Aumenta l’offerta di Centri antiviolenza: sono 385 in Italia (+3,2%). In aumento anche le donne che li contattano (+7,8%)

I dati Istat. Quasi tutti i Centri (99,1%) aderiscono al numero nazionale di pubblica utilità 1522 e il 74,5% ha una reperibilità telefonica “h24”. Sono 5.916 le operatrici e nel 48,7% dei casi prestano il proprio servizio in forma esclusivamente volontaria. L’uscita dalla violenza, un percorso complesso: ancora tempi lunghi per avere un provvedimento di allontanamento

Aumenta l’offerta di Centri antiviolenza: sono 385 in Italia (+3,2%). In aumento anche le donne che li contattano (+7,8%)

Nel 2022 aumenta l’offerta di Centri antiviolenza in Italia (Cav): in totale sono 385, +3,2% rispetto al 2021, +37% rispetto al 2017 (primo anno dell’Indagine). Gli sportelli di ascolto (665) contro la violenza, attivati dal 52,2% dei Centri antiviolenza, favoriscono la prossimità territoriale della rete di protezione per le donne.
Sono questi alcuni dei dati Istat contenuti nel Report “I Centri antiviolenza e le donne che hanno avviato il percorso di uscita dalla violenza. Anno 2022”, reso noto alla vigilia della Giornata contro la violenza sulle donne (25 novembre). Il focus riguarda i servizi e le caratteristiche organizzative dei Centri antiviolenza e analizza i dati relativi alle donne che hanno avviato il percorso di uscita dalla violenza attraverso il supporto dei Centri.

I Cav (nell’83,7% dei casi) hanno attivato nuove forme di comunicazione destinate alle donne: in particolare, a partire dal periodo della pandemia sono state introdotte le comunicazioni via email, messaggi scritti e utilizzo dei social. Sono 105.129 i contatti per richieste di aiuto delle donne, anche questi in aumento (+4,9% rispetto al 2021).
Quasi tutti i Centri (99,1%) aderiscono al numero nazionale di pubblica utilità 1522 e il 74,5% ha una reperibilità telefonica “h24” rivolta al pubblico per emergenza/gestione di situazioni di pericolo. I Cav erogano diverse tipologie di servizi con varie modalità operative. Nel 2022 prevalgono i colloqui in presenza (99,1% dei Centri), seguiti da colloqui telefonici o videochiamate (93,7%) e dalle comunicazioni via email, messaggi scritti e utilizzo dei social (83,7%), modalità attivate soprattutto in seguito alla pandemia da Covid-19.

L’85,1% dei Cav aderisce alle reti territoriali: più forte è la rete territoriale della governance, maggiore è la capacità dei Cav di offrire servizi alle donne.

Operatori prevalentemente volontari

Presso i Cav operano 5.916 operatrici. Nel 48,7% dei casi prestano il proprio servizio in forma esclusivamente volontaria ma la percentuale di personale retribuito è in aumento.
I Centri antiviolenza formano le loro operatrici: nell’86,8% dei casi questo avviene almeno una volta all’anno anche con corsi non organizzati direttamente dai Cav stessi.

In aumento le donne che contattano i centri antiviolenza

Nel 2022 le donne che hanno contattato almeno una volta i Centri antiviolenza sono state 60.751, in aumento del 7,8% rispetto al 2021 e del 39,8% rispetto al 2017, un dato analogo a quello dell’aumento dei Centri.

