Scuole dell’infanzia paritarie. La Diocesi: serve l’impegno di tutti. "Non possiamo permettere che le parrocchie si indebitino ulteriormente"

Scuole dell’infanzia paritarie Il vescovo Claudio: «Non possiamo permettere che le parrocchie si indebitino ulteriormente per mantenere questo servizio alle famiglie e al territorio. Le autorità competenti aumentino il loro sostegno». Preoccupano le strutture Sorti decenni fa, gli edifici scolastici necessitano di manutenzione straordinaria in chiave antisismica. Interventi da centinaia di migliaia di euro che le parrocchie non possono affrontare da sole

Scuole dell’infanzia paritarie. La Diocesi: serve l’impegno di tutti. "Non possiamo permettere che le parrocchie si indebitino ulteriormente"

La Chiesa di Padova conferma la sua vocazione educativa nei confronti dei più piccoli, attraverso le scuole dell’infanzia paritarie, e pone questa come una priorità della sia azione a servizio del territorio e in particolare delle giovani famiglie. D’altro canto, la Diocesi non nasconde le crescenti difficoltà nella gestione e nel mantenimento di questi presidi di formazione e di socialità in tempi di crisi demografica ed economica e lancia un appello a tutte le istituzioni deputate. Martedì 12 dicembre, nel Collegio sacro del palazzo vescovile, il vescovo Claudio ha voluto fare il punto della situazione con la stampa, anche alla luce degli ultimi casi scoppiati nel territorio diocesano con l’annunciata chiusura delle scuole di Ponte San Nicolò e Noventana. Accanto a mons. Cipolla, il vicario per i beni temporali don Lorenzo Celi, il direttore dell’Ufficio diocesano per l’educazione e la scuola, la cultura e l’università don Giorgio Bezze, don Marco Piva, incaricato per le scuole dell’infanzia, e Stefano Cecchin, presidente di Fism Veneto. «È nostra intenzione cercare di tenere aperte le scuole fintanto che risultano sostenibili e non comportano un aggravio sulla già difficile situazione economica delle parrocchie consapevoli della loro importanza sociale ed educativa – ha sottolineato il vescovo Claudio – Faremo tutto quanto è nelle nostre possibilità per continuare a mantenere in vita questo servizio al territorio e alle famiglie, che per noi rimangono molto importanti. Siamo consapevoli che quando si interviene su una scuola si finisce per toccare tutto il contesto in cui è inserita, la parrocchia che già fa molto, il Comune, i legami sociali tra famiglie e tra le famiglie e il paese, per non parlare dei lavoratori impiegati nelle scuole. Eppure a fronte di tutto quanto fatto dalla Diocesi in questi decenni, oggi non possiamo permettere che le parrocchie si indebitino ulteriormente per mantenere vivi questi istituti. Occorre che le istituzioni riconoscano il valore delle scuole dell’infanzia paritarie, che svolgono un servizio pubblico al pari delle statali, e decidano di sostenerle anche economicamente».

