Il futuro del Sant’Antonio non è domanda da poco

Nella riorganizzazione logistica del policlinico, dove andranno a finire i reparti della scuola di medicina? Quale futuro per il Sant'Antonio? L’Ateneo si ritrova già spalle al muro, perché la scuola di medicina non ha più spazio per assicurare la didattica nel “vecchio” policlinico.

Il futuro del Sant’Antonio non è domanda da poco

Nelle ultime settimane, del nuovo piano regionale socio-sanitario si è avuto notizia con alcune anticipazioni-spot. E puntualmente si è riaccesa anche l’eterna diatriba sul nuovo ospedale a Padova Est.
Forse, per fornire davvero informazioni d’interesse pubblico si dimostra più utile abbandonare il cannocchiale a favore del microscopio.

Piccoli movimenti, micro segnali, minuscole anticipazioni. Nella Grande fabbrica della salute che ogni anno produce più di un miliardo di euro, le trasformazioni più o meno silenziose necessitano di grande attenzione: in gioco ci sono il patrimonio pubblico, il servizio sanitario, l’immediato futuro della città. 
Per cominciare, c’è il Comune. La giunta Giordani-Lorenzoni ha bisogno di incassare in fretta la sua “vittoria urbanistica”: l’area più a Est dell’attuale complesso ospedaliero predestinata ad alimentare il Parco delle mura. Intanto si va completando il cantiere che espande la parte più moderna della pediatria, mentre l’edificio “storico” verrà sostituito dalla rigenerazione di una palazzina contigua. Di conseguenza, per un lungo periodo si prospetta all’interno di via Giustiniani l’assetto definitivo dell’intera area materno-infantile.

La questione all’ordine del giorno, di riflesso, è il “trasloco” dei reparti, delle cliniche e dei servizi chiamati a far spazio al verde e alla cinta muraria cinquecentesca. Il direttore della sanità regionale Domenico Mantoan sembra lavorare a una soluzione clamorosa, in tempi rapidi: l’ospedale Sant’Antonio. 
Lo storico “perno sanitario” dell’Ulss 6 Euganea cambia radicalmente? La risposta spetta al direttore generale Domenico Scibetta e al direttore sanitario Patrizia Benini, che dovrebbero avere informazioni di prima mano dallo staff dell’assessore regionale Luca Coletto. Di certo, si evidenziano dagli atti un paio di risposte indirette. Primo: la delibera con cui la Regione dispone la trasformazione del reparto lungodegenti al Sant’Antonio in “ospedale di comunità” con posti letto riservati a pazienti stabilizzati in attesa di rientrare in famiglia o essere trasferiti nelle strutture territoriali. Secondo: l’organigramma dei primari dell’ospedale Sant’Antonio che non prevede la sostituzione di chi “libera” il posto…

Ma – almeno finora – il futuro del polo ospedaliero di via Facciolati si rivela “blindato” negli uffici degli addetti ai lavori e della politica. Eppure (dati ufficiali del 2016) Sant’Antonio è sinonimo di 322 posti letto di cui 22 diurni; 10.370 ricoveri e 27.868 accessi al pronto soccorso; 29,8 milioni di euro di valore in termini di Drg (Diagnosis-related group) per le cure in regime ospedaliero. Senza dimenticare che l’ex Ulss 16 garantiva l’assistenza a 493.509 residenti in 29 Comuni con 1.848 dipendenti di cui 361 medici.
Dunque, che succederà nel futuro imminente al Sant’Antonio? Non è un interrogativo di poco conto. Soprattutto perché interessa, in un modo o nell’altro, anche l’azienda ospedaliera e perfino lo Iov. Così come andrebbe approfondito come merita il servizio di medicina di gruppo integrata che solo a Padova conta cinque ambulatori: rappresentano una più che significativa evoluzione della “medicina di base” con ottimi risultati, non solo in base all’esperienza diretta del massimo responsabile della salute dei padovani.

Il magnifico rettore, invece, è sempre chiamato ad assicurare “trasparenza etica” sul fronte clinico (più che biologico) della scuola di medicina. L’Università di Padova possiede un identikit eloquente: otto dipartimenti, 18 corsi di laurea più 11 magistrali, oltre 2 mila studenti iscritti (di cui il 66 per cento donne) con 342 posti di matricola a numero chiuso, circa 1.100 medici specializzandi e 536 dipendenti universitari in azienda ospedaliera. Di conseguenza, il Bo è alle prese con i “dettagli” che si rivelano ben più cruciali della sintonia personale fra rettore e governatore della Regione.

Nella Grande fabbrica della sanità padovana, l’Ateneo si ritrova già spalle al muro. Quanto meno perché la scuola di medicina non ha più letteralmente spazio per assicurare la didattica all’interno del “vecchio” policlinico. Lo testimonia anche l’accordo con il centro congressi Papa Luciani che ospita le aule delle lezioni, in particolare di scienze infermieristiche. Di più: l’intesa preliminare sull’autonomia del Veneto (articolo 3 dell’allegato sulla sanità) contempla esplicitamente la formazione da parte della Regione con «contratti a tempo determinato di specializzazione lavoro per i medici, alternativi alle scuole di specializzazione».
Padova rischia di perdere un ospedale senza vedere ancora la prima pietra del nuovo. E la sua tradizionale eccellenza medica potrebbe rivelarsi agli sgoccioli, per la gioia di Verona e perfino Treviso.

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