Tra i 30 e i 49 anni la maggioranza delle donne alla ricerca di aiuto

Le donne che avviano insieme ai Cav il loro percorso di uscita dalla violenza hanno in prevalenza tra i 40 e i 49 anni (27,5%), seguono le 30-39enni (24,6%). Le donne con meno di 29 anni costituiscono il 18,6%, tra queste le giovanissime sono lo 0,3%. Hanno tra i 50 e i 59 anni il 16,3% delle donne, il 5,6% tra i 60 e i 69 anni, mentre le ultrasettantenni sono il 2,3%.
Sono soprattutto donne italiane (64,9% contro il 30,6% di nazionalità straniera), per il 4,5% non è stata indicata la cittadinanza. Provare a delineare il profilo delle donne che intraprendono un percorso di uscita dalla violenza non è semplice, dato che molte informazioni non sono trasmesse dai Centri. Una quota rilevante di donne quando ha iniziato il percorso viveva con i figli (58,9% delle donne) o con il partner (44,6%) o con altri familiari o parenti (17,9%) mentre solo l’11,2% viveva da sola. Il 61,3% ha un’istruzione medio alta (43,9% delle donne con un diploma di scuola secondaria di II grado, 17,4% con un diploma di laurea o un dottorato) e più del 50% lavora (il 38,9% ha un’occupazione stabile, mentre il 14,3% lavora saltuariamente). Il 26,1% è in cerca di una prima o di una nuova occupazione; il 6,4% è studentessa, il 7,5% casalinga.
Circa il 60% delle donne dichiara di non essere autonoma economicamente, valore che sale a più del 90% per quelle in cerca di prima occupazione, più dell’80% delle disoccupate, studentesse e casalinghe e il 45,4% per quelle che hanno un lavoro precario. Il 40,2% delle donne (10.515) che stanno effettuando un percorso di uscita dalla violenza con i Cav hanno indicato di avere subito tra le violenze anche quella economica, come ad esempio l’impossibilità di usare il proprio reddito o addirittura di non conoscere l’ammontare del denaro disponibile in famiglia; in altri casi invece sono escluse dalle decisioni su come gestire il denaro familiare. Alcune donne presentano situazioni di maggiore fragilità (il 5,6%), legate a dipendenze (da alcool, droga, gioco, psicofarmaci, per il 3,1%), a situazioni debitorie gravi (1,9%), a precedenti penali (0,6%) e prostituzione (0,5%). La presenza di una rete informale di supporto è importante sia, come abbiamo visto, per accompagnare la donna al CAV, sia durante il percorso di uscita della violenza. Il 52,5% delle donne può contare su familiari, parenti o amici a cui si può rivolgere in caso di bisogno.

L’uscita dalla violenza, un percorso complesso

Sono poco più di 26 mila le donne che nel 2022 stanno affrontando il loro percorso di uscita dalla violenza con l’aiuto dei CAV. L’uscita dalla violenza è un percorso complesso tra i vari servizi. Il 20,9% delle donne si è rivolto a più di tre servizi prima di approdare al Cav.
Le donne chiedono di essere ascoltate e di essere accolte ma anche di essere aiutate nella ricerca di un lavoro e di una casa.
Le donne che si rivolgono ai Cav, inoltre, hanno subito soprattutto violenze fisiche, psicologiche, minacce e violenze economiche, che possono durare anche da anni; violenze che conducono al pronto soccorso nel 31% dei casi e in ospedale (13,6%). Per il 30% delle donne il rischio di recidiva è stato valutato alto o altissimo.

Il profilo delle violenze

Il profilo delle violenze si delinea in modo del tutto simile a quello che emerge per le vittime dei femminicidi: gli autori sono in prevalenza partner ed ex-partner (78,3%), seguono gli altri familiari (11,1%). La propensione alla denuncia (che avviene per il 41,8% degli autori) è legata al numero di forme di violenze subite dalle vittime: va dal 24,9% nel caso di una sola violenza al 56,9% nel caso in cui le violenze siano più di cinque.
Il 27,5% delle donne ha chiesto un provvedimento di allontanamento o di divieto di avvicinamento e/o di ammonimento; richieste soddisfatte nel 69,7% dei casi e ottenute entro 15 giorni nel 30%.

Ancora lunghi i tempi per avere un provvedimento di allontanamento

Il sostegno dei Centri antiviolenza stimola una maggiore consapevolezza da parte della donna che si esplicita, tra l’altro, nella denuncia alle autorità della persona violenta. Sebbene questa informazione non sia sempre disponibile (non lo è per il 7,3% dei casi), si rileva che il 41,8% degli autori delle violenze è stato denunciato almeno una volta (tra questi il 9,7% più di una volta). La quota delle denunce è più alta se l’autore della violenza è un ex partner (49,4%): in particolare il 33,9% è stato denunciato una volta e il 15,5% più di una. È più bassa la percentuale di denunce se l’autore è un altro familiare o parente (29,5% dei casi di cui 5,2% più di una volta). La propensione alla denuncia è simile per i partner attuali e gli amici/conoscenti/colleghi e si attesta intorno al 41%. La propensione alla denuncia risente anche del numero di violenze subite e passa dal 24,9% nel caso di una sola violenza al 56,9% nel caso in cui le violenze sono più di cinque mentre non si osservano differenze elevate al variare della tipologia di violenza (si passa dal 48,9% nel caso di violenza fisica, al 46,7% nel caso di violenza sessuale e al 41,9% per le altre tipologie di violenze). Come detto, per poco più di un autore su quattro (27,5%) è stato richiesto un provvedimento di allontanamento o di divieto di avvicinamento e/o di ammonimento. Queste richieste sono state soddisfatte nel 69,7% dei casi.
Il tempo passato per ottenere il provvedimento richiesto è stato “entro i 7 giorni” nel 15,4% dei casi e per un ulteriore 17,4% tra gli otto e i 14 giorni. Nel 23,5% dei casi, invece, la donna ha dovuto attendere il provvedimento richiesto dai 15 ai 30 giorni; tempi più lunghi si sono verificati nel 28,3% di casi (il provvedimento è stato ottenuto tra uno e due mesi per il 16,7% degli autori e in oltre due mesi per l’11,6%). Tra gli autori denunciati, il 12,0% non ha avuto alcuna imputazione nel corso del tempo, il 21,3% ha avuto imputazioni in passato e il 32,7% è ancora sotto indagine. Nel 4,5% dei casi la denuncia è stata invece ritirata.
Il 31% degli imputati è stato condannato; per il 64,2% il processo è ancora in corso mentre l’1,3% è stato assolto. Anche dopo l’imputazione continuano ad esserci casi di ritiro della denuncia (l’1,5%).

Il 19% delle donne raggiunge gli obiettivi del percorso di uscita dalla violenza

Al 31 dicembre del 2022 il 43,8% delle donne (11.451) non ha concluso il suo percorso di uscita dalla violenza, il 19,0% ha raggiunto gli obiettivi del percorso individuale, il 25,7% ha abbandonato il percorso e il 7% è stato inviato ai servizi territoriali per concludere il suo percorso di uscita dalla violenza. Se si analizza l’esito del percorso in base all’anno di inizio dello stesso si riscontra una percentuale più elevata di percorsi conclusi per raggiungimento degli obiettivi tra le donne che hanno iniziato nel 2020 (27,1%), una diminuzione tra le donne del 2021 (17,7%) e un nuovo aumento per quelle che hanno iniziato il percorso nel 2022 (19,0%). L’esito del percorso risente anche della gravità della violenza. Se si analizza l’esito del percorso (al 31 dicembre 2022) sulla base di variabili che possono essere identificate come proxy della gravità (paura per la vita, ricorso al pronto soccorso, ricovero in ospedale), si evidenziano percentuali inferiori di abbandono tra le donne che hanno avuto paura per la loro vita e per quella dei figli a causa della violenza (21,2% contro il 28,4% del totale delle donne) e tra coloro che sono state ricoverate in ospedale (17,4% contro il 25,9%). Anche per le donne che stanno ancora proseguendo il loro percorso di uscita dalla violenza (43,8%), la situazione è critica: hanno livelli maggiori di paura per la loro vita e per quella dei figli (53,9%), si sono più spesso recate al pronto soccorso (51,4%) e hanno subito almeno un ricovero (64,5%).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)