Penitenzierie. La Chiesa con le braccia aperte. Le confessioni alla Basilica del Santo e al santuario di San Leopoldo

Quella della basilica del Santo e del santuario di San Leopoldo sono punto di riferimento per numerose persone. Confronto tra padre Ramina, padre Gusella e don Oriente

Penitenzierie. La Chiesa con le braccia aperte. Le confessioni alla Basilica del Santo e al santuario di San Leopoldo

C’è una lunga tradizione di attenzione al sacramento della riconciliazione in basilica del Santo e al santuario di San Leopoldo, due penitenzierie della Diocesi di Padova che sono punto di riferimento per numerose persone. «Vi si trova accoglienza e disponibilità, a ogni ora del giorno – afferma don Antonio Oriente, delegato vescovile per la vita consacrata – sono luoghi in cui una parola semplice e uno stile di ascolto fanno nascere delle domande. Sant’Antonio e san Leopoldo sono esempi di grande accoglienza nei confronti delle persone che si accostavano al sacramento della penitenza, determinati nel combattere il male, coscienti di essere amministratori della misericordia del Padre. Il sacramento della penitenza porta gioia perché riconcilia con il Signore e con la comunità dei credenti. È un incontro sanante che genera pace, come una medicina che cura, riequilibra e rimette in circolo quell’amore che parte da Dio e a Dio ritorna. Purtroppo, a volte, sembra che non se ne colga il valore e che questo sacramento sia in crisi». «Difficile dare risposte chiare: forse è in crisi perché è in crisi la fede – afferma padre Antonio Ramina, minore conventuale, rettore del Santo – Soprattutto nei decenni passati, la confessione è stata imposta come un precetto: rimane tale, però si è perso il senso profondo che è quello di un incontro con il Signore che ti vuole bene e ti vuole donare in pienezza la sua amicizia. È in crisi anche perché si è sempre più abituati a far da sé e confessarsi significa cogliere le proprie fragilità, chiedere aiuto ad altri, sgretolare l’immagine perfezionistica di sé. Il peccato è stato descritto come una colpa personale, in realtà è una ferita all’interno di un corpo ecclesiale, ma è venuto meno anche questo senso di appartenenza a una comunità ecclesiale rispetto alla quale io sono responsabile anche quando compio azioni o gesti che sembrano solo personali». «Già Pio XII – sottolinea padre Flaviano Gusella, cappuccino, rettore di San Leopoldo – affermava che il peccato più grave del nostro tempo è costituito dalla crisi del senso del peccato, della sua gravità se non, addirittura, della sua vanificazione. Mi sembra che siamo passati da una presentazione quasi ossessiva del peccato che “toglieva il sonno”, al pensare “in fin dei conti cosa ho fatto di tanto grave?”. Credo sia benefico ammettere la fragilità insita nella nostra natura umana e sperimentare la gioia di sentirci accolti e amati da Dio attraverso una comunità rappresentata dal confessore che ci perdona, ci abbraccia, ci incoraggia e ci rimette in cammino». Come dunque rieducarci a riscoprire e valorizzare le nostre fragilità? «Il papa ha dato delle regole molto semplici da usare in famiglia per non rompere la relazione: permesso, grazie, scusa – spiega padre Gusella – Sono suggerimenti validi anche all’interno delle nostre comunità e con il Signore. Quante volte riconosciamo i nostri atteggiamenti che feriscono? Sono fragile e chiedo al Signore la grazia di riconoscere la mia fragilità partendo proprio dalle cose più semplici». «Viviamo in un contesto in cui abbiamo la sensazione di valere nella maniera in cui produciamo qualcosa – aggiunge padre Ramina – le mie fragilità ostacolano la produttività. Come disinnescare questo dispositivo? Scegliendo di vivere spazi di vita non funzionali: chiacchierare con un amico, fare una passeggiata in montagna, gustare la vita anche se non faccio nulla. E pian piano la fragilità non è più qualcosa che mi spaventa».

L’età di chi si avvicina al sacramento della riconciliazione è abbastanza elevata, quasi assenti i giovani, soprattutto dopo la cresima, qualche eccezione per quelli che partecipano alle attività ecclesiali e hanno una sensibilità cristiana. «Se da un lato ci dispiace l’assenza della fascia giovanile – spiega padre Gusella – dall’altra parte cerchiamo di accogliere con bontà chi si accosta, pensando con dolore a chi ha dimenticato questo sacramento che è guarigione, conforto, consolazione per le tante difficoltà che viviamo». «Sono rimasto stupito – sottolinea però padre Ramina – perché i giovani vivono il sacramento in maniera particolarmente seria e responsabile, sono persone in ricerca che vengono per scelta e non per abitudine e cercano di vivere la loro fede con adesione personale». «Gli anziani – aggiunge padre Gusella – soffrono per l’allontanamento di figli e nipoti dalla vita della comunità: abbiamo fatto di tutto per trasmettere loro la fede, dicono, e adesso non vanno più in chiesa. Dove abbiamo sbagliato? È un grande peso che si portano dentro. Molti chiedono preghiere a san Leopoldo per le loro difficoltà e, da qualche anno, anche per guarire dal tumore oppure la grazia di accettarlo, con la forza di curarsi per combatterlo».

