Settimo tema del Sinodo. I laici sono lievito del Regno di Dio che è già nel mondo

Settimo tema. Don Gaudenzio Zambon (Issr di Padova), Stefano Bertin (insegnante e già vice presidente del consiglio pastorale diocesano) e Anna Marinaro (presidente parrocchiale di Ac) riflettono sull’identità e i compiti dei laici

Settimo tema del Sinodo. I laici sono lievito del Regno di Dio che è già nel mondo

Da sempre i fedeli laici camminano all’interno della Chiesa insieme a presbiteri e consacrati, apportando le loro singole specificità, la preghiera, l’ardore cristiano. «Prima però di parlare di quale siano l’identità e i compiti dei laici, credo sia importante considerare il contesto attuale che stiamo vivendo, sia da un punto di vista ecclesiale che socio-culturale – argomenta don Gaudenzio Zambon, docente di ecclesiologia e mariologia, e di antropologia teologica ed escatologia
all’Istituto di scienze religiose di Padova – Infatti, è proprio misurandosi con la realtà che si rivela l’identità di una persona. Se ad esempio pensiamo all’incarnazione, vediamo come il figlio di Dio si sia manifestato agli uomini prima
come bambino, poi come ragazzo, poi come giovane, infine come adulto, costruendo in modo progressivo la sua identità, che si è rivelata mano a mano, grazie anche agli stimoli ricevuti dagli incontri fatti nel corso della sua esistenza, portandoli nella preghiera davanti al Padre, guidato dallo Spirito. In modo analogo, il cristiano matura
la sua identità e diventa ciò che è, attraverso molteplici processi di maturazione e di crescita ecclesiale fino ad assumere liberamente e responsabilmente la sua dignità di battezzato». La dignità battesimale, infatti, non viene interiorizzata in modo meccanico per sentito dire, ma richiede una consapevolezza che si forma attraverso le esperienze della vita, esperienze che comprendono anche momenti di distacco e di separazione. «Il battesimo è un punto di partenza che innesta pienamente in Cristo, rende membri del popolo di Dio – prosegue don Zambon – Se la Chiesa dunque è la casa, il luogo della fraternità battesimale e della vocazione a vivere da figli di Dio, il mondo è il luogo della missione». In quest’ottica il Sinodo, «l’evento ecclesiale più importante per la nostra Diocesi
dopo il Concilio Vaticano II, rappresenta una grande occasione per integrare tutte le identità cristiane con il loro bagaglio di ricchezze umane e spirituali all’interno della sinodalità. Credo che il Sinodo ci chieda non di trovare soluzioni immediate ai problemi, bensì di assumere uno stile di vita evangelico; il Sinodo apre spazi di ascolto narrativo delle esperienze di vita di ciascuno, invita a uscire dal mondo delle sacrestie per assaporare la bellezza del cristianesimo come testimonianza di vita evangelica nel mondo. La Chiesa non deve preoccuparsi di stabilire chissà quali compiti nuovi da dare al cristiano laico, deve piuttosto riconoscerne il vissuto, soprattutto quello delle donne».

Il processo di ascolto, però, non è sempre semplice, richiede impegno. «Lo ha ricordato anche mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e vicepresidente della Cei per l’Italia settentrionale, all’Assemblea generale dei vescovi tenutasi lo scorso maggio, quando ha detto che l’ascolto costa molto e costringe, a volte, a recepire cose che fanno male». In concreto, potrebbe essere utile «pensare a delle équipe di persone preparate, che siano in grado di rendere
efficaci gli spazi di ascolto e dialogo, anche attraverso uno specifico servizio ministeriale che chiamerei “discernimento
evangelico” dei segni dei tempi. Sinodo, quindi, è un processo di lavoro continuo, non occasionale, che caratterizza la vita della Chiesa in questo nostro tempo. Per tale motivo papa Francesco ha introdotto nella Evangelii Gaudium l’immagine di una Chiesa “carovana solidale”». In linea con le riflessioni di don Gaudenzio Zambon è Stefano Bertin, insegnante di lettere in un istituto superiore, già presidente diocesano dell’Azione cattolica di Padova e vice presidente per due mandati del Consiglio pastorale diocesano. «Credo anch’io nell’importanza di fare tesoro delle esperienze dei fedeli. Il Sinodo è il momento in cui raccogliere le buone prassi e condividerle. I laici sono chiamati a trasmettere la fede nei luoghi dove vivono ogni giorno: in famiglia, nel lavoro, in politica, nella società. Abbiamo bisogno di comunità cristiane che aiutino i laici a portare nel mondo la novità evangelica e un’aggiunta di senso, che facciano lievitare il regno di Dio che già esiste nella realtà mondana». Secondo Bertin ai laici è richiesta la capacità di essere sacerdoti, mostrando i segni del regno già presenti, e profeti, cercando di andare “oltre”, facendo il massimodel bene possibile, secondo le condizioni offerte in questo specifico momento storico. «Credo, inoltre, sia fondamentale tornare a informarsi e a formarsi: tutti i grandi cattolici sono stati uomini accomunati da un’attività continua di studio. La cultura va abitata e non bisogna avere paura di esprimere idee diverse dagli altri, così come è necessario accettare il conflitto, in modo non violento ma formativo, che aiuti a crescere e ad arrivare a una sintesi superiore». «In tutto questo penso che le tante cose da fare e le strutture ecclesiali già presenti nelle nostre comunità possano distoglierci da ciò che è essenziale, per questo è necessaria una programmazione mirata all’interno della nostra Chiesa».

Anna Marinaro, 34 anni, educatrice in un asilo nido, è presidente parrocchiale dell’Azione cattolica di Cristo Re, dove è impegnata anche all’interno della Caritas. La sua comunità è storicamente molto vivace grazie alla disponibilità di laici che animano i vari gruppi, apportando un contributo prezioso; in parrocchia sono attive anche molte famiglie giovani ed è presente la comunità di suore Figlie della Chiesa. «Credo sia un tempo in cui, come laici, ci sia richiesto di cambiare mentalità, dobbiamo rimboccarci le maniche e smetterla di lamentarci. Troppo spesso affidiamo al parroco ogni decisione e incombenza quando invece spetta a noi farci avanti, proporci. Gli anni sono cambiati, dobbiamo essere laici che sappiano coinvolgere e non che puntano il dito; molte persone ci vedono ancora lontani, chiusi nell’ambito parrocchiale, dobbiamo invece sforzarci di avere uno stile più accogliente».

Nuovo direttore all’Istituto di liturgia pastorale

L’Istituto di liturgia pastorale di Santa Giustina ha un nuovo direttore: è don Loris Della Pietra, classe 1976, originario di Mieli, in Comune di Comeglians (Friuli). A Santa Giustina ha conseguito la licenza in teologia nel 2008, con specializzazione in liturgia pastorale; tre anni dopo ha conseguito il dottorato. Don Della Pietra manterrà l’incarico di direttore dell’ufficio liturgico dell’arcidiocesi di Udine.

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