Di Segni (Comunità ebraiche): “Sì, sono molto preoccupata e per vari motivi”
Frasi sempre più d’effetto che alimentano un clima di odio e sospetto. Abbiamo chiesto alla presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), Noemi di Segni, come da ebrea recepisce e vive questa realtà. “Senza entrare in distinguo accademici - ci dice - penso che moltissimi di quelli che oggi seguono queste idee, non hanno alcuna contezza di quello che esattamente sbandierano e dicono. Ma è comodo usare quei linguaggi e quei simboli perché danno un senso di potere, di forza e di ideologia. Così come il populismo dilagante: è alimentato da masse che aderiscono con estrema facilità a poche frasi, a poche idee e a poche certezze che nascono da bugie continuamente ripetute. Quello che percepiamo è quanto le fake news ripetute diventano verità, diventano odio”
“Sono frasi che abbiamo sentito tante volte, solo che adesso hanno una cassa di risonanza più forte e soprattutto più formalizzata e istituzionalizzata. Il punto non sono le singole dichiarazioni. Il punto è che ormai e, da molto tempo, queste dichiarazioni si sono legittimate e non c’è più alcun tipo di tabù morale”. È Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), a parlare del clima che si sta respirando in questi giorni in Italia. Il riferimento specifico è alle frasi – smentite e poi meglio precisate – del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, riguardo ad un possibile censimento specifico della popolazione Rom in Italia. Frasi che hanno provocato l’immediata reazione della comunità ebraica italiana perché hanno risvegliato – si legge in una nota dell’Ucei – “ricordi di leggi e misure razziste di appena 80 anni fa e tristemente sempre più dimenticati”.
Presidente Di Segni, ci ricorda allora cosa successe negli anni che hanno preceduto l’avvento anche in Italia di leggi che portarono poi alla deportazione degli ebrei italiani?
In una analisi storica, sappiamo che le cose maturano non all’improvviso ma in tanti momenti. C’è stata una fase di propaganda nazista e fascista che portò al censimento degli ebrei nel ‘38. In realtà, già la legge Falco del ‘30 prevedeva una sorta di formalizzazione e registrazione delle Comunità ebraiche. Una legge che poteva sembrare di riconoscimento ma si rivelò a doppia lama perché portò al censimento del ‘38 e al manifesto sulla razza. Fu un percorso deciso in piena democrazia e con votazione democratica. Su questo, credo, ci dobbiamo interrogare.
Interrogare, cioè, sul fatto che anche se una legge è votata a maggioranza e all’interno di una istituzione democratica, non vuol dire che quella determinata legge abbia anche un contenuto etico e non sia antigiuridica nella sua finalità.
Ci devono essere sempre dei valori di base a cui far riferimento. E quei valori non c’erano nelle leggi che, mano a mano, prevedevano l’esclusione degli ebrei da tutti i settori della vita.
Morti prima per legge e da lì, piano piano, nella realtà.
È preoccupata? Lei, cioè, davvero pensa che oggi si stiano vivendo tempi simili?
Sì, sono molto preoccupata e per vari motivi. Ci troviamo di fronte ad un miscuglio incendiario di varie componenti di odio, non necessariamente rivolto solo alla parte ebraica ma anche ad altre componenti, come ai rom e ai sinti. C’è una radicalizzazione del pensiero e una totale ignoranza rispetto a quello che è successo nel passato. Lo possiamo chiamare fascismo o neo fascismo. Senza entrare in distinguo accademici, penso che moltissimi di quelli che oggi seguono queste idee, non hanno alcuna contezza di quello che esattamente sbandierano e dicono. Ma è comodo usare quei linguaggi e quei simboli perché danno un senso di potere, di forza e di ideologia. Così come il populismo dilagante: è alimentato da masse che aderiscono con estrema facilità a poche frasi, a poche idee e a poche certezze che nascono da bugie continuamente ripetute.
Quello che percepiamo è quanto le fake news ripetute diventano verità, diventano odio.
Perché è così facile prendersela con le minoranze?
Non ho la risposta. Credo piuttosto sia il risultato di un insieme di fattori: la componente del diverso, la non conoscenza dell’altro e l’incapacità di avere certezze sulla propria cultura. Se davvero conosciamo, amiamo e valorizziamo ciò che siamo e le nostre radici, perché dobbiamo avere paura di chi arriva dall’esterno? Quando uno è consapevole della ricchezza che ha dentro di sé, sviluppa con passione i propri interessi, insegue i sogni ed è impegnato a realizzarli, non ha paura che chi arriva, si prende tutto questo.
Da che cosa è generata, allora, questa paura?
Dal vuoto. Solo chi non ha un contenuto culturale ricco di riferimento o anche un orizzonte su cui posizionarsi, ha paura dell’altro.
La proposta qual è? Su che cosa si deve lavorare?
Su due livelli. Il primo è il tema della legalità. È giusto che ci sia una richiesta in questa direzione perché, se ci sono persone fuori della legalità e non rispettose del Codice penale, l’auspicio è che ci sia un sistema che funzioni e che venga rispettato. L’altro fronte – forse più difficile – è quello che riguarda la sfera educativa che richiede tempi sicuramente più lunghi.
Il problema non sono i Rom ma cosa abbiamo insegnato sui Rom nei banchi di scuola e cosa abbiamo trasmesso a chi oggi parla in questo modo contro questo popolo.
Mi chiedo: in quale scuola si è andati? È una sfida che chiama il ministero dell’Istruzione ma anche tutto il mondo familiare e associativo che riguarda il bambino. Tutti oggi sono chiamati a insegnare a vivere la presenza degli altri. Il mondo è cambiato e bisogna cominciare a insegnare ai bambini che il mondo è fatto di tante persone e che questa pluralità richiede oggi la capacità di saper dialogare.