Guerra e salute mentale: il focus di Amref sul Sudan

Nella nazione più giovane del mondo, si registra il quarto più alto tasso di suicidi in Africa. Disturbi mentali colpiscono circa un quarto della popolazione. Decenni di conflitti e instabilità hanno avuto un effetto devastante sulla popolazione. Intervista a Jacopo Rovarini

Guerra e salute mentale: il focus di Amref sul Sudan

C'è una stretta relazione tra guerra, povertà e salute mentale: nel giorno in cui il mondo celebra la Giornata della Salute mentale e al tempo stesso guarda con apprensione alle nuove tensioni in Medio Oriente, il racconto di Jacopo Rovarini, operatore di Amref Health Africa e Coordinatore del Progetto M(H)IND, ricorda quanto la paura, la miseria e i conflitti contribuiscano a indebolire la salute mentale in un Paese. E lo fa raccontando la situazione in Sud Sudan, per la nazione più giovane del mondo, dove si registra il quarto più alto tasso di suicidi in Africa. Un quinto della sua popolazione è affetto o è a rischio di sviluppare disturbi mentali. Decenni di conflitti e instabilità hanno avuto un effetto devastante sulla popolazione: la maggioranza dei Sud Sudanesi affrontano quotidianamente numerose difficoltà dovute alla povertà, alla carenza di servizi di base, a sfollamenti improvvisi, ai cambiamenti climatici, all'insicurezza.

Questa serie di difficoltà ha generato e continua a generare un malessere psicosociale che affligge buona parte della popolazione. Nonostante la crescente consapevolezza dell’importanza della salute mentale, in Sud Sudan la comprensione e l’accettazione di questo genere di disturbi sono ancora estremamente limitate, i servizi dedicati sono quasi inesistenti, la disponibilità di personale qualificato per la diagnosi ed il trattamento di questo tipo di patologie è ridotta.

Il progetto M(H)IND (Mental Health and Integration for Development) - finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e dalla Fondazione Stavros Niarchos, rappresenta la prima iniziativa interamente dedicata all’espansione integrata di servizi di salute mentale a livello comunitario, primario e secondario, pienamente incorporata nel sistema sanitario locale. Nell'ambito del progetto, è stato realizzato un corso di formazione basato sul “Self Help Plus (SH+)”, un intervento psicologico sviluppato dall'OMS che mira a fornire competenze essenziali per meglio gestire lo stress e affrontare le avversità a coloro che si trovano in uno stato di malessere psicologico, e così prevenire un deterioramento del loro stato di salute mentale. Il corso è stato realizzato dal capofila Amref in collaborazione con Health Right International.

Jacopo Rovarini, perché investire nella salute mentale in un Paese come il Sud Sudan? Non ci sono priorità più importanti?
Come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non esiste salute senza salute mentale (“there is no health without mental health”). È pur vero che le prime sei cause di mortalità nel Paese sono rappresentate da malattie trasmissibili (es. infezioni respiratorie e gastro-intestinali, malaria, HIV/AIDS e tubercolosi) o condizioni materno-infantili (es. complicazioni neonatali). La salute mentale, invece, non figura tra le principali cause di mortalità, nonostante qui si registri il quarto tasso più elevato di suicidi del continente africano, ma è un importante fattore di morbilità e disabilità.

Di che numeri parliamo?
I disturbi di natura mentale, neurologica o legati all’abuso di sostanze sono tra i primi fattori determinanti morbilità e disabilità nel paese. Basti pensare che si stima che questi, da soli, causino 191.000 anni vissuti con disabilità (YLD, Years Lived with Disability) dalla popolazione sud sudanese ogni anno – un fardello poco inferiore all’intero peso rappresentato dall’insieme di tutte le malattie infettive e parassitarie.Ciò non sorprende, poiché la stessa OMS ritiene che in contesti come quello del Sud Sudan, caratterizzato da fenomeni pluriennali di conflitto, deprivazione e violenza di varie entità, oltre un quinto della popolazione soffra o sia a rischio di sviluppare disturbi psicologici, psichiatrici, comportamentali o neurologici. Ciononostante, questo ambito di assoluto rilievo sociale e di sanità pubblica non riceve la considerazione e gli investimenti che merita.

