Il lungo inverno dei confini dimenticati, dalla rotta balcanica a Ventimiglia

UNA VIA SICURA Nel 2022 la via dei Balcani ha registrato il maggio numero di attraversamenti, eppure rimane invisibile nel dibattito pubblico. Il supporto per le persone in transito arriva dalle organizzazioni umanitarie che cercano di creare spazi di dignità nei luoghi dove manca tutto. Ecco la nona puntata del nostro reportage in collaborazione con Acri

Il lungo inverno dei confini dimenticati, dalla rotta balcanica a Ventimiglia

A Bihac la temperatura è già scesa di 4 gradi sotto lo zero. In questa cittadina al confine tra Bosnia e Croazia, un nuovo lungo inverno è già iniziato: oltre alle temperature rigide, la settimana scorsa il fiume Una ha esondato causando un’inondazione e nuovi disagi. Nel centro per migranti di Lipa, a pochi chilometri dalla frontiera ci sono circa duecento persone, per la maggior parte afgani in fuga dai talebani tornati al potere. Ma ci sono anche siriani, pakistani e alcuni ragazzi del Bangladesh. Dal freddo qui ci si ripara anche sorseggiando del the nel Social Cafè, gestito da Ipsia-Acli e Caritas italiana. Uno spazio dedicato alla distribuzione di pasti e all’animazione sociale. “A parte distribuire bevande e cibi caldi, realizziamo corsi di lingua, attività di socializzazione di diverso tipo per garantire un tempo di qualità all’interno di questi luoghi dimenticati” spiega Silvia Maraone, responsabile del progetto per Ipsia a Lipa e al campo di Borici. “L’idea è restituire dignità a individui deprivati di tutto. Non chiediamo la tesserina del campo per distribuire thé, per noi le persone non sono numeri, migranti, invisibili, sono Alì dal Pakistan, Mohammad dalla Siria, e basta. Possono disegnare, giocare a carte, ritrovare la loro indipendenza. Offriamo momenti di leggerezza in un luogo dove manca tutto. Spesso capitano anche ragazzi con evidenti problemi, sanitari o psicologici, noi li segnaliamo alle altre organizzazioni che fanno supporto nei campi, come Medicin du Monde”.

Il lavoro di rete delle associazioni è costante, in questo paese cuscinetto dove le persone arrivano e spesso non riescