Caso Zaky, altri 15 giorni di carcere: “Repressione ancora più forte con la pandemia”

Lo studente egiziano dell'Università di Bologna è in carcere dal 7 febbraio e da tre mesi non ha contatti con l’esterno. De Lellis: “Il regime di Al-Sisi sta sfruttando l’emergenza del Covid-19 per dare un’ulteriore stretta autoritaria e violare i diritti umani. E l’Italia sta a guardare”

Caso Zaky, altri 15 giorni di carcere: “Repressione ancora più forte con la pandemia”

Altri 15 giorni in carcere per Patrick George Zaky, lo studente egiziano dell'Università di Bologna arrestato al Cairo lo scorso 7 febbraio: la prossima udienza è rimandata al 16 giugno. Il rinnovo di custodia è avvenuto senza la sua presenza né dei suoi avvocati. L’ultima volta che Patrick si è presentato davanti a un pubblico ministero era il 7 marzo: è da tre mesi che non ha più nessun contatto con l’esterno, mentre nella prigione di Tora, dove è rinchiuso, sono stati confermati i primi casi di Covid-19 e anche il primo decesso: la vittima è l’agente di polizia penitenziaria Sayed Ahmed Hegazy. “L’emergenza legata alla pandemia sta venendo utilizzata da Al-Sisi per prolungare la detenzione di Patrick e degli altri prigionieri politici – commenta Francesco De Lellis, dottore di ricerca in storia del mondo arabo ed esperto di Egitto –. Il coronavirus è diventata una scusa per eliminare quel minimo di parvenza di legalità che c’era prima”.

Durante la pandemia, il regime ha emendato leggi di emergenza che conferiscono più poteri al presidente, alle forze di sicurezza e ai militari, dando così un’ulteriore stretta autoritaria nel Paese. “Chiunque abbia detto verità scomode riguardo alla diffusione del virus è stato preso di mira – racconta De Lellis –. Da quando è scoppiata la pandemia ci sono stati circa 500 arresti, di cui alcuni medici che lamentavano la mancanza di dispositivi di protezione e le condizioni durissime in cui erano costretti a lavorare, e una decina di giornalisti, tra cui anche i corrispondenti esteri di grandi giornali come New York Times e il Guardian, uno minacciato di espulsione e l'altra espulsa per aver detto la verità sulla cattiva gestione della crisi sanitaria”. 

Nel frattempo in Egitto i risvolti economici e sociali dell’epidemia stanno causando grossi problemi a una popolazione già fortemente colpita dalla povertà, e si temono sommosse da parte della popolazione. “Il governo egiziano sta cercando un modo per coprire il totale fallimento della gestione dell’epidemia – spiega De Lellis –. Lo fa limitando la libertà di parola e diffondendo informazioni distorte: pensiamo al decesso dell’agente penitenziario nel carcere di Tora. Inizialmente si è ammesso che fosse morto per un’infezione da Covid-19, poi è stato diffuso un secondo comunicato in cui si ritrattava, dicendo che le cause della morte non erano chiare. Stanno cercando di insabbiare anche questo”. 

Tra le informazioni che il regime di Al Sisi sta facendo di tutto per nascondere ci sono anche quelle sulle condizioni dei detenuti nelle carceri egiziane. “È difficilissimo avere notizie su quello che sta accadendo là dentro – commenta De Lellis –. Di recente è stata diffusa una delle rare testimonianze proveniente direttamente dall’interno del carcere di Tora, dove si trova anche Patrick: la moglie di un detenuto politico palestinese, Ramy Shaath, in un post ha scritto che finalmente dopo 11 mesi le hanno concesso una telefonata con il marito. Lui le ha raccontato che dorme con altre 16 persone in una cella 25 metri quadri, e le guardie non usano sempre le mascherine e i dispositivi di sicurezza”.

Nonostante le violazioni dei diritti umani in Egitto, più volte denunciate da associazioni come Amnesty International, le relazioni tra Roma e il Cairo restano buone e, anzi, durante la pandemia sembrano essersi rafforzate. L’Egitto ne ha infatti approfittato per inviare in Italia, mascherine, dispositivi e macchinari sanitari, una mossa duramente criticata dall’interno, visto che nel frattempo nel paese si moriva di Covid-19 senza che ci fossero sufficienti tamponi, attrezzature né dispositivi di sicurezza adeguati. 

“La scena del ministro degli Esteri Di Maio che accoglie a Pratica di Mare due voli di aiuti inviati dall’Egitto, su cui era a bordo anche la ministra della Sanità egiziana, rappresenta un gesto dal forte significato diplomatico – spiega De Lellis –. Come mai il governo italiano sta investendo così tanto nelle relazioni con l’Egitto? Gli osservatori dicono che c’è in ballo una negoziazione per chiudere un contratto di vendita di armi, tra cui due fregate, 24 cacciabombardieri, oltre ad altri aerei e pattugliatori: un affare da 9 miliardi di dollari, con un’importanza economica e geopolitica enorme. Di fronte a interessi economici così forti, la questione dei diritti umani sembra essere totalmente irrilevante”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)