Autonomia, il Veneto incalza. Istruzione, ambiente e sanità i nodi cruciali
Regionalismo differenziato. Il Veneto punta ai nove decimi del finanziamento delle nuove competenze autonome previste dalla modifica dell’articolo 116 della Costituzione. A questo punto serve una dettagliata sintonia tra Governo e Regione.
Primo il Veneto. A Roma, in via della Stamperia il neo ministro Erika Stefani ha già aperto il dossier sull’autonomia innescato dal referendum (con quorum) dello scorso autunno. La Regione è un passo più avanti della Lombardia nella legittimazione popolare, mentre l’Emilia ha scelto la via del confronto al vertice.
Dunque, si ricomincia dai sei articoli dell’accordo preliminare, completato da undici pagine di allegati, che era stato sottoscritto il 28 febbraio dal sottosegretario Gianclaudio Bressa e dal governatore Luca Zaia. Occorre infatti “tradurre” quella cornice in una vera e propria normativa che regolerebbe i rapporti fra Roma e Venezia in 23 materie.
Per stringere i tempi e incassare il successo politico Zaia immagina addirittura l’autonomia del Veneto sancita da una legge delega al governo Conte, che dovrebbe poi emanare i decreti legislativi indispensabili ad applicare la rivoluzione lighista. Si tratta però di una procedura che s’infrange – secondo gli esperti – sullo scoglio del dettato costituzionale: cambiare l’assetto della Carta fondamentale della nostra Repubblica esige il voto del Parlamento, per di più a maggioranza assoluta. C’è la volontà, politica e non, di approfondire la questione?
Comunque, fra Roma e Venezia si conta di chiudere la partita che vale dieci anni di “gestione autonoma” delle risorse: a pagina 8 del documento già firmato si fa esplicito riferimento «alla spesa sostenuta dallo Stato nella Regione (quale criterio da superare in via definitiva), riferita alle funzioni trasferite o assegnate».
In gioco l’articolo 116 della Costituzione, che fu modificato nel 2001 dalla legge promulgata da Berlusconi, Bossi, Castelli e dal presidente Ciampi. Oltre alle cinque Regioni da sempre a statuto speciale, si schiudeva la porta al “regionalismo differenziato” con forme e condizioni di particolare autonomia concordata.
E già qui scatta il primo problema: il rischio dell’emulazione. Soprattutto perché non sono ancora chiari fino in fondo i requisiti necessari per accedere alle risorse. Il Veneto punta ai nove decimi del finanziamento delle nuove competenze autonome.
Secondo problema: la sostenibilità economica di una “delega amministrativa” che deve salvaguardare tanto il livello essenziale dei servizi, quanto l’architettura unitaria della Repubblica.
Al tavolo ministeriale, dunque, si dovrà trovare una dettagliata sintonia fra Governo e Regione. A cominciare dai costi standard che dovrebbero essere fissati nel giro di un anno. I leghisti Stefani e Zaia si sono già ritrovati, ciascuno per la sua parte, davanti alla responsabilità di mettere nero su bianco l’autonomia veneta. Pena il più pernicioso fallimento, non solo in termini d’immagine…
Ma cosa c’è scritto nell’accordo preliminare che deve trasformarsi in un’intesa normativa? Tanto per cominciare, «alla Regione è riconosciuta autonomia legislativa e organizzativa in materia di politiche attive del lavoro». Quindi c’è l’istruzione, materia che comporta una non indifferente spesa per il personale. Nei cinque articoli dell’allegato si snoda un assunto fondamentale: la Regione programmerà il piano di offerta di istruzione, la dotazione dell’organico e l’attribuzione delle autonomie scolastiche. Tradotto in pratica, significherà un “sistema veneto” della formazione professionale e l’organizzazione delle Fondazioni istituti tecnici superiori in modo da sviluppare le relazioni con università e imprese. Si arriva fino a prevedere «l’attivazione di un’offerta integrativa di percorsi universitari per favorire lo sviluppo tecnologico, economico e sociale del territorio»: un’opportunità per aggiornare l’ipotesi di UniVeneto?
Capitolo ambiente: la Regione può «disporre l’allocazione delle funzioni amministrative» riassunte dalle due tabelle che elencano diciassette procedure: dal ripristino ambientale alla raccolta differenziata, dal controllo degli scarichi a quello sui fanghi di depurazione.
Infine, la delegazione di Zaia e i tecnici del ministro Stefani sono chiamati ad applicarsi anche alla sanità. Altro capitolo più che delicato, visto che l’autonomia gestionale del Veneto riguarda – solo per citare la punta dell’iceberg – il personale delle Ulss e perfino il regime di attività libero professionale. Ma non basta, perché l’accordo preliminare contempla già altre due evidenze: il rapporto diretto della Regione con l’Agenzia del farmaco nella valutazione dell’equivalenza terapeutica dei farmaci; il sistema tariffario, di rimborso e di compartecipazione «solo agli assistiti residenti nella Regione».
E c’è perfino di più. Il documento del 28 febbraio, infatti, contiene una novità clamorosa. La Regione può avviare per i laureati in medicina una specie di specializzazione parallela a quella nelle Università di Padova e Verona. Sono definiti così a pagina 14: «Percorsi finalizzati alla stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici, alternativi al percorso delle Scuole di specializzazione».
Una “rivoluzione autonomista” che si estende fino al patrimonio edilizio e tecnologico della sanità veneta. Tradotto significa che la Regione conta di ottenere i soldi da Roma in questo settore. Significherebbe la gestione diretta anche del progetto del nuovo ospedale di Padova.