I giovani del Mezzogiorno e quel percorso “lungo e complicato” verso l’età adulta

I dati Istat. Nel 2023 in Italia si contano circa 10 milioni 200 mila giovani tra 18-34 anni; dal 2002 la perdita è di oltre 3 milioni (-23,2%) e il Mezzogiorno presenta una perdita accentuata rispetto al resto del Paese. Aumenta la propensione agli studi, ma i percorsi universitari dei meridionali sono spesso più lenti e caratterizzati da una significativa “emigrazione studentesca”. Lavoro: la situazione fra i “millennials” peggiora

I giovani del Mezzogiorno e quel percorso “lungo e complicato” verso l’età adulta

“I giovani del Mezzogiorno: l’incerta transizione all’età adulta” è il titolo del focus dell’Istat che propone, appunto, una riflessione sulla “condizione giovanile” con particolare riferimento al Mezzogiorno d’Italia, centrata su alcuni temi rilevanti per questa fase della vita inquadrati in un’ottica di ricognizione dei divari territoriali e di mutamento fra generazioni. Il riferimento prioritario è alla fascia d’età 18-34 anni, “età di passaggio”, viene definita, caratterizzata da un progressivo prolungamento dei percorsi formativi, da una tendenziale “moratoria del distacco” dalla famiglia e da un ingresso tutt’altro che agevole nel mondo del lavoro.

Le principali evidenze

Quella che si evince dallo studio è una condizione dei giovani italiani piuttosto fragile, a partire da una riduzione ormai strutturale della loro consistenza demografica.
Nel 2023 in Italia si contano circa 10 milioni 200 mila giovani in età 18-34 anni; dal 2002 la perdita è di oltre 3 milioni di unità (-23,2%). L’Italia è il Paese Ue con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (nel 2021 17,5%; media Ue 19,6%).

I giovani sono anche i veri protagonisti del cosiddetto “inverno demografico”: essi diminuiscono mentre la popolazione aumenta (+3,3% dal 2002 a oggi). È un fenomeno attivo fin dai “baby-boomers” (nati fra il 1956- ’65), ma che ha subito un’accelerazione a partire dai cosiddetti “millennials” (nati fra il 1981-‘95).

Il Mezzogiorno d’Italia presenta una perdita accentuata di popolazione giovanile. Attualmente, la quota di giovani (18-34 anni) è maggiore nel Mezzogiorno (18,6%) rispetto al Centro-nord (16,9%), ma nel primo caso la flessione è molto severa (-28% dal 2002). Si prevede che nel lungo periodo (2061) gli ultra-settantenni saranno il 30,7% della popolazione residente nel Mezzogiorno (18,5% nel Centro-nord).

La gioventù è un’età di passaggio, ma gli attuali giovani del Mezzogiorno hanno un percorso più “lungo e complicato” verso l’età adulta. Si dilatano notevolmente i tempi di uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una famiglia propria, della prima procreazione. Nel Mezzogiorno il 71,5% dei 18-34enni nel 2022 vive in famiglia (64,3% nel Nord Italia; 49,4% nell’Ue a 27), con un forte aumento rispetto al 2001 (62,2%).

La propensione alla nuzialità e alla procreazione si riduce, e tali eventi si posticipano ovunque. Nel 2021, l’età media al (primo) matrimonio degli italiani è di circa 36 anni per lo sposo (32 nel 2004) e 33 per la sposa (29 nel 2004); quella della prima procreazione per le donne è in continuo aumento (32,4 anni contro 30,5 nel 2001). Ciò rischia di interferire con il ciclo biologico della fertilità e di alimentare l’“inverno demografico” del nostro Paese.

I percorsi di studio

Nelle nuove generazioni di giovani meridionali si rileva una progressiva estensione dei percorsi di studio. I cosiddetti “millennials” (nati fra il 1981 e il 1995) sono di gran lunga più istruiti, soprattutto per la visibile riduzione della componente con titoli inferiori al diploma (24,4%) ormai superata da quella terziaria (27,8%).
Negli ultimi anni è aumentata la propensione agli studi universitari, soprattutto nel Mezzogiorno: qui nell’a.a. 2021-22 si registrano 58 immatricolati per 100 residenti con 19 anni (56 nel Centro-nord); 47 iscritti ogni 100 19-25enni (41 nel Centro-nord); 22 laureati (anno solare 2022; I e II ciclo) ogni 100 23-25enni (19). Le immatricolazioni aumentano soprattutto nelle Regioni con alta disoccupazione e basso Pil pro-capite (fra il 2010 e il 2022: Sicilia +15,6 punti; Sardegna +13,6; Calabria +10,9; di contro: Lazio +8,4; Lombardia +5).

I percorsi universitari dei meridionali sono spesso più lenti e caratterizzati da una significativa “emigrazione studentesca”, sia all’iscrizione (il 28,5% dei meridionali si iscrive in atenei del Centro-nord), sia alla laurea (39,8% in atenei del Centro-nord), sia nel post-laurea (dopo 5 anni solo il 51% lavora nel Mezzogiorno). È un paradosso, ma nel medio-lungo periodo, ciò potrebbe alimentare una deprivazione ulteriore di capitale umano con competenze avanzate, indispensabile per il Mezzogiorno.

Il lavoro

La carenza di opportunità lavorative stabili e di buona qualità nel Mezzogiorno non è di certo una novità, ma la situazione fra i “millennials” peggiora. Il tasso di attività (20-34 anni), già basso nella generazione precedente (60,3%) si riduce ulteriormente (54,4%), come il tasso di occupazione (41,6%, dal 45,3%), mentre resta molto elevato quello di disoccupazione (23,6%; 9,1% nel Centro-nord).

Le Regioni caratterizzate da elevata disoccupazione e debole sistema produttivo presentano un accentuato impoverimento demografico di 18-34enni (dal 2002 a 2022: Sardegna: -39,8%; Calabria: - 32,2%), la maggiore estensione delle transizioni familiari (30-39 anni che vivono in famiglia: Sardegna 37,8%; Campania 35,1%; Calabria 34,6%), un’alta consistenza di NEET (Calabria 35,5%, Campania 34,7%, Sicilia 33,8%).

La crescente indeterminatezza della “transizione lavorativa” influisce negativamente sulla qualità della vita dei giovani meridionali: oltre un giovane su due (51,5%) è insoddisfatto della situazione economica (40,7% nel Centro-nord), e un terzo la considera peggiorata (35,6%). Oltre un giovane meridionale su cinque (21,8%; 15% nel Centro-nord) si dice insicuro verso il proprio futuro. L’insicurezza aumenta nelle regioni con basso Pil pro-capite e alta disoccupazione: è minima in Piemonte (12,3%) e Veneto (14,9%), massima in Sicilia (27,9%), Calabria (25,1), Sardegna (22%) e Puglia (21,6%).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)