Ana, scappata dall’Ucraina e sfruttata nei campi. Flai Cgil: “Fare rispettare le leggi”

Davide Fiatti, della segreteria nazionale del sindacato, commenta la storia dell’ucraina di 40 anni finita nella rete dei caporali. “I fondi ci sono, ma devono essere investiti, per evitare che le condizioni di bisogno di chi fugge da guerre e violenze facciano diventare le lavoratrici preda di caporali senza scrupoli”

Ana, scappata dall’Ucraina e sfruttata nei campi. Flai Cgil: “Fare rispettare le leggi”

Scappata dal Donbass per evitare la guerra, finisce nella rete del caporalato. È la storia di Ana (nome di fantasia), una donna ucraina di 40 anni che dopo essere scappata dal suo paese nel 2022 è finita a lavorare nei campi del Sud Italia sfruttata dai caporali. Nei giorni scorsi, la sua vicenda è stata riportata da diverse testate giornalistiche. Oggi il commento della Flai Cgil.  “La storia di Ana, arrivata dall’Ucraina per ricongiungersi ai familiari scappando dalla guerra e finita a lavorare sfruttata nei campi del Meridione, riaccende i riflettori su una vera e propria piaga, di cui sono vittime lavoratrici migranti arrivate dall’est europeo, dalla Romania, dalla Bulgaria, dall’Ucraina - spiega Davide Fiatti, segreteria nazionale Flai Cgil - lavoratrici spesso e volentieri sottopagate, in quella zona d’ombra che separa i contratti regolari dal lavoro nero, costrette anche a versare una gabella per gli spostamenti da casa alle aziende agricole e ritorno, perché né gli imprenditori né gli enti locali hanno messo in cantiere una logistica degna di questo nome”.  “Vicende del genere, che si ripetono con triste regolarità – continua Fiatti -, fanno capire il ruolo fondamentale delle Sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità, istituite dalla legge 199 del 2016, che possono essere il luogo dove affrontare e sciogliere il nodo dei trasporti dei lavoratori agricoli. Non è un caso che Ana dovesse versare ogni giorno parte del salario al ‘tassista’ di turno”. L’arco ionico, ovvero le province di Taranto, Matera e Cosenza, si legge nella nota del sindacato, “è chiamato la California d’Italia perché clima e terra fertile favoriscono le coltivazioni di fragole, fave, pesche, albicocche, uva da tavola e agrumi, e le donne sono richieste per garantire la cura della frutta più delicata. Ma c’è un lato oscuro, quello delle condizioni di vita e di lavoro delle operaie agricole che in Puglia, Basilicata e Calabria sono migliaia e migliaia”. Per Fiatti, “le leggi ci sono, devono essere rispettate. E anche i fondi ci sono e devono essere investiti, per evitare che le condizioni di bisogno di chi fugge da guerre, carestie, violenze di ogni genere facciano diventare le lavoratrici preda di caporali senza scrupoli”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)