Come sono trattati i problemi di salute mentale in Sud Sudan?
Purtroppo, vi è estrema scarsità di specialisti, operatori qualificati e servizi dedicati alla salute mentale. Si contano solo quattro psichiatri (uno di recente formazione) e una trentina di psicologi tra gli oltre 12 milioni di sud sudanesi; un solo reparto di psichiatria, nella capitale Giuba; e meno di 1.000 pazienti con disturbi mentali gravi assistiti dal sistema sanitario nazionale all’anno.

Si sta facendo qualcosa per invertire la rotta?
Negli ultimi anni si è investito parte delle poche risorse disponibili col fine di preparare operatori sanitari più diffusi quali Clinical Officer e infermieri a diagnosticare e trattare i più comuni disturbi mentali, neurologici e dovuti all’abuso di sostanze, mediante la formazione di questo personale sulle linee guida mhGAP promosse dall’OMS.

Quanto è ampio ancora lo stigma riguardo le malattie mentali in Sud Sudan?
Lo stigma, che si traduce in discriminazione ed emarginazione a vari livelli, è alimentato dal timore, dalla mancata comprensione e consapevolezza di questi disturbi e dei loro effetti, dalla sottovalutazione della loro rilevanza, e da credenze legate ad elementi divini o soprannaturali.

Le carenze e difficoltà sopra descritte fanno sì che nel Paese molti pazienti non riconoscano o accettino il proprio malessere, che non cerchino assistenza di sorta per non rivelare la propria condizione, oppure, che si rivolgono esclusivamente a guaritori tradizionali locali, solitamente più accessibili e recettivi. Inoltre, non è inusuale registrare ancora oggi casi di individui con patologie gravi, spesso con risvolti comportamentali di complessa gestione, che vengono reclusi e abbandonati presso gli istituti penitenziari in mancanza di infrastrutture e percorsi di cura alternativi.

Quale impatto può avere il progetto M(H)IND nel Paese?
La sfida che ci si prospetta è enorme. Il progetto M(H)IND, per quanto ambizioso, potrà solo avviare alcuni processi in un limitato numero di aree geografiche. Ritengo però che l’iniziativa abbia il potenziale per dimostrare la bontà, la convenienza e l’efficacia di una serie di interventi potenzialmente replicabili ed estendibili a tutto il paese. Ad esempio, la conduzione di campagne radiofoniche realizzare dal partner BBC Media Action, focalizzate sul tema della salute mentale e finalizzate al cambiamento di diffuse convinzioni e comportamenti discriminatori, metterà in discussione e, ci si augura, inizierà a scalfire lo stigma esistente. La combinazione sinergica di attività di assistenza informale e comunitaria tramite interventi scientificamente validati come il Self-Help Plus,e di attività di gestione clinica dei disturbi psicologici, psichiatrici e neurologici presso le strutture sanitarie esistenti, permetterà ad Amref e al suo partner Caritas di mostrare la fattibilità e l’efficacia di un approccio disegnato per contesti semi-umanitari e con risorse finanziarie limitate.

Svolgerete attività di ricerca?
Sì, la ricerca operativa guidata dall’Università di Verona (WHO Collaborating Centre for Research and Training in Mental Health and Service Evaluation) si spera possa consentire di dimostrare l’adeguatezza e l’impatto dell’approccio integrato adottato dal progetto e, attraverso l’assistenza tecnica fornita da Amref al Ministero della Sanità del Sud Sudan, eventualmente influenzare positivamente piani strategici e documenti d’indirizzo del paese atti alla promozione della salute mentale. Infine, l’impatto primario a cui il consorzio aspira e che avrà forse più valore di tutti: il miglioramento concreto del benessere e della salute di migliaia di persone, che possano finalmente esprimere al massimo il proprio potenziale di crescita, libere da condizioni stigmatizzate, curabili o trattabili.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)