Sostegno sociale parrocchiale. La parola del buon vicinato. Occhi nuovi sulla comunità

Nei giorni scorsi ha fatto notizia un parroco che segnalava la difficoltà di intercettare persone nel bisogno, a cui venire in aiuto grazie ai fondi raccolti con il Sostegno sociale parrocchiale.

Sostegno sociale parrocchiale. La parola del buon vicinato. Occhi nuovi sulla comunità

Questa fatica di saper vedere le nuove fragilità, che a volte ha il sapore dell’impotenza di fronte alle necessità reali, non è un caso isolato, ma è indice di un cambiamento culturale che riguarda tutti: riuscire a cambiare l’approccio alle situazioni e vedere con occhi nuovi le persone e il territorio.

Veniamo da una tradizione che ha spesso avuto una visione molto “passivizzante” del territorio, dove le persone venivano definite come “bacino di utenza” e divise per categorie (minori, anziani...) e per tipologie di problemi e bisogni. Dove il centro era il servizio erogatore e le persone erano dei ricevitori. Un welfare erogativo, che produceva nella comunità processi di delega: «Vai alla Caritas, vai dall’assistente sociale». Dove le persone si abituavano a chiedere, rimanevano passive e non si sentivano né venivano responsabilizzate. Tu porti una domanda e ti viene data una risposta. Questo è stato vero sia per i servizi pubblici che per le parrocchie. Ma è un modello che si sta rivelando insufficiente. È necessario sempre più suscitarne un altro, così come un’altra visione, un altro modo di vedere le persone e il territorio: una visione “attivizzante”. Il territorio è un vero e proprio attore sociale. Nel territorio non ci sono solo problemi, utenti, ma ci sono persone, scuole, istituzioni, gruppi informali, associazioni, cooperative, imprese, genitori, artigiani, commercianti, vicini di casa, gruppi sportivi, culturali... Guardare il territorio significa vedere non solo i bisogni e i problemi, ma anche le risorse, le capacità e le competenze. Il territorio pullula di possibilità da conoscere e valorizzare. ll centro non è più il servizio, ma è la comunità. La sfida, allora, è guardare alla nostra comunità come a una comunità “competente”.

Questa nuova visione è alla base del La carità nel tempo della fragilità e in particolare del Sostegno sociale parrocchiale. Non si è creato un servizio centrale, efficiente e professionale, ma si è valorizzata ogni singola comunità parrocchiale, chiamata ad attivare tutti i diversi gruppi (perché la carità è di tutti i cristiani); chiamata a entrare in relazione con le tante e varie realtà presenti nel territorio. Lo scopo di questa iniziativa non è aiutare tante persone, ma creare comunità che tentano di affrontare una sfida complessa: intercettare le persone che per pudore e vergogna non accedono ai servizi tradizionali. Per questo è necessario contattare, coinvolgere, conoscere ed entrare in relazione con i tanti attori presenti nel proprio territorio e insieme riuscire a trovare i modi e le strade più opportune per essere vicini e prossimi a chi per la prima volta, a causa della pandemia, si trova a vivere un momento di difficoltà. Un modo concreto per diventare una comunità missionaria che esce dai propri confini e cerca alleanze per il bene comune, per il bene delle persone.

don Luca Facco
vicario episcopale per i rapporti con le istituzioni e il territorio

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