Droghe, che fine ha fatto la Conferenza nazionale? “Serve un cambiamento radicale”

Nel Libro Bianco sulle droghe, presentato oggi, anche i contributi di diversi esponenti del mondo dell’associazionismo. Vecchio (Forum droghe): “Il cambio di rotta delle politiche sulle droghe è un obiettivo ineludibile”. De Facci (Cnca): “Ripartire dalla persona”. Amerini (Cgil): “La Dadone dice che la Conferenza si farà, ma non sia un contenitore vuoto”

Droghe, che fine ha fatto la Conferenza nazionale? “Serve un cambiamento radicale”

“È ormai un luogo comune di nostri dibattiti mettere in evidenza che la pandemia ha messo in luce le contraddizioni storiche delle politiche trentennali incentrate sul modello della guerra alla droga e in generale delle politiche di welfare e del sistema sanitario. Ma, ciononostante, dopo un anno di emergenza sanitaria e, in una fase di lento rientro in una normalità ancora incerta, non mi sembra che siano state apprese le lezioni collegate a queste realtà. Né il PNRR né altri provvedimenti prevedono né un accenno alle politiche sulle droghe né tantomeno un cambiamento strutturale del sistema del welfare, del sistema sanitario e socio-sanitario risultati fortemente inadeguati a fronteggiare e governare la pandemia”. Così Stefano Vecchio, presidente di Forum Droghe, il cui intervento è contenuto all’interno del Libro Bianco sulle droghe, presentato oggi.

Il fallimento della politica di lotta alle tossicodipendenze, la mancata convocazione ormai da molti anni della Conferenza nazionale sulle droghe, un Paese colpevolmente distratto su tematiche che, invece, meriterebbero ben altra attenzione. Ruotano attorno a questi temi gli interventi contenuti nel Libro Bianco.
“L’esigenza di rilanciare una molteplicità di iniziative per un impegno rinnovato e ricercando anche nuove strade per ‘un cambio di rotta delle politiche sulle droghe’ si presenta come un obiettivo ineludibile che va oltre le stesse politiche sulle droghe”, continua il presidente di Forum Droghe.

“Ripartiamo da febbraio 2020”

“La conferenza autoconvocata organizzata per febbraio 2020 e rimandata per la pandemia, fu il risultato di un lungo lavoro di confronto tra le nostre reti, che raggiunse una importante convergenza nei temi riportata nel documento e nel programma ampio condivisi continua Vecchio -. La lunga parentesi emergenziale ha oggettivamente allentato i nodi di quella rete. Oggi, è necessario riprendere quel percorso, ricucendo le nostre reti e attivando anche relazioni con nuovi contesti come più volte ci siamo detti”.

Per Vecchio, “sono trascorsi quattro anni dalla introduzione della RdD/LdR nei nuovi LEA. Le esperienze diffuse di Riduzione del Danno, in Italia e in Europa, che hanno avuto riscontri particolarmente efficaci nel corso di questa pandemia, indicano una via di ampliamento e riorganizzazione del sistema pubblico dei servizi e degli interventi alternativa al modello patologico fallimentare e istituzionalizzante. E necessario che si delinei un quadro istituzionale, anche ampliando l’accreditamento ai servizi integrati, che renda stabili e definiti questi interventi e che coinvolga il Terzo Settore come soggetto pubblico sociale, nella co-progettazione e cogestione, superando precarietà e modelli esternalizzati. Dobbiamo riprendere, su questa base, la mobilitazione per chiedere di nuovo una Commissione mista della Conferenza Stato-Regioni, con la società civile sulla base delle proposte nel documento sottoscritto dalla rete delle associazioni”.

Rilanciare la legge sulla “lieve entità” e sulla coltivazione per uso personale

La proposta di legge, per Vecchio, “potrebbe aggregare più parlamentari di diverse forze politiche e, proprio per il suo carattere meno strutturale e attuabile in tempi ristretti, iniziare a incrinare e rendere meno afflittiva la logica penale della legge attuale. Nella stessa logica ripropongo l’idea di attivare una strategia nazionale sulle misure alternative con offerte non solo terapeutiche ma anche sociali, con il coinvolgimento dell’associazionismo della cooperazione dei servizi del Ministero della Giustizia e della Magistratura, finalizzata a creare un corto circuito tra pena e esecuzione penale esterna, saltando la detenzione in carcere. Ma le nostre reti non possono farcela da sole, è necessario allargare i soggetti in campo in particolare dando maggiore impulso alle nostre iniziative con il mondo dei media e della politica”.

