Alberto Trevisan. Ho spezzato il mio fucile: una scelta ancora attuale

Intervista ad Alberto Trevisan, storico obiettore di coscienza, in occasione del cinquantesimo della Legge 772/1972

Alberto Trevisan. Ho spezzato il mio fucile: una scelta ancora attuale

Tra qualche giorno si celebrano i 50 anni dell’approvazione della legge n. 772 del 15/12/1972 in cui si riconosceva la possibilità di scegliere l'obiezione di coscienza di fronte servizio militare obbligatorio (art. 52 della Costituzione italiana). Siamo andati così a trovare nella sua casa nella prima periferia padovana Alberto Trevisan, storico obiettore di coscienza, per fargli un’intervista. Ci accoglie con la bandiera della pace appesa al lampione davanti casa. Entriamo. Ci fa subito vedere un manifesto che invitava i padovani ad essere presenti al suo ‘terzo’ processo il 15 giugno 1972, insieme con altri tre obiettori veneti. La sentenza per lui fu di 8 mesi di reclusione. Di quel processo, in forma integrale, fu stampato il primo libro in Italia con il resoconto completo di un processo militare dal titolo “Processo all'obiettore”. Le sue scelte lo hanno portato poi negli anni ad essere uno degli attori principali del pacifismo italiano, ad istituire per primo un assessorato alla pace nel suo comune e a continuare fino ad oggi a fare formazione per le scuole e ai giovani che scelgono di fare il servizio civile. Ci fa vedere il suo ultimo libro dal titolo “Compagni i viaggio - Un percorso di vita con Giovanni Nervo”, con il quale ha collaborato per molti anni nel promuovere la nonviolenza e la cultura dei diritti umani. Alberto 75 anni, feltrino di nascita ma trapiantato a Padova da piccolo, sposato con la trevigiana Claudia Bernacchi ha 2 figli e 4 nipoti. A febbraio festeggeranno le nozze d’oro di un cammino a volte in salita percorso in nome della libertà. Claudia lo ha sostenuto nelle scelte anche dolorose, come il carcere e la latitanza.

Andando con ordine, Alberto come è maturata la tua scelta di obiezione di coscienza al servizio armato? 

Sono cresciuto in parrocchia. Ho avuto, però, la fortuna di avere un professore di italiano al liceo che mi aiutato ad allargare gli interessi che avevo e mi ha parlato di Gandhi, Martin Luther King, Lanza del Vasto, Aldo Capitini e Henry David Thoreau. Ho cominciato a leggerne gli scritti e a farne una lettura critica alla luce del Vangelo. Si era appena concluso il Concilio Vaticano II e mi sono imbattuto nel libro di un prete scomodo, don Lorenzo Milani, dal titolo “L’obbedienza non è più una virtù”. Ho cominciato a frequentare gli studi per i servizi sociali alla scuola superiore fondata da Giovanni Nervo ed ero interessato alle esperienze delle comunità cristiane di base e dell’opera dei preti operai. Ad un certo punto arriva la chiamata alle armi nel corpo degli alpini: destinazione L’Aquila!

La svolta allora quando è arrivata?

Leggendo la costituzione “Gaudium et spes” ho trovato delle risposte ai miei moti interiori, in particolare dove si legge, al n. 79, “sembra conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana”.

Ho deciso di obiettare al servizio militare per la prima volta il 9 giugno del 1970, e fu una obiezione individuale.

Fino a quel momento, infatti, come per gli altri giovani obiettori questo era la modalità adottata. Nonostante il processo subito, mi sono detto quasi subito che non avrei finito!

Che cosa ti ha spinto ad andare avanti?

Nella mia scelta ho avuto l’appoggio della mia famiglia che mi ha insegnato i valori della libertà e dell’antifascismo. Durante la permanenza in carcere mia mamma mi ha inviato in carcere una lettera con una poesia di Langston Hughes, poeta afroamericano. Era un invito a resistere, ad andare avanti. Rileggendola ho capito ancora di più che non potevo mollare…

E così?

Le mie obiezioni sono state tre, intervallate da pochi mesi di libertà e da tre processi. Dopo la prima individuale (9 giugno 1970) ne seguirono due collettive nel 1971 e nel 1972. Dopo il carcere militare di Roma, a Forte Boccea, ci siamo trovati in 7 giovani obiettori per condividere uno stesso pensiero: “No all’esercito!”. C’eravamo conosciuti alcune settimane pima ad un convegno nazionale sul militarismo, anche se ci guidavano motivazioni diverse: il credo cattolico, il pensiero anarchico, la filosofia radicale. Il 9 febbraio 1971 ci siamo trovati a fare una conferenza stampa a Roma dove abbiamo espresso la nostra scelta dell’obiezione di coscienza collettiva, la chiave di volta per tutto il movimento.

