Raffaele Luise racconta l'"Amazzonia. Al tempo della fine". La Chiesa cattolica è l’unica vera alleata

L’intervista Raffaele Luise, decano dei giornalisti Rai, analizza la situazione della regione dopo un viaggio di due mesi e mezzo da cui è nato il libro Amazzonia. Al tempo della fine

Raffaele Luise racconta l'"Amazzonia. Al tempo della fine". La Chiesa cattolica è l’unica vera alleata

La situazione in Amazzonia? Peggiorata, anche a causa della grande distrazione planetaria provocata dalla guerra in Ucraina, che distoglie l’attenzione dalle malefatte in America latina. Così, a cercare di difendere dalla distruzione l’ambiente e la popolazione della più grande foresta del mondo è rimasta quasi solo la Chiesa cattolica, con i suoi vescovi e i suoi preti missionari, attorno a cui si raccolgono le popolazioni locali. Lo sostiene Raffaele Luise, decano dei vaticanisti Rai, una vita passata a raccontare le vicende della Chiesa, seguendo gli ultimi tre Pontefici nei loro viaggi in giro per il pianeta: più di ottanta fatti con Giovanni Polo II, tutti e 24 quelli compiuti da Benedetto, i primi di Francesco. Poi, per Luise, la pensione e la possibilità di approfondire i temi che l’appassionano e che ha seguito professionalmente. Nasce anche perciò il viaggio di due mesi e mezzo compiuto l’anno scorso, percorrendo tutta l’Amazzonia brasiliana, l’area più vasta della grande foresta, che appartiene a nove diversi Stati americani. Da quella esperienza nasce il libro Amazzonia. Al tempo della fine (pagg. 250, edizioni Appunti di viaggio, euro 20,90), che si fregia della prefazione di papa Francesco.

Perché questo viaggio e il libro che ne è seguito?

«Perché avevo una domanda, cui il viaggio ha dato abbondantemente risposta: l’Amazzonia è specchio del mondo e assurge a simbolo concreto per la nostra storia. È facilissimo, partendo dall’Amazzonia, fare riferimenti all’attualità che sarà sempre più tragica se non interveniamo: il Po e la Marmolada, per esempio, sono figure di quel destino che accomuna tutti e che ha proprio nell’Amazzonia uno degli episodi centrali».

Come sta la più grande foresta del mondo?

«Ho potuto constatare che la situazione è peggiorata. La deforestazione continua: nell’Amazzonia orientale un terzo della superficie verde è stato distrutto. Da un paio d’anni l’Amazzonia orientale emette più anidride carbonica di quanta ne assorbe: da soluzione del problema è diventata parte del problema e ci avvicina a quel punto di non ritorno che per fortuna ancora non è ancora stato raggiunto. Resiste meglio l’Amazzonia occidentale, quella più recondita, dove solo il 3 per cento della foresta è andata persa».

Nessun segnale di inversione di rotta e di controllo reale della deforestazione da parte del Governo federale brasiliano?

«No, Bolsonaro non ha cambiato politica. E si vede che è una politica nemica dei popoli indigeni e della foresta mentre è amica dei cercatori d’oro e di terre rare di cui è ricca l’Amazzonia, dei tagliatori di legname pregiato, dei latifondisti, dei pescatori di frodo: sono stato nella valle dove sono stati uccisi, pochi giorni fa (proprio perché filmavano pescatori di frodo, ndr) il giornalista anglo-americano Dom Phillips e l’antropologo brasiliano Bruno Pereira. In generale, anziché migliorare, la situazione è peggiorata».

Perché?

«Beh, intanto perché viviamo tutti all’ombra della guerra in Ucraina, che ha distratto la nostra attenzione permettendo agli aggressori dell’Amazzonia di poter portare avanti il lavoro senza essere troppo sotto gli occhi dei media. Il mio libro, che comprende un aggiornamento documentato sulla situazione, vuole essere un grido d’allarme a tutti i livelli, dagli scienziati agli sciamani, e un modo per riaccendere un’attenzione generale che si è spenta».

Il Sinodo sull’Amazzonia ha prodotto qualche esito?

«La mia esperienza lì e quella di queste settimane, che comprende l’aver visto e incontrato i vescovi brasiliani venuti a Roma per la visita ad limina a papa Francesco, mi conferma che la Chiesa cattolica è praticamente l’unica vera alleata, illuminata dal papa, dell’Amazzonia. La Conferenza episcopale amazzonica, di recente nomina, sta facendo un lavoro ottimo, insieme a poche frange di organizzazioni culturali e civili che stanno comunque risorgendo. La loro pastorale
quotidiana è illuminata dalla Querida Amazonia, l’esortazione apostolica di papa Francesco che purtroppo in Occidente è già stata dimenticata».

Che tipo di lavoro stanno conducendo i vescovi brasiliani?

«Un lavoro nell’ambito della pastorale sociale e culturale. Li ho visti e sentiti spesso: nelle loro omelie hanno una capacità comunicativa immediata e lucida: informano a partire dai dati dell’aggressione ecologica ed economica all’Amazzonia e declinano il Vangelo in una maniera per cui senti che il partillar, il farsi parte per gli altri, è veramente
realtà di tutti i giorni per quella Chiesa eroica, avversata dal governo e dai potentati locali».

Violenza all’ordine del giorno anche per i più giovani

Negli ultimi mesi si sono verificati l‘omicidio da parte della polizia militare dell’indigeno Atikum Edivaldo Manoel de Souza, del 18enne Alex Guarani da uomini armati provenienti da una vicina fazenda.

Giorgio Malavasi

Il «pacchetto della distruzione»

Così gli oppositori di Jair Bolsonaro chiamano il combinato disposto di due leggi, la 490 del 2007 e la 191 del 2020 che di fatto violano quanto previsto dalla Costituzione brasiliana a metà anni Ottanta: la demarcazione dei territori indigeni allo scopo di preservarli. A oggi in due casi su tre l’operazione non è nemmeno iniziata.

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