Il vescovo Claudio: «Fratel Biagio aveva la capacità di toccare nel profondo»

Commoventi e impegnative le parole del vescovo di Palermo, Corrado Lorefice: «C’era una dolcezza nel suo essere che veniva da un Altrove, una vitalità che trovava le sue sorgenti in uno spazio inedito, nella tua invisibile presenza». Nel 2017 l'ultimo passaggio a Padova, in occasione di sant'Antonio, il ricordo del vescovo Claudio Cipolla. 

Un mese fa la morte di Fratel Biagio: quegli occhi pieni di Cielo

È trascorso un mese dalla nascita al Cielo di Biagio Conte, missionario laico, già eremita, fondatore della Missione di Carità e Speranza a Palermo. La sua testimonianza, nei 59 anni di vita in cui aveva scelto di abbracciare sorella povertà in uno stile evangelico radicale, faceva breccia qualsiasi fosse l’interlocutore con cui veniva in contatto. 

In occasione dei funerali, presieduti dal vescovo palermitano Corrado Lorefice, anche papa Francesco ha fatto pervenire un messaggio nel quale definiva Fratel Biagio, come si faceva chiamare, «generoso missionario di carità e amico dei poveri», mentre il presidente della Repubblica Mattarella ne ha valorizzato la testimonianza «coinvolgente ed eroica» a difesa della dignità umana.

Malato da tempo, il giorno prima di morire, lo scorso 12 gennaio, Biagio Conte aveva preteso di essere portato a messa per ricevere l’eucaristia, come accaduto grazie ad alcuni volontari che lo hanno trasportato su di una lettiga.

A Padova, Fratel Biagio era venuto per l’ultima volta nel 2017, nel giorno di sant’Antonio, figura di grande ispirazione come certificato nell’omelia del vescovo Lorefice. A precidere la messa nella Basilica c’era il vescovo Claudio, che se lo ritrovò davanti alla comunione. In quel momento il vescovo e il missionario si riconobbero a vicenda: una decina di anni prima, infatti, con una quindicina di giovani mantovani, l’allora don Cipolla aveva visitato proprio la missione di Fratel Biagio nell’ambito di un cammino di formazione incentrato sulle virtù dell’uomo.

Conclusa la messa, durante la grande processione per le vie della città del Santo, Biagio Conte si era accostato al vescovo Claudio, percorrendo un tratto di strada insieme durante il quale mons. Cipolla lo ha invitato a cena in episcopio.

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Sulla forza della testimonianza del missionario laico e sul valore della sua esperienza di fede, il vescovo ha le idee chiare: «Biagio Conte non aveva nulla di formale – spiega – La sua è stata la ribellione a una serie di schemi imposti dalla cultura e dalla società, usava il suo corpo per contestare queste convenzioni: l’abbigliamento, la scelta di spostarsi a piedi, di avere di sola beneficienza. Aveva la capacità di toccare nel profondo le persone, qualsiasi persona, anche senza conoscere nulla di lei o di lui. Ricordo che in occasione della visita alla sua missione era rimasto con me e il gruppo di 17-18enni che accompagnavo per quasi tre ore ed è riuscito a tenere gli occhi di tutti incollati a se per tutto il tempo raccontandoci la sua storia, le sue scelte e le prospettive, ancorando tutto saldamente alla sua relazione con Cristo».

Biagio Conte, nel 2013, aveva ripreso a camminare dopo alcuni anni in sedia a rotelle per lo schiacciamento di alcune vertebre. La guarigione, non spiegabile scientificamente dai medici, è avvenuta dopo l’immersione nelle acque di Lourdes.

A lui, il vescovo Lorefice ha dedicato parole commoventi e impegnative durante i funerali: «Quei suoi occhi pieni di cielo – ha detto – potremmo dire prendendo a prestito le parole di Francesco, del Santo che più di ogni altro lo ha ispirato, ecco, quei suoi occhi “de Te, Altissimo, portavano (e portano) significazione” (cfr FF 263). Possiamo anche noi, stamattina, o Padre, cantare con il povero di Assisi: “Laudato si mi Signore per Fratel Biagio”. A Lui hai donato il tuo Spirito. Camminava lungo le nostre strade – e continuerà ancora a farlo – per donarci la certezza del tuo sorriso, della tua accoglienza, della tua giustizia, della tua preferenza per i poveri. Il suo sorriso, il sorriso di Biagio: sommesso e splendente, chiaro e profondo, intimo e aperto».

E ancora: «O Padre, com’era liberante incontrare Fratel Biagio! Era pieno, era ricco. E non aveva niente. Non gli mancava nulla. Solo i poveri, la pace e la giustizia erano le sue passioni. Vedevamo in lui una certezza che vorremmo diventasse sempre nostra, di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11). C’era una dolcezza nel suo essere che veniva da un Altrove, una vitalità che trovava le sue sorgenti in uno spazio inedito, nella tua invisibile presenza. Per questo Fratel Biagio era vivo. Pieno di vita anche alla fine, sul letto che era diventato la sua croce. Sempre attento a ciò che succedeva nella città terrena, sempre in movimento. Anche alla fine, quando non poteva più muovere i piedi, le gambe, ma continuava a muovere il suo cuore, sul sentiero della vita. E il sentiero della vita eri tu, o Padre. E la sorgente della gioia eri tu. La gioia che non lo ha abbandonato. Quella gioia che non è sottoposta alle vicende della salute e della fortuna. Quella gioia che dai tu. Tu che sei gioia, gioia piena, luce senza tramonto, gaudio senza fine».

Parole che molti traducono nella speranza di vedere presto Biagio Conte nel novero dei beati e dei santi.

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