La Conferenza autoconvocata si configura, in questo quadro, come una iniziativa autonoma, parte di un percorso politico-culturale della società civile, spazio di approfondimento e elaborazione che non intende sostituirsi alla Conferenza Nazionale ma, al contrario indicare alcuni temi centrali per la discussione e proporre un metodo partecipato per la sua preparazione e organizzazione. In questo quadro si colloca il rapporto con la Ministra Dadone con delega alle politiche sulle droghe, che dopo una prima apertura nella quale ha espresso l’impegno generico a organizzare  la Conferenza Nazionale si è ritirata nel suo Ministero. E’ necessario sollecitare un confronto più stretto, che preveda anche un ripensamento degli organismi del suo Ministero come l’inutile e dannoso DPA
Si tratterà inoltre verificare, un suo possibile impegno, a coinvolgere i Ministri della Sanità e della Giustizia per una Conferenza Nazionale non rituale ma luogo di confronto a più voci e di chiaro impegno per un cambiamento radicale delle politiche sulle droghe”.

Cgil: “Una piattaforma per la Conferenza”

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Denise Amerini, responsabile Dipendenze e Welfare della Cgil Nazionale. Che scrive: “La normativa sulle droghe, in Italia, è ferma da oltre 30 anni alla Legge 309/90, basata su logiche punitive di “guerra alla droga”. Eppure, in questi 30 anni tante cose sono successe: ad esempio, l’Assemblea Straordinaria Generale delle Nazioni Unite, nel 2016, ha visto un dibattito fra i paesi promotori che ha registrato l’insostenibilità, da ogni punto di vista, della war on drugs. La ricerca ha fatto notevoli passi in avanti, dimostrando che le conseguenze dell’uso di sostanze sono legate a diversi fattori, che non necessariamente chi usa sostanze è destinato alla dipendenza, che esiste un uso assolutamente controllato, normalizzato, di molte sostanze. Quella legge che ha dimostrato la propria inefficacia, ottenendo come risultato maggiore la criminalizzazione del consumo riempiendo le carceri di tossicodipendenti, prevedeva anche che, con cadenza triennale, venisse convocata la Conferenza Nazionale sulle Droghe. L’ultima è stata organizzata a Trieste nel 2009, ed è stata davvero un passaggio ininfluente, irrilevante, rispetto alle necessità di innovazione delle politiche sulle droghe. L’ultima Conferenza di una certa importanza, per come il dibattito ha affrontato i temi in discussione, è stata quella di Genova del 2000. Sono passati ormai 21 anni. Il mondo è andato avanti: la ricerca, il lavoro e le pratiche dei servizi hanno sfatato miti e pregiudizi, molti paesi hanno adottato normative per la depenalizzazione dell’uso di sostanze con esiti e ricadute positivi sull’economia, sulla salute delle persone, ed anche in termini di contrasto alla criminalità organizzata. In Italia si continua, invece, a patologizzare il consumo e a criminalizzare i consumatori”.

“La Ministra che ha la delega alle politiche sulle droghe, Fabiana Dadone, ha affermato che la Conferenza la vuole fare, che si farà: ovviamente, dopo tanti anni, non possiamo che accogliere con soddisfazione questa notizia. A patto che la Conferenza non sia un contenitore vuoto, ma il luogo di discussione vera, seria, oltre le narrazioni che ci hanno accompagnato in questi anni, e che hanno ancora di più contribuito a creare stigma, emarginazione – continua Amerini -. Ci aspettiamo una Conferenza all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte, a maggior ragione dopo così tanti anni di assenza di un luogo istituzionale dove discutere seriamene delle politiche portate avanti dai Governi che in questi anni si sono succeduti, delle conseguenze che hanno avuto e dei risultati prodotti, dello stato dei servizi, dei necessari interventi normativi che adeguino le leggi italiane ai saperi ed alle conoscenze che in questi anni si sono sviluppate, a quanto fatto in altri stati del mondo, in termini di legalizzazione e depenalizzazione, oltre che di utilizzo della cannabis a fini terapeutici. Non abbiamo bisogno di una conferenza ‘sottotono’, magari perché il tema è divisivo e registra posizioni distanti all’interno della attuale maggioranza di governo, ma di una Conferenza in grado di incidere, di provocare davvero un cambio di passo e di registro, dopo anni di immobilismo, se non di arretramenti”.