E poi cosa successe?

La nostra obiezione pubblica fu ripresa da molti quotidiani e da riviste pacifiste o del dissenso cattolico dell’epoca, come “Testimonianze” diretta allora da padre Ernesto Balducci. Diede anche una spinta all’iter legislativo delle proposte di legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare, arrivando nel luglio 1971 all’approvazione in Senato della ‘proposta Marcora’, per poi decadere a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.

Come ti aiutato la tua fede di giovane cattolico durante la permanenza in carcere?

Durante la permanenza in carcere ho avuto modo di leggere molti libri e di conoscere molti autori, che sono diventati dei veri e propri compagni di viaggio. Tra questi sicuramente Aldo Capitini e Pietro Pinna, Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo e don Lorenzo Milani. Come ho ricordato prima ho riflettuto molto leggendo la Gaudium et spes, dove per la prima volta la Chiesa dichiarava che non esisteva più una guerra giusta, ma era giusto rispettare le scelte degli obiettori di coscienza. Ha rappresentato un lasciapassare rispetto al mio sentire. Sentivo una spiritualità laica, vicina a quella rivoluzione che avveniva nella Chiesa. Eppure nelle obiezioni sono stato a contatto con giovani di estrazione diversa e non pesavano le radici: eravamo tutti animati da comuni ragioni di coscienza per non imbracciare il fucile. Mi ha procurato molta sofferenza il licenziamento ‘senza giusta causa’ come lavoratore (e studente notturno) presso la SIP a causa della mia detenzione per la mia scelta di obiettare. Ero il terzo di dieci fratelli ed avevo dovuto andare a lavorare per aiutare la mia famiglia!

Una scelta che ha dato anche una spinta alla politica nel fare una legge specifica 50 anni fa?

Percepivo che eravamo arrivati ad un punto che bisognava uscisse una legge. Stava succedendo che ad ogni scaglione di leva aumentava il numero degli obiettori, così come le manifestazioni e gli arresti. Le strutture militari avevano difficoltà a gestire la situazione… Nel luglio 1972 c’è stato un processo a 4 obiettori padovani, mentre nel frattempo si susseguivano processi anche in altre parti d’Italia. Da ottobre il dibattito sull’obiezione di coscienza cominciò ad avere un peso crescente anche a livello di stampa. Il 30 novembre il Senato approvò la proposta di legge di alcuni parlamentari (come Marcora, Fracanzani, Anselmi) che sostenevano l’obiezione di coscienza. Nel giro di pochi giorni passò alla Camera dove venne approvata il 14 dicembre entrando in vigore il giorno dopo (15 dicembre 1972). Nacque così la legge n. 772, che concedeva la possibilità dell'obiezione al servizio militare e faceva nascere il servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici, anche se introduceva modalità più restrittive e punitive (ndr in primis 20 mesi di servizio anziché 12 previsti per il servizio di leva).

Perché portare l’educazione alla pace dentro agli enti locali?

Era il modo più efficace per inserire all'interno delle istituzioni pubbliche gli ideali di nonviolenza, pace e giustizia e difesa dei diritti umani, sogno che ho sempre coltivato perché essere all'interno delle associazioni può avere un significato prettamente personale mentre essere inseriti nelle istituzioni pubbliche significa trasmettere un grande significato politico e sociale.

Quanto è ancora attuale oggi la legge 772 del 15 dicembre 1972?

Nei principi è ancora attuale perché ha riconosciuto il primato della libertà dell’individuo. Dal 2000 il servizio militare non è più obbligatorio e quindi si è gran parte svuotata della sua efficacia la legge 772. Ma resta importante riflettere sull’obiezione di coscienza, almeno per due motivi. In primo luogo perché non può dirsi esaurita la necessità di mantener viva una riflessione sui valori che hanno fatto sorgere e sostenuto nel tempo la scelta dell’obiezione di coscienza, dalla pace all’antimilitarismo, dalla nonviolenza al rifiuto delle armi. E in secondo luogo la questione resta significativa in quanto rimane aperta la riflessione sul problematico rapporto tra norma e coscienza, che oggigiorno tocca gli spazi della bioetica, del fine vita…

Cosa significa ‘spezzare il fucile’ oggi?

Con il servizio civile si è aperto il discorso del volontariato, del privato sociale, dell’aiuto alle fasce più deboli… Spezzare il fucile significa oggi rifiutare il dominio della cultura militare ma anche lottare con chi fugge delle guerre combattute con le armi da fuoco o con quelle più subdole dell’economia. Significa avere cura del creato e pensare alle generazioni future. Questo esercizio deve essere un impegno collettivo!

Enrico Vendrame

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