Caso Zaki, la collega dell’Eipr: “Non sottovalutiamo l’impatto della solidarietà”

Lobna Darwish, a capo del Dipartimento per i diritti delle donne e la difesa di genere dell’Egyptian Initiative for Personal Rights, racconta il suo anno senza Patrick, lo studente dell’Università di Bologna in carcere in Egitto dal 7 febbraio 2020: “Il suo caso è tanto singolare quanto, ahimè, molto comune: dobbiamo continuare a far sentire la nostra voce e lottare in difesa dei diritti umani”

Caso Zaki, la collega dell’Eipr: “Non sottovalutiamo l’impatto della solidarietà”

“Il caso di Patrick è tanto singolare quanto, ahimè, molto comune. Come molti altri prigionieri politici, anche lui è stato arrestato, torturato e ora è entrato nel loop della custodia cautelare, che rinvio a giudizio dopo rinvio a giudizio allunga la sua detenzione, quando nel frattempo l’indagine è assolutamente ferma”. È risoluta la voce di Lobna Darwish, a capo del Dipartimento per i diritti delle donne e la difesa di genere dell'Eipr (Egyptian Initiative for Personal Rights), mentre parla dal Cairo a un anno dall’arresto di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna oggi detenuto nel carcere di Tora. Lobna è stata sua collega per un anno all’Eipr, prima che Patrick partisse per fare il master in Italia. “Da una parte Patrick è stato fortunato: vivendo in Europa e avendo dei colleghi che subito si sono mobilitati per la sua liberazione, il suo caso è arrivato all’attenzione dell’opinione pubblica anche a livello internazionale. Quello che gli sta capitando è orribile, ma è un esempio di cosa succede in Egitto: all’inizio di febbraio, un altro egiziano che studiava a Vienna è tornato a visitare la sua famiglia e la polizia gli ha chiesto di apparire in commissariato per un interrogatorio. Dopodiché di lui si sono perse le tracce per una settimana, e alla fine è apparso davanti alla Procura del Cairo: su di lui pendono gli stessi capi di accusa di Patrick. Stiamo assistendo a un attacco verso gli egiziani che vanno a studiare all’estero, i ricercatori: quando difendiamo Patrick, difendiamo anche tutti gli altri che come lui si trovano in prigione ingiustamente”.

Quali sono le strategie usate dal governo per bloccare l’azione degli attivisti e farli sentire minacciati?
Il governo usa la detenzione preventiva per creare un senso di terrore tra gli attivisti e nella popolazione in generale, per fare censura rispetto al pubblicare le proprie opinioni o scrivere quello che uno pensa sui social media. L’uso della detenzione preventiva è strumentale e ha un ruolo strategico, non è semplicemente casuale: il carcere è usato come forma di punizione per gli attivisti o i dissidenti del governo. La detenzione preventiva andrebbe attuata solo nel caso in cui una persona fosse sospettata di voler fuggire, ma non è il caso della maggior parte dei prigionieri politici, naturalmente: l’obiettivo è invece quello di continuare a tenerli in carcere senza che praticamente nessuno si occupi di investigare il loro caso e senza concedergli un giusto processo e il diritto di difendersi davanti alla corte. Per legge il tempo massimo della detenzione preventiva sarebbe di tre anni, ma in alcuni casi è durata anche di più, il che è completamente illegale. Negli ultimi anni invece il governo ha stabilito una nuova prassi: dopo tre anni il detenuto, anziché essere rilasciato, viene imputato di nuovi capi di accusa, molto simili ma leggermente diversi, per ricominciare il processo tutto da capo.

Che ostacoli sta affrontando l’Eipr nella sua attività di tutela dei diritti umani in Egitto?
L’Eipr ha dovuto attraversare un momento di attacco durissimo lo scorso novembre. In una settimana, tre dei nostri membri sono stati arrestati, uno dopo l’altro, con capi di accusa molto pesanti, tra cui quello di finanziare il terrorismo. Nel frattempo, abbiamo assistito a una campagna mediatica pesante contro l’Eipr in tutto il paese: l’organizzazione veniva accusata di ricevere fondi dall’estero e di difendere i diritti delle minoranze, tra cui quelle Lgbt, che non sono molto popolari nel paese. Dopodiché, anche i conti bancari dell’Eipr sono stati congelati e siamo stati obbligati a lasciare la nostra sede centrale. In pratica, ci hanno reso il nostro lavoro impossibile: per continuare la nostra attività abbiamo dovuto lottare per ogni singolo cavillo. In Egitto, per le organizzazioni come la nostra, che difendono i diritti umani, è questo l’unico modo per continuare a esistere.

