I costi sociali dell’inquinamento da Pfas, “nemico entrato in casa dall’acqua del rubinetto”

Oggi sono vittime del disastro ambientale circa 350 mila persone che risiedono tra le province di Padova, Verona e Vicenza. L’università di Padova ha svolto una ricerca per indagare i danni psicologici sulle famiglie che hanno subìto "violenza ambientale"

I costi sociali dell’inquinamento da Pfas, “nemico entrato in casa dall’acqua del rubinetto”

Angoscia, senso di colpa, rabbia: è quello che vivono le persone che abitano in Veneto nelle zone contaminate da Pfas, un composto chimico utilizzato per rendere impermeabile ad acque e grassi beni di uso comune come l'abbigliamento o le pentole antiaderenti solo per citare due esempi. Per oltre 50 anni la produzione di Pfas ha inquinato acque e terreni. Oggi sono vittime di questo disastro ambientale circa 350 mila persone che risiedono tra le province di Padova, Verona e Vicenza. E se i dati delle analisi delle acque e del sangue dimostrano la presenza massiccia di pfas nelle falde e nei corpi, un gruppo di ricercatori dell'Università di Padova ha svolto una ricerca per capire quanto sta incidendo a livello psicologico tutto questo. “In questo caso il nemico è entrato in casa attraverso l'acqua del rubinetto. La casa è il luogo in cui dovresti sentirti al sicuro. E invece con il Pfas siamo di fronte a una violenza che è entrata in casa, che ha violato l'intimità delle famiglie”, spiega Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza e Psicologia del disagio sociale, che insieme a Marialuisa Menegatto, psicologa clinica e di comunità, ha coordinato la ricerca. Un lavoro durato tre anni i cui risultati sono raccontati nel volume “Cattive acque. Contaminazione ambientale e comunità violate”, edito dalla stessa università (il pdf è scaricabile gratuitamente). È una ricerca che mette a fuoco la “contaminazione della mente” subita da chi nel 2013 ha scoperto che il proprio corpo o quello dei propri figli contiene Pfas in concentrazioni pericolose per la salute “per colpa” dell'acqua bevuta al rubinetto di casa o per innaffiare l'orto.

“Il nostro progetto di ricerca ha lo scopo di indagare l’impatto della contaminazione ambientale da Pfas su famiglie e intere comunità. Gravi sono le conseguenze dirette di queste sostanze chimiche sulla salute: tumori, disturbi renali, malattie cardiovascolari e respiratorie, sterilità, patologie neonatali e altro ancora. Ma pure i costi sociali indiretti sono estesi, sebbene più difficili da individuare e calcolare - dice Adriano Zamperini-. Essi includono un deterioramento della qualità della vita, l’aumento dello stress psicosociale, ansia e depressione. Molto spesso questi costi indiretti vengono rimossi insieme alla rimozione delle vittime dei disastri ambientali. Il nostro obiettivo è quindi dare visibilità a questi costi sociali”

“Sono persone che non solo sono preoccupate per il presente ma anche per il futuro -aggiunge Zamperini-. Sia perché l'acqua continua ad essere inquinata sia perché l'incognita sulle proprie condizioni di salute o dei propri cari li segnerà per i prossimi anni”. C'è poi il senso di colpa di mamme e papà per aver involontariamente contaminato i figli con gesti e comportamenti che paradossalmente si credevano virtuosi, come l'allattare al seno il proprio figlio, dar loro da mangiare i frutti dell'orto, bere l'acqua del rubinetto.  “Abbiamo a che fare con sogni infranti, preoccupazioni e senso di precarietà -sottolinea Zamperini-. E poi c'è il tema delle nuove generazioni. Quello da Pfas è un inquinamento subdolo che chiede conto e potrebbe danneggiare anche chi non è ancora nato”. Nella mente di una giovane coppia, che sa di avere Pfas nel sangue, c'è infatti la paura di far nascere figli già contaminati.

Nella ricerca il termine ricorrente è quello di “violenza ambientale”. Chi viene contaminato non è solo danneggiato, in altri termini, ma può essere considerato vittima di una violenza. “Qui la violenza si è manifestata con una violazione dell'intimità delle persone, nelle loro case -spiega Zamperini-. L'uomo non è mai solo, è in un contesto. E ci si sente a casa anche nel proprio quartiere o paese. Ora queste situazioni di inquinamento hanno la capacità di violare questo senso di appartenenza”.

In luglio è iniziato il processo a Vicenza nei confronti di 15 imputati, tra vecchi e più recenti proprietari dello stabilimento Miteni di Trissini, l'azienda da cui si presume sia partito l'inquinamento da Pfas. “L'avvio del processo può svolgere un effetto terapeutico per le vittime -sottolinea Zamperini-. Perché durante il processo si trova spazio pubblico e riconoscimento della propria condizione. Chi all'inizio ha cominciato a denunciare e a protestare per l'inquinamento è stato tacciato di allarmismo o catastrofismo. Le mamme Pfas sono state tacciate per pazze isteriche che non capivano niente di scienza. Il processo, al di là dell'esito che potrà avere, dimostra che il problema c'è”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)