Perché sei rimasto in parrocchia? "L’ho scelta, è come la mia famiglia. Mi ha dato tanto"

Perché tu sei rimasto in parrocchia? Abbiamo rivolto questa domanda ad alcuni laici e laiche adulti della nostra Diocesi. Nelle loro risposte c’è tutta la ricchezza dell’esperienza comunitaria, ma vengono evidenziati anche i limiti

Perché sei rimasto in parrocchia? "L’ho scelta, è come la mia famiglia. Mi ha dato tanto"

C’è una fase nella vita dei bambini, attorno ai due e i tre anni – chi ha figli lo sa – in cui la parola pronunciata più spesso durante il giorno è “perché” in tono interrogativo. «Perché il cielo è azzurro? Perché papà e mamma vanno a lavorare? Perché sono nato?» Poi, a un certo punto, attorno ai sette anni, le domande cambiano. La curiosità rimane, ma i “perché” interrogativi diminuiscono e si inizia, man mano che si cresce, a dare sempre più cose per scontate. Nel nostro viaggio dentro i “grandi temi” della Chiesa oggi – tra problemi e opportunità – abbiamo scelto per una volta di dismettere gli occhiali da adulti, forse più capaci di inquadrare le complessità ma più miopi su tanti elementi considerati ovvi, e di indossare i panni – e il candore – del bambino per domandare ad alcune donne e ad alcuni uomini: perché tu sei rimasto in parrocchia? Da una domanda – apparentemente – banale sono giunte molte risposte per nulla scontate.

«Perché mi sento parte della mia parrocchia come della mia famiglia» Fabiola Marangon, della parrocchia di Vigodarzere, ha 54 anni, è sposata, ha due figli e insegna in una scuola primaria. «Mi sento parte della mia parrocchia in serenità. Proprio come so che io sono limitata, ho le mie difficoltà e le mie pecche – da cristiana dico peccati – sto bene nella mia comunità perché so che siamo tutti perfettibili». Credere è un verbo che si coniuga al plurale: «Non concepisco né la mia fede né la mia esistenza individualmente, senza le dimensioni della socialità e del cammino». Certo, «pensare che nella mia parrocchia ci sono gruppi giovanissimi e giovani, campiscuola ed esperienze, o anche solo il sacerdote “pronto” per i miei figli» è utile, ma il “servizio” riscoperto nella sua importanza è «quello al dolore. Nella nostra comunità ci sono tante persone che soffrono e che vengono accompagnate dai sacerdoti. Forse questo servizio va potenziato e ripensato».

«Perché la parrocchia è la famiglia della mia famiglia»
Stefano Curto, parrocchia di Quero, ha 52 anni, è sposato con figli e lavora come commerciale per un’azienda di mobili. Nella sua vita di fede non c’è solo la parrocchia, ma anche la comunità di famiglie “Incontro matrimoniale” che insiste in un territorio più vasto. «La parrocchia – spiega – è la comunità dove viviamo e portiamo avanti, come famiglia, i nostri valori. Il nostro parroco, don Alessio Cheso, è giovane e riesce a interfacciarsi bene con le famiglie e i giovani. Ma oggi, più che in passato, il parroco è determinante per la salute e la vitalità della parrocchia, dato che il laicato non è ancora così maturo». Da fedele al confine della Diocesi, per di più in zona montana, non nasconde di rivolgersi per incontri di formazione anche alla vicina Diocesi di Belluno-Feltre, dove i figli frequentano la scuola: «Qui sei costretto a muoverti molto. E tra lavoro e impegni familiari la dimensione della parrocchia puoi viverla solo nel fine settimana».

