Contro abusi e molestie sessuali, la rivolta delle donne del Kuwait viaggia sui social

“Non starò in silenzio” è l’hashtag su Instagram attraverso il quale moltissime donne nell’emirato del Golfo hanno deciso di sfidare la mentalità e le rigide norme conservatrici diffuse nel Paese

Contro abusi e molestie sessuali, la rivolta delle donne del Kuwait viaggia sui social

La rivolta delle donne del Kuwait è scattata su Instagram all’insegna di #Lan.asket, “non starò in silenzio” in arabo. Una sorta di #Metoo in versione araba, che mira a scardinare norme, mentalità e cultura conservatrice ancora diffusa nel paese.
A dare il via alla campagna è stata una famosa fashion blogger locale, Ascia Al Faraj, che può contare su 2,6 milioni di follower. “Ogni volta che esco c’è qualcuno che mi molesta o che molesta un'altra donna per la strada”, ha detto in un video. “In questo paese abbiamo un problema di abusi e io ne ho abbastanza”. Un appello raccolto da Shayma Shamo, dottoressa di 27 anni appena rientrata in Kuwait dopo aver studiato all’estero, che ha messo in rete, appunto, #Lan.asket. L’omonimo account Instagram, andato online a fine gennaio, ha già raccolto 12.000 follower ed è diventato un luogo di racconto, condivisione e denuncia di esperienze, spesso traumatiche, vissute da donne kuwaitiane.

Le più fragili tra le donne, quelle a maggiore rischio di abusi e violenze, sono quelle immigrate, arrivate nel paese alla ricerca di un impiego e spesso attive come collaboratrici domestiche senza che alcun diritto sia riconosciuto loro. Nella maggior parte dei casi arrivano da India, Sri Lanka o Filippine.

Il Kuwait è considerato il più avanzato della regione quanto a rispetto dei diritti. Lo scorso settembre otto donne sono entrate come giudici nella Corte suprema, un passo ancora inimmaginabile in altri paesi del Golfo. E in agosto era stata varata la prima legge contro la violenza domestica. Inoltre sono state attivate una comunità rifugio e una linea telefonica proprio per fornire aiuto alle donne.

Ma i passi da fare sono ancora tanti. Nella quotidianità è estremamente complicato ricevere l’aiuto promesso dalle istituzioni e alcune leggi, tutt’oggi in vigore, vanno proprio nella direzione opposta. Come l’art. 153 del Codice penale, che permette di ottenere pene attenuate in caso di “delitto d’onore”. O come l’art. 182, che prevede che un matrimonio riparatore possa mettere al riparo da conseguenze penali chi ha stuprato una donna. Inoltre, la legge applicata ai musulmani sunniti prevede una forte discriminazione per le donne in vari contesti, tanto che per sposarsi, per esempio, devono ottenere l’autorizzazione da parte del “guardiano”, che naturalmente è un uomo. Il marito, inoltre, potrà proibire alla donna di lavorare.

L’articolo integrale di Giulia Cerqueti, Non starò zitta”: la rivolta per i diritti delle donne in Kuwait decolla su Instagram, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)