Chiuse 41 scuole in cinque anni
Sul territorio diocesano sono attive oggi 215 scuole dell’infanzia suddivise in cinque province. Dal 2018 a oggi sono 41 quelle che sono state chiuse o, nel 25 per cento dei casi, cedute ad altri enti tra cui lo Stato che ha stabilito di convertirne alcune in pubbliche. La stragrande maggioranza di queste 41 scuole sono dislocate in territorio padovano o vicentino, e per la metà dei casi la chiusura è stata determinata dal calo demografico. Per comprendere le dimensioni del problema, basti citare i dati forniti dal presidente di Fism Veneto Stefano Cecchin: in Regione nel 2008 sono nati 50 mila bambini, nel 2022 appena 30 mila. La Fism perde su base regionale ogni anno il 3,8 per cento dei propri iscritti e chiude dalle 15 alle 20 scuole. Negli ultimi vent’anni Fism è passata dal 1.350 a mille scuole associate. Per quanto riguarda la Diocesi di Padova, nell’anno pastorale 2016-2017, il vescovo Claudio e il consiglio presbiterale avevano incaricato don Lorenzo Celi, allora direttore dell’Ufficio per l’educazione e la scuola, di compiere una prima ricognizione. «Delle 256 scuole attive allora, un centinaio versavano in una situazione critica – ricorda don Marco Piva – Le ragioni erano il numero di iscritti, le condizioni della struttura, sorta spesso tra le due guerre o negli anni Cinquanta o Sessanta, oppure l’insostenibilità economica». Un’altra cinquantina, continua don Piva, «erano bisognose di essere rilanciate, mentre il restante centinaio erano meritevoli di investimenti in termini di energie e risorse per garantire la continuità della proposta della scuola cattolica sul territorio». Ne consegue che allo stato attuale, in tutta la Diocesi rimane una sessantina di scuole a rischio chiusura, di cui due in particolare, su cui si faranno le dovute valutazioni al termine delle iscrizioni del prossimo gennaio.

I problemi emergenti
La crisi demografica quindi rappresenta lo sfondo sul quale altre difficoltà si stagliano, a creare un quadro particolarmente complesso. «Non possiamo dimenticare la crisi economica che in questi anni ha gravato particolarmente sulle famiglie – sottolinea don Lorenzo Celi – e che ha imposto dai gestori di calmierare le “rette” delle scuola in maniera sproporzionata, in deficit, rispetto ai costi effettivi del servizio. Cresce il numero delle famiglie che non riesce a far fronte all’esborso, anche in territori nei quali la scuola paritaria è l’unica a disposizione. Pertanto è la comunità cristiana a farsi carico di queste spese». Pesa anche il ritiro dall’ambito educativo di molte congregazioni religiose femminili, a causa dall’avanzare dell’età delle suore, e alla conseguente assunzione di personale laico, con due criticità: «Da un lato si è verificato un aumento dei costi di gestione – aggiunge don Celi – dall’altro il reperimento di personale dotato di tutte le caratteristiche necessarie per legge è sempre più complesso». Già in entrata nei corsi di laurea in Scienze dell’educazione (250 posti a Padova e 100 a Verona) si manifesta un deficit sul fabbisogno delle scuole pubbliche dell’infanzia e primarie. Se si calcolano le necessità del comparto paritario, si comprende come sia pressoché impossibile assumere maestre. Infine il problema principale è la messa a norma degli edifici: «Lo stato delle strutture desta grande preoccupazione – riprende il vicario per i beni temporali della Chiesa – La normativa impone la verifica della vulnerabilità sismica, una valutazione che in sé prevede una spesa di circa 10 mila euro. La legge non obbliga il gestore a effettuare immediatamente gli interventi che si rendessero necessari per garantire la sicurezza, ma la Chiesa sente questo come un obbligo morale, dal momento che all’interno delle scuole abbiamo il tesoro più grande della nostra società, che sono i nostri bambini. Il tema è come sostenere investimenti per centinaia di migliaia di euro in un contesto in cui le parrocchie organizzano già vendite di torte e sagre per mantenere la gestione ordinaria. Occorre anche sottolineare che la Diocesi non può investire nulla di quanto riceve dai fondi dell’8 per mille nelle scuole dell’infanzia, altrimenti si verificherebbe un aiuto di Stato indiretto a istituti paritari non ammesso dalla Legge».

