Padre Ezechiele Ramin: fedele a Dio e obbediente alla Chiesa. Messa nell’anniversario della sua morte, il 24 luglio

La presenza comboniana a Padova è scandita da vari eventi e tra loro si evidenza il ricordo annuale dell' uccisione, in Brasile, di padre Ezechiele Ramin. È un momento di ricordo, ma ancora più, è l'occasione per cogliere e approfondire un particolare aspetto che contraddistingue la sua vita missionaria e il suo martirio.

Padre Ezechiele Ramin: fedele a Dio e obbediente alla Chiesa. Messa nell’anniversario della sua morte, il 24 luglio

La celebrazione si è tenuta il 24 luglio nella chiesa di San Giuseppe in Padova, parrocchia dove padre Ezechiele è stato battezzato e dove ha fatto tutto il percorso di iniziazione cristiana, fino ad essere qui consacrato sacerdote ed essere salutato e affidato a Dio, nella sua ultima celebrazione eucaristica terrena. L’assemblea liturgica – composta dai fedeli della parrocchia, dai familiari di padre Ezechiele, ma anche da molti amici e suoi estimatori e amichevolmente accolta dal parroco, don Enrico Luigi Piccolo – è stata presieduta da don Raffaele Coccato, nuovo direttore del Centro missionario diocesano, che faceva così la sua prima uscita ufficiale. Un gruppetto di comboniani si è unito alla concelebrazione. Quest’anno si é voluto ricordare padre Ezechiele come un giovane missionario che obbedito alla Parola di Dio e alle scelte pastorali della sua Chiesa.

Padre Gaetano Montresor, in una breve omelia, ha immaginato padre Ezechiele che prega il Padre nostro e si impegna a mettere in pratica questa parola di Dio che, tante volte, ha recitata. Padre Ezechiele spesso ha agito, chiamato all' azione dalla Parola di Dio, fin da quel giorno che si è immedesimato in Giona che fugge da Dio che lo chiama ad essere annunciatore di salvezza, e poi ritorna per accettare la missione che Dio gli chiede. Chiamando Dio, Padre, non può non spendersi completamente per tutti coloro che considera fratelli e sorelle. La sua missione sarà vivere la fraternità. Tra i tanti fratelli incontrati, due gruppi diventano i suoi preferiti: coloro che sono senza terra, da dove possono trovare, con il loro lavoro, il pane quotidiano che la preghiera del Padre nostro domanda; e gli indios che, allontanati dai loro territori di vita, diventano persone senza pace, quel dono che nella seconda parte della preghiera del Padre nostro chiediamo a Dio, attraverso il perdono dei peccati, l’assistenza nella tentazione e la liberazione dal male. Così facendo, padre Ezechiele era convinto di costruire quel Regno di Dio che, nella preghiera, si chiede avvenga, un Regno dove ci sia pane quotidiano per tutti e pace profonda per tutti coloro che sono umiliati e derubati della dignità umana.
La sua missione è stata vissuta in obbedienza alle scelte pastorali della chiesa di cui era figlio e pastore, donandosi con tutte le sue forze, e stava anche ottenendo dei risultati, che non potevano essere accettati da chi, con violenza, gli ha sbarrato la strada e ha tentato, inutilmente, di mettere a tacere la sua voce.

Verso la conclusione della celebrazione abbiamo recitato insieme la preghiera preparata dal vescovo emerito di Ji-Parana, recentemente scomparso, il padovano mons. Bruno Pedron, diretta a Dio ed accompagnata dal Servo di Dio, padre Ezechiele.

Alla fine della celebrazione padre Giuseppe Cavallini, compagno di formazione di padre Ezechiele è intervenuto per la dare la sua testimonianza del clima sociale, politico, ecclesiale, giovanile, spirituale di quel tempo, gli anni Settanta, in cui per sei anni ha vissuto insieme a p. Ezechiele, il postulato, il noviziato e lo scolasticato.

Ecco alcuni passaggi della sua testimonianza.

«Lele, un normalissimo giovane come mille di noi post-sessantottini, certamente piuttosto sognatori e forse illusi, convinti che certo “il mondo lo avremmo cambiato noi con lo spirito rivoluzionario che dal ’68 in poi ci animava! Ritenevamo la politica una cosa seria, perché avevamo figure esemplari in campo politico (La Pira, Moro, Berlinguer…). Nutrivamo una spinta interiore inarrestabile che si nutriva nell’incontro con figure ecclesiali ispiratrici del dopo Concilio come Helder Camara, Raul Follerau e l’Abbè Pierre. Credevamo davvero che se la fede non si fosse tradotta in scelte politiche e impegno sociale sarebbe stata – per dirla con Marx che studiavamo con passione – “alienazione e oppio del popolo”. Non era sufficiente analizzare il mondo, bisognava trasformarlo…! Per questo alla fine alcuni scelsero di entrare in politica, altri di seguire la via del radicalismo ideologico dei gruppi extraparlamentari (Lotta Continua, Potere Operaio, Brigate Rosse ecc..) fino alla lotta armata in Italia o all’estero. Altri infine di convincersi che la strada migliore per trasformare il mondo fosse di diventarne cittadini scegliendo la vita missionaria. In ogni caso, radicali o meno che fossimo, come aspiranti comboniani decisi a continuare, ci ritrovavamo tutti, a partire da Lele, nella definizione di Bonhoeffer sul senso della vita, cioè l’esistere per gli altri».

«Anche dopo il periodo di formazione, quando le nostre strade si sono divise, io verso l’Africa, Etiopia e lui verso l’America Latina, il Brasile, siamo sempre rimasti in amicizia e in contatto. Quando si è saputo che partiva per il Brasile, subito tra compagni, ci siamo detti: “Mamma mia, la sua caparbietà e determinazione lo metteranno a rischio!”. Anche se conoscevo il Brasile solo in teoria, sapevo che, per il loro impegno, tanti venivano uccisi, perché esposti molto più che in Africa, al rischio di rimetterci la vita se diventavano troppo scomodi. Lele non poteva esimersi dal dire le cose come stanno o dal denunciare le ingiustizie senza girarci intorno. Lo faceva non per ostentare o per amor proprio o per guadagnare stima, bensì perché sentiva che questa era la strada che gli indicava il Vangelo, che era stata scelta dalla Chiesa Latino-Americana a Medellin e Puebla e che lo faceva sentire in pace con la sua coscienza. Al contrario di chi lo accusa di non avere obbedito a quanto richiestogli nelle circostanze del suo martirio, Lele sentiva che era questo il modo di obbedire alla chiesa, di essere fedele ad essa e soprattutto ai poveri. La relazione tra Lele, l’Istituto e la chiesa istituzione era di natura dialettica e a volte controversa, come per molte altre figure profetiche, ma in definitiva scaturiva da un grande amore per la chiesa e chi la rappresentava. E come al tempo dei padri della chiesa quando si affermava che il sangue dei martiri era seme di nuovi cristiani, così il sangue di Lele è diventato segno e semente di stimolo a migliaia di cristiani brasiliani e non, di assumersi la propria responsabilità nel dare testimonianza della propria fede. Con il suo martirio è diventato per noi di Marca ’76 (nome del nostro gruppo ci consacrati nel 1976), un faro che ci chiama alla stessa coerenza, disposti a dare la vita sul suo esempio, ma soprattutto è simbolo di donazione radicale alla chiesa, ai poveri e al Regno di Dio, per milioni di persone che hanno beneficiato della sua testimonianza, perché non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici».

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Fonte: Comunicato stampa