Sposi a fianco dello Sposo. Le nozze si ricevono dal Signore della vita

Le nozze non si consumano, marito e moglie non si “prendono”. Le nozze si ricevono da lui, il Signore della vita

Sposi a fianco dello Sposo. Le nozze si ricevono dal Signore della vita

«Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”». Letto durante il rito delle nozze, è un brano che quasi stride. Sembra che il Vangelo di Luca ci proponga una sorta di disprezzo di ciò che si sta celebrando. Ma è proprio così: lo sposo cristiano non prende moglie, la sposa cristiana non prende marito. Così fanno i figli del mondo, dimentichi che ciò che l’uomo prende immediatamente gli sfugge dalle mani. Come alla donna di cui Gesù stava raccontando ai sadducei, che per la legge ebraica del levirato continuava a sposare una carne che cadeva e moriva. “Prendere” è verbo primitivo e greve. Gli sposi cristiani risplendono del fatto che, come Eva fu tratta da Adamo, nel primo giardino della creazione, il sacramento del matrimonio fa sì che dal nuovo Adamo, Cristo crocifisso e risorto, dal fianco di quello Sposo, esca come oceano incontenibile la nuova Eva. Gli sposi cristiani non prendono proprio nulla, perché ciò che si prende cade, ciò che si possiede sfugge, ciò che si conquista è già perduto. La luce che li avvolge – tutti la colgono, concreta, palpabile – lo splendore commovente della loro bellezza pura, casta, non sgorga da loro. E se anche gli uomini mettono un frenetico impegno nell’agghindarsi, essa è nascosta dentro il fianco squarciato del Signore Gesù Cristo. È la sua bellezza infinita a emanare dagli sposi e noi dobbiamo leggerla con gli occhi dello spirito. Perché poi, la sera, la stanchezza scende, l’amenità dell’occasione un po’ alla volta svanisce. Nulla rimane di ciò che l’uomo si è sforzato di rendere attraente. Se nel fulgore della bellezza degli sposi non cogliamo il rimando a colui che ne è l’autore, ci smarriamo e torniamo, come quella donna ebrea, a cercare ciò che afferriamo e subito cade. E ancora, due, e tre, e sette volte. Come le opere e i giorni di una settimana, che senza il primo e ultimo, la Domenica, il giorno del Risorto, sono nulla. Ammirando gli sposi, si deve rendere lode a Dio. Vederli fedeli, uniti indissolubilmente e fecondi ci permette di riconoscere la nostra origine, che non è il frutto di qualche incontro di atomi, perché noi siamo le nozze di Dio con la creazione. Non si possono fare raccomandazioni di sapore mondano agli sposi. Bisogna implorarli di una sola cosa: che non escano mai, nella loro esistenza, dal giardino del Crocifisso risuscitato, che restino in quel giardino, perché lì c’è la vita vera. Che non si lascino sedurre dai figli del mondo, convinti di “prendere”, ma rimangano ai piedi della croce. Lì è nato il loro matrimonio, come un frutto dolce, splendente e buono. Stringendoci attorno agli sposi, evitiamo le formule retoriche di auguri. Ringraziamo invece il Dio della vita, perché, vedendoli, ricordiamo di essere eterni, che il Signore è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non dei morti ma dei viventi. E il grembo della sposa sia il castello di queste nozze, il luogo nel quale la vita che l’amore genererà rifulga come la luce del mondo. Non si può non ripetere ciò che Giovanni scrive nella sua prima lettera: «L’amore è da Dio e chiunque ama è stato generato da Dio». Non celebriamo, nel matrimonio cristiano, il “prendere”, ma rendiamo grazie perché gli sposi sono il segno visibile di ciò che non ha fine: la Verità divina. Bisogna pregare il Signore che permetta loro di guardare allo specchio i capelli bianchi che avranno e di non amare solo i figli, ma i figli dei figli, e quando saranno anziani e il tempo avrà curvato un po’ le loro schiene, di ricordarsi che non si saranno amati tutta la vita, ma avranno riconosciuto di essere amati, e per questo le rughe non ci saranno mai, i capelli bianchi splenderanno già di eternità, non ci sarà posto per la noia, l’abitudine, la svogliatezza e tutte le meschine cose che succedono quando “prendi moglie, prendi marito”. «Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi». Per mezzo degli sposi, la Chiesa dice la sua lode a Dio per la bellezza nell’amore vero e prega: siate fedeli al fianco dello Sposo celeste. Lì sono le nozze che non si consumano, le nozze che non si “prendono”, ma che si ricevono da lui, il Signore della vita.

don Gianandrea Di Donna
Direttore Ufficio Diocesano per la Liturgia

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)