Un sistema indispensabile eppure senza finanziamenti
«Ogni giorno in Veneto 67 mila bambini frequentano una scuola della Fism – spiega il presidente di Fism Veneto, Stefano Cecchin – Due su tre. Il Veneto rappresenta un caso unico proprio per la presenza capillare sul territorio di scuole dell’infanzia paritarie. Una realtà riconosciuta dalla legge 62 del 2000 del compianto ministro Berlinguer. Una legge che tuttavia non ha avuto il necessario riconoscimento economico alle nostre scuole. Un bambino di una scuola paritaria costa dai 3.500 ai 4 mila euro l’anno, contro i 7 mila della statale. Le famiglie, attraverso le rette contribuiscono al 51 per cento, nell’altro 49 si trovano i contributi di Stato, Regione e Comuni. Questo sbilanciamento sulle famiglie genera un risparmio di 500 milioni di euro l’anno solo in Veneto, l’equivalente di quanto il Governo stanzia ogni anno per il Fondo nazionale per il sistema integrato zerosei». È dunque necessario che Governo e Amministrazioni locali immettano nel sistema educativo maggiori risorse, da sole le parrocchie non ce la faranno per sempre. «Anche perché – chiosa Cecchin – a differenza che nel resto d’Europa, in Italia si è di fatto impedito alle scuole paritarie di poter accedere ai fondi del Pnrr, eliminando così una grande opportunità per mettere a norma strutture necessarie sul territorio».

Finanziamenti

Le scuole dell’infanzia paritarie si reggono per il 51 per cento sui fondi versati dalle famiglie attraverso le “rette” (mensili e annuali). A livello statale, il Fondo nazionale per il Sistema Integrato zerosei prevede risorse per circa 500 milioni di euro, a cui il Governo Meloni ha sommato ulteriori 60 milioni di euro per il 2023 e 50 milioni per i successivi tre anni fino al 2026. Fism ha calcolato che attraverso la gestione oculata, la presenza di religiose (seppur ridotta), l’azione dei volontari, le economie di scala messe in campo, le scuole paritarie permettono allo Stato un risparmio di 6 miliardi di euro l’anno, eppure i contributi statali risultano insufficienti, per quanto stabili. A livello locale, invece, la Regione Veneto dal 2015 a oggi ha tagliato i contributi del 7 per cento, passando da 21 milioni a 19,5 milioni di euro, erogati peraltro in ritardo. A livello comunale si presenta una situazione a macchia di leopardo, con Comuni che contribuiscono con 200 euro l’anno a bambino e altri che superano anche i mille euro. Fism Veneto e Anci Veneto sono ora al lavoro per un accordo quadro a cui tutte le amministrazioni possano far riferimento.

Dalla scuola della comunità alla scuola di comunità

Da tempo, Chiesa e Fism hanno compreso che il modello “una scuola sotto ogni campanile” non è più possibile, a causa della preoccupante curva demografica. Occorre ragionare su una scala più ampia, puntando su alcune scuole nelle quali far confluire anche i bambini iscritti altrove, ma insufficienti a tenere aperta una realtà autonoma. «La parola che ci guida in questa fase è sostenibilità – commenta don Lorenzo Celi – la quale è economica, ma anche gestionale e di responsabilità che sempre ricade sui parroci». Da qui l’appello: «Se le amministrazioni locali sono sensibili alla presenza della scuola dell’infanzia nel loro Comune, ebbene questo è il momento di farsi avanti. Le comunità cristiane possono trovare altre vie per espletare un servizio prezioso per le famiglie e per i bambini stessi».

 Attenzione per ogni singolo caso in base al contesto
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«Ogni chiusura che abbiamo fatto e che faremo rappresenta una ferita per noi, anche perché siamo consapevoli del valore del contributo che possiamo dare alle famiglie e al territorio – commenta il vescovo Claudio Cipolla – Le nostre sono scuole in cui la persona è al centro, la proposta formativa è di qualità, le insegnanti sono formate». Eppure quando le circostanze obbligano alla chiusura nulla avviene mai in maniera estemporanea. Si sviluppa dapprima un dialogo tra parrocchia e Comune, poi con i lavoratori e infine con i genitori. Il tutto per tempo, in modo da facilitare le scelte conseguenti. C’è attenzione per ogni singolo caso: il centro di Padova, con la sua grande offerta formativa, non è paragonabile, per esempio, alla situazione dell’Altopiano di Asiago o dei piccoli centri bellunesi, dove le alternative sono molto minori.

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