«Perché l’ho scelta, ma per la mia fede non basta»
Liliana Stefani, della parrocchia di San Gregorio Magno in Padova, ha 56 anni, non è sposata e insegna a San Giorgio delle Pertiche. Per lei il solito inizio, con catechesi e sacramenti, ma la scelta – quella vera – arriva con la fine delle superiori e l’impegno nei gruppi parrocchiali di Azione cattolica. «In quel momento sono stata invitata a impegnarmi
da persone che, con il loro esempio e con la gioia che ci mettevano, mi hanno mostrato il bello di vivere laparrocchia». Partecipare alla vita della comunità in modo attivo – con servizi via via diversi – è divenuto naturale: è vicepresidente del consiglio pastorale ed è attiva per il Sinodo. Tanto servizio, ma per la vita di fede «il nutrimento che cerco come adulto lo trovo, salvo la messa domenicale, al di fuori della parrocchia». Se per i giovani vi sono molte proposte, «per l’adulto vi sono iniziative pastorali legate al suo ruolo sociale, come genitore, fidanzato, giovane sposo, raramente come adulto in quanto tale».

«Perché la mia fede si esprime nello stare insieme»
63 anni, di Arre, non sposato, insegnante alle medie di San Pietro Viminario, Ernesto Capovilla ha un cognome “pesante”. Suo papà, infatti, era cugino di don Loris Capovilla, il segretario del papa buono, e con don Loris – negli ultimi anni di vita da cardinale – è sempre stato in contatto. «La mia famiglia – spiega Ernesto – mi ha sempre indirizzato alla fede, ma la fede poi va maturata. La parrocchia è importante per condividere con gli altri credenti la quotidianità: serve la fede, ma altrettanto importanti sono le opere; la preghiera è indispensabile, ma anche il rapporto umano lo è». Ernesto racconta decenni di esperienze, di servizi e di buoni esempi. Di fronte al rammarico dei numeri che calano, la fiducia: «Ci penserà il Padre eterno, a noi tocca fare da testimoni».

«Perché ho ricevuto tanto. Mi piacerebbe che molti di più trovassero nella parrocchia un punto di riferimento »
Daniela De Gasperi, di Veggiano, ha 50 anni e lavora come impiegata. Nella sua vita, due parrocchie: nata e cresciuta a Sarmeola, dal 2000, anno del suo matrimonio, è a Veggiano. Attiva in parrocchia, si impegna anche nell’Azione cattolica diocesana. «In Ac – racconta – ho vissuto iniziative e momenti di fede che mi hanno fatto crescere». I numeri in calo danno di che pensare: «Ritengo che molto dipenda da una fede tiepida, non più così radicata in Gesù quanto sulle nostre emozioni, sulle nostre attività, su quello che ci piace fare. È per questo che non siamo più così attrattivi ». Una fede adulta, quella di Daniela, forgiata nel crogiuolo di tanti dolori e lutti familiari: «Senza la fede sarei stata allo sbando, per questo soffro nel vedere che in tanti non si accorgono dell’amore che Dio ha per noi».

Continuiamo a interrogarci sulla Chiesa oggi

Continuiamo a interrogarci sulla Chiesa oggi. Ogni mese, da ottobre, ci siamo posti una domanda: come stanno le parrocchie all’inizio dell’anno pastorale? Le parrocchie sono ancora in grado di generare alla fede? Perché non ci sono più i giovani in parrocchia? Ora, a inizio anno, abbiamo bussato alla porta di un gruppo di laici e laiche adulti per chiedere loro: perché frequenti ancora la parrocchia? Ma non ci siamo fermati qui: prima di tutto abbiamo chiesto a padre Luciano Bertazzo com’è, oggi, l’esperienza di fede degli adulti. E poi... abbiamo ascoltato le motivazioni di tre persone che in parrocchia “non ci vanno più”. Da questo ascolto sono nate due pagine che possono aiutare a riflettere sullo “stare” nella Chiesa oggi. Se volete inviarci le vostre riflessioni, i vostri “perché” state o non state in parrocchia, potete scrivere una mail/ lettera alla redazione (redazione@ difesapopolo.it). Se avete altri temi da suggerire, vi invitiamo a segnalarceli.

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