Haiti, reparti ospedalieri chiusi per mancanza di carburante, tra insicurezza e rapimenti. Cappellini (Avsi): “Situazione esplosiva”

L'ennesima sciagura che si è abbattuta su Haiti, dopo i terremoti, i rapimenti e la violenza, la crisi politica ed economica, è la penuria di carburante, che blocca la sanità, i servizi di telefonia ed ha un impatto anche sulle operazioni umanitarie. Lo racconta al Sir Fiammetta Cappellini, responsabile Avsi che vive a Port-au-Prince da 15 anni

Haiti, reparti ospedalieri chiusi per mancanza di carburante, tra insicurezza e rapimenti. Cappellini (Avsi): “Situazione esplosiva”

Ospedali senza il carburante necessario a sostenere i generatori di corrente e far funzionare i reparti di chirurgia e rianimazione. Un terzo dei ripetitori di telefonia mobile spenti e intere zone del Paese senza copertura telefonica. Banche chiuse da giorni, con relativa impossibilità di pagare i salari a gente povera che senza soldi non può acquistare cibo. Centinaia di rapimenti, anche di missionari e bambini, a scopo di estorsione. Violenza, scioperi e insicurezza cronica crescente. Dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse, lo scorso 7 luglio, la situazione politica è ancora complessa ed instabile, con l’impossibilità di indire nuove elezioni. La crisi economica perdura da anni e migliaia di sfollati ancora ricevono aiuti di emergenza dall’ultimo terremoto del 14 agosto. Questa è Haiti oggi, un Paese dove sembrano accanirsi tutte le sciagure possibili, mentre la popolazione è costretta a resistere e lottare, ogni giorno, per la sopravvivenza. L’ultima emergenza è quella della mancanza di carburante, denunciata in questi giorni dall’Unicef e confermata al Sir da Fiammetta Cappellini, responsabile dell’Ong Avsi ad Haiti, dove vive da 15 anni. Avsi è presente nel Paese caraibico da vent’anni con 300 operatori haitiani e 18 internazionali sparsi in 5 sedi, anche nei dipartimenti più periferici, per una pronta e capillare risposta nelle emergenze. “La situazione sta diventando veramente esplosiva”, afferma Cappellini.

La causa principale della mancanza di approvvigionamenti di carburante, nella capitale Port-au-Prince e nei dipartimenti più periferici, sono lo sciopero nazionale che impedisce il trasporto e lo scarico dalle navi cisterna e l’insicurezza. In alcune zone del Paese i camion vengono assaltati dalle gang. Ma anche la crisi economica contribuisce alla penuria del carburante, acquistato dallo Stato da compagnie che lo hanno in appalto. “Lo Stato ha debiti pesantissimi con le compagnie che non riesce a pagare – spiega -. Diversi ospedali hanno dovuto chiudere o sospendere i servizi di chirurgia e rianimazione.

E’ un fatto gravissimo che impatta su tanti altri settori. Ad esempio le telecomunicazioni, che non funzionano, perché non c’è più il diesel per i ripetitori delle antenne.

La principale compagnia telefonica ha spento un terzo dei ripetitori e ci sono intere zone del Paese senza segnale telefonico. Non è una cosa da niente perché ad Haiti non esiste una rete fissa. Senza i cellulari, anche in situazione di rischio e grave urgenza, non c’è modo di chiamare dei soccorsi o chiedere aiuto”.

Anche le banche aprono a singhiozzo: “Questa settimana non sono mai state aperte, ciò significa che a livello nazionale non si pagheranno i salari del mese. In un Paese in cui la gente vive sotto l’assedio della povertà non pagare i salari significa che al primo giorno del mese non hanno i soldi per acquistare il cibo”.

Operatori umanitari, razionate le scorte di carburante. Vivendo tra la gente, anche gli operatori umanitari risentono degli stessi problemi, anche se sono maggiormente attrezzati. “Abbiamo dovuto razionare le scorte di carburante e dedicarlo alle operazioni più urgenti – racconta -, rallentando molto le operazioni di primissima urgenza. Fare scelte di questo tipo è difficile, perché tutte le azioni sono necessarie ed importanti”. Secondo Cappellini la comunità internazionale potrebbe aiutare “garantendo almeno gli approvvigionamenti agli ospedali e agli attori umanitari”.

La risposta umanitaria al terremoto del 14 agosto sta andando avanti a rilento e con moltissime difficoltà per tutti questi motivi. In più non arrivano i finanziamenti da parte delle organizzazioni internazionali. Avsi opera con fondi propri grazie alle raccolte fondi. Anche se sono trascorsi quasi tre mesi da allora si è ancora nella fase di emergenza, ossia stando accanto accanto alla popolazione vulnerabile con distribuzione di cibo e beni di prima necessità, cure sanitarie, rifugi provvisori per gli sfollati.

E poi c’è il gravissimo problema dei rapimenti a scopo di estorsione, quasi 800 dall’inizio dell’anno. Dopo i 7 preti, religiose e laici francesi e haitiani rapiti e poi rilasciati lo scorso mese di aprile, dalla settimana scorsa 17 missionari americani e canadesi di Christian aid ministries, tra cui 5 bambini, sono nelle mani della stessa feroce gang locale. Gli Stati Uniti stanno trattando per la liberazione. “La dinamica del rapimento è la stessa, di domenica e in pieno giorno, e nella stessa zona – dice -. Non ci sono protocolli di sicurezza che possano realmente proteggere da un evento del genere. Potrebbe capitare a chiunque e in qualsiasi momento. Lo Stato haitiano e le forze dell’ordine non hanno la capacità di proteggere il Paese. Noi osserviamo protocolli di sicurezza strettissimi, quella è una strada che non percorriamo perché c’erano già stati altri episodi.

Purtroppo la situazione è talmente grave che ridurre il rischio a zero è quasi impossibile”. Dall’inizio dell’anno sono stati segnalati quasi 800 rapimenti, con un aumento del 300% da luglio a settembre.

Non ci sono speranze per Haiti? “Dopo 20 anni di lavoro di Avsi e dopo tanti sforzi vediamo una situazione peggiore di quando abbiamo aperto – osserva Cappellini -. Gli interrogativi che ci poniamo sono tanti ma non è il momento di affrontarli. La gente ha molto bisogno di noi e a maggior ragione è importante esserci”. Chi è ancora molto vicino al popolo è la Chiesa, che continua a lanciare appelli per la pace e la cessazione delle violenze, offrendosi anche come mediatrice nella crisi politica. Per ora con scarsi risultati.

Chi può fare qualcosa per il Paese? “Non so se qualcuno può fare qualcosa per Haiti – conclude -: la maggior parte dei problemi di Haiti sono di natura endogena. E’ un Paese che deve trovare la propria strada per una governance, per un patto sociale, che non può essere importato dall’esterno. Ciò nonostante

la comunità internazionale dovrebbe chiedersi se l’accompagnamento attuato in questi anni ad Haiti sia andato nella direzione più proficua e di supporto a questo popolo”.
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Fonte: Sir