De Facci (Cnca): “La persona come priorità”

“Sono almeno 200 mila le persone che ruotano annualmente nel sistema di cura e accompagnamento psicosociosanitario con le difficoltà connesse al consumo problematico di sostanze psicoattive ed almeno 1/10 di queste (+ di 20 mila) sono quelle che passano per le strutture residenziali e semi residenziali ogni anno”. A citare i dati è Riccardo De Facci, presidente del Cnca, che continua: “Le domande, i bisogni e le stesse sostanze usate variano con risposte che sono molto diverse tra loro anche per la presenza sui territori di un sistema estremamente diversificato, con 20 possibili sistemi di risposta diversi essendo 20 le regioni che li normano in maniera totalmente auto referenziata ed in cui la stessa applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza non è garantita ovunque, a scapito dei diritti base soprattutto delle persone con dipendenza o abuso da sostanze psicoattive. Addirittura, nel campo dei servizi pubblici e privati delle dipendenze, lo stesso atto di intesa stato/regioni del 1999 che li doveva normare, non è mai stato applicato totalmente in almeno il 50 % delle regioni italiane. Un ulteriore dato certo è la totale differenziazione per quanto riguarda gli interventi di Riduzione del danno e dei rischi che non sono accreditati e strutturati stabilmente (malgrado i Lea li prevedano da almeno 4 anni) in nessuna regione; presenti in maniera significativa in un 1/3 delle regioni italiane, episodicamente in un altro 1/3 e totalmente assenti in almeno 1/3 delle regioni".

"Questo sistema è da anni in grande crisi con riduzioni e ridimensionamenti sempre più forti e disinvestimenti progettuali gravi - continua -, malgrado questo, il lavoro di operatori pubblici e del privato sociale da anni permette a questo sistema di funzionare, sperimentare nuovi percorsi, progetti e risposte anche alle nuove domande che arrivano. Sono almeno un milione le persone contattate anche quest’anno con i servizi di Riduzione del danno e dei rischi mantenendo una presenza operativa, nonostante il Covid, presidiando i luoghi più difficili delle città (parco della Groane o Rogoredo, Scampia o Prato).
Il Covid ha smascherato in maniera violenta però molti di questi limiti, con una riduzione delle accoglienze nelle strutture residenziali dovute alla chiusura degli ingressi nelle comunità per i tempi incerti delle quarantene o dei tamponi e per la tutela degli ospiti già in percorso terapeutico. Oppure la riduzione delle presenze nei servizi ambulatoriali vista la pandemia con una distanza sempre più ampia tra servizi e utenti soprattutto se nuovi. Ecco perchè riteniamo che in una fase di minor allarme, di ripensamento sull’accaduto e di analisi più lucida su ciò che è avvenuto nell’emergenza Covid (ora per fortuna con vittime e danni umani sempre più attenuati), il mondo del terzo settore, dell’associazionismo, del civismo attivo, sindacale e delle rappresentanze dal basso si sta interrogando su come rilanciare un sistema sociosanitario davvero diverso nel nostro Paese".

“Uscire da un modello che non considera la persona come priorità”. Per De Facci, “l’elemento dirompente che la drammatica emergenza sanitaria e sociale ci consegna è la consapevolezza che un modello fondato sul pensiero unico del mercato e sulla priorità del profitto nella sanità e nella cura delle persone non garantisce protezione alcuna. Ora, nella nuova fase dopo un inverno durissimo, si tratta di scegliere la salute come bene comune primario ed inviolabile e quindi aprire un conflitto propositivo e generalizzato anche per riscrivere il modello sociale ed economico. Elemento strutturale di questa riscrittura è ‘nessuno resti indietro’. Che metta sullo stesso piano dei diritti il consumatore motivato con quello ancor coinvolto nelle sue fatiche. Questa è la base di un diverso patto sociale e di una proposta di cambiamento di cui il terzo settore, la cooperazione non profit più seria, l’associazionismo diffuso, gli enti locali, il sindacato e gli operatori del servizio pubblico devono diventare motore. Sono i principi di prossimità, di promozione della persona, di protagonismo e di responsabilità diffusa quelli attraverso i quali le realtà dell’economia sociale e solidale vogliono essere non più solo enti gestori ma protagonisti attivi di cambiamento ed innovazione a tutti i livelli”.

Per il campo delle dipendenze, secondo De Facci “va organizzata nel settore connesso al mondo dell’abuso e della dipendenza una revisione delle legge attuale, la Conferenza nazionale, seppur in ritardo di 20 anni, va convocata la nuova Consulta, scritto il piano nazionale di intervento, uniformato il sistema di intervento sostituendo i 20 sistemi regionali attuali spesso estremamente limitati e privi di alcuni dei servizi indispensabili e ripristinato il Fondo nazionale antidroga per promuovere ricerca, innovazione ed evoluzione dei servizi. Alla nuova ministra Dadone i nostri migliori auguri e stimoli”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)