto coronando il suo impegno missionario con la donazione della vita».

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