Quanti prigionieri politici sono detenuti in Egitto?
È molto difficile sapere quanti sono oggi i prigionieri politici nelle carceri egiziane. I numeri che vengono spesso citati sono vecchi e non molto accurati: noi ci accorgiamo di un nuovo prigioniero solo quando la famiglia o gli amici sono in grado di denunciare la sua sparizione, altrimenti è come se non esistesse. Quando i prigionieri politici vengono rilasciati, poi, non esiste una procedura ufficiale e dunque non ci sono cifre esatte: il governo continua ad affermare di non avere alcun prigioniero politico. Comunque sappiamo che siamo nell’ordine delle migliaia o delle decine di migliaia.

Quali sono le condizioni di vita nelle carceri egiziane? Come sono peggiorate durante l’emergenza Covid-19?
Le condizioni di vita dei detenuti sono molto dure: le carceri sono sovraffollate, le condizioni igieniche sono precarie, le cure basiche non sono garantite. La negligenza medica è uno dei problemi più pericolosi: più di una persona è morta per non aver ricevuto le cure mediche necessarie all’interno del carcere. In questo contesto, l’ombra del Covid-19 diventa una minaccia concreta, che mette a rischio la vita dei detenuti. In più, nei primi quattro mesi della pandemia, la volontà di evitare il contagio è stata presa come pretesto per interrompere completamente le comunicazioni tra l’interno e l’esterno: le visite dei parenti sono state bloccate, i detenuti non hanno più potuto vedere nessuno e non avevano neanche un modo alternativo per comunicare con l’esterno. Anche le chiamate telefoniche erano vietate, il che è illegale secondo la legge egiziana. In estate le visite sono ricominciate, ma oggi vengono permesse solo una volta al mese, per una sola persona e al massimo per 20 minuti. In più è vietato portare provviste e altri beni ai detenuti, che invece prima contano molto su ciò che gli arrivava da fuori, dalla famiglia: nelle carceri le razioni sono molto scarse e a volte il cibo è immangiabile, così oggi assistiamo a problemi di denutrizione, con detenuti che soffrono la fame.

Cosa potrebbe accadere a Patrick dopo il suo rilascio?
Alcuni prigionieri politici, quando vengono rilasciati in presenza di un’indagine ancora aperta, vengono sottoposti a quelle che vengono chiamate “misure alternative”: ad esempio, si devono recare in commissariato per alcune ore al giorno, o alla settimana. Il trattamento è molto diverso – e in certi casi sono state denunciate violenze e abusi da parte della polizia – a seconda di che tipo di commissariato si tratta, in quale area si trova o qual è la classe sociale del detenuto. Oltre a questo, in alcuni casi vengono congelati i beni della persona, che così non ha più accesso al suo conto in banca o non può più disporre delle sue proprietà. Sono tutti modi per renderti la vita molto difficile. E poi c’è il divieto di viaggiare, molto comune tra gli attivisti per i diritti umani egiziani. Certo, dopo il rilascio le cose sono dure per i prigionieri politici. Ma in questo momento noi speriamo solo che Patrick venga liberato, e che abbia un minimo di sicurezza e di libertà garantita.

Dopo un anno di mobilitazione per la liberazione di Patrick, qual è il bilancio?
Certo potrebbe sembrare che gli sforzi siano stati vani e che è impossibile avere un impatto su quello che gli sta succedendo. Ma dalla nostra esperienza, una delle poche cose che serve davvero è continuare a perseverare e a lottare per la libertà. A novembre, quando sono stati arrestati i tre membri dell’Eipr, il fatto che in tanti si siano mossi per chiederne la liberazione ha fatto sì che, inaspettatamente, dopo pochi giorni venissero rilasciati. Quindi faccio un appello a tutti quelli che sono interessati nel futuro di Patrick o alla tutela dei diritti umani in Egitto, affinchè continuino a far sentire la propria voce. Il governo continua a fingere di essere sordo alle pressioni e alle campagne internazionali. Ma non bisogna sottovalutare l’impatto della solidarietà.

Alice Facchini

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)