Al confessore viene chiesta capacità di ascolto e accoglienza: ma quanto pesa l’atteggiamento umano? «È fondamentale, sblocca le persone» affermano i due rettori. Ma è una modalità che parte da dentro. Padre Leopoldo in questo è stato maestro. «Aveva l’orrore del peccato – sottolinea padre Gusella – ma allo stesso tempo era umanissimo con il peccatore e interessato alla vita personale, familiare, lavorativa. Viveva nel suo confessionale ma il suo orizzonte era amplissimo. Toccava temi della vita quotidiana, manifestando vicinanza e condivisione». «Accogliere con il sorriso e con uno stile non giudicante non è sempre facile – dice padre Ramina – Ci vuole una sorta di rimotivazione. Il papa ha dato tre prospettive molte belle. La prima che la confessione è il sacramento della gioia di un nuovo inizio e non il peso di un giudizio. È incontro rinnovato con il padre misericordioso che fa festa, c’è quindi gratuità nell’amicizia ritrovata. E poi il protagonista della confessione è Dio: il confessore è sullo stesso piano della persona che si sta confessando».

Fra confessore e penitente si instaura una relazione, seppure di breve durata e alle volte anche sporadica: è un reciproco dare e ricevere? Oppure è a senso unico? «Sono molto contento quando incontro persone in ricerca – risponde il rettore della basilica del Santo – che si fanno domande, che non vivono la vita in maniera superficiale,
scontata. Portiamo insieme la fatica della ricerca. Questo è il primo dono che ricevo. Il secondo è vedere persone commosse, gioiose e non per meriti del confessore. Far contenti gli altri fa contenti noi. E poi il confessore che dedica tempo ad ascoltare persone entra in contatto con la complessità dell’esistenza». «Se fosse riscoperta la ricchezza di questo ministero probabilmente sarebbe esercitato da un numero maggiore di sacerdoti – conclude padre Gusella – È una dimensione unica e straordinaria per accostare le persone, si tocca con mano la straordinarietà della grazia effusa dal protagonista, Gesù Cristo, come diceva padre Leopoldo. È, inoltre, un grande esercizio di umiltà: mentre ascolti le persone con le loro debolezze sei invitato a sentirti peccatore con i peccatori. È un esercizio di fedeltà al popolo santo di Dio, segno di una Chiesa sempre con braccia e cuore aperti per dispensare misericordia e perdono e in questo tempo in cui sono messi in discussione molti punti di riferimento, tenere fermo questo valido sostegno della vita spirituale è quanto mai importante».

Prassi penitenziale da ripensare

La domanda di riconciliazione non manca, è la forma a essere in crisi. È partita da questo dato di fatto – che ha trovato evidenza nel tempo di pandemia con l’alta partecipazione di fedeli alla celebrazione della penitenza nella “terza
forma” – la riflessione sviluppata nella giornata di studio “Ripensare la prassi penitenziale. La terza forma della penitenza: esperienza da archiviare o risorsa?”, che si è svolta il 27 febbraio nella sede della Facoltà teologica del Triveneto. L’iniziativa è stata promossa dalla stessa Facoltà in collaborazione con la Facoltà di Diritto canonico San Pio X di Venezia e l’Istituto di Liturgia pastorale Santa Giustina di Padova. Le tre istituzioni già nei due anni precedenti
avevano approfondito la questione in un percorso di ricerca con i contributi di docenti di liturgia, teologia morale, diritto canonico, sociologia, teologia pastorale e sacramentale. Per approfondire il tema si può visitare il sito della Facoltà: fttr.it

Due “riferimenti” in città: Cattedrale e al Corpus Domini

In città è “meta” di molti fedeli anche la penitenzieria della Cattedrale, dove è presente mons. Antonio Pedron, canonico penitenziere, 98 anni appena compiuti. Altro riferimento è la chiesa del Corpus Domini, in via Santa Lucia, dove si incontrano vari confessori, soprattutto nei giorni feriali.

Il Santo aderisce a “24 ore per il Signore”

La Basilica di Sant’Antonio di Padova aderisce alla decima edizione di “24 ore per il Signore”, l’evento di preghiera e
riconciliazione voluto da papa Francesco che quest’anno si terrà all’oratorio della Scoletta del Santo, sul sagrato, dalle 19 di venerdì 17 alle 19 di sabato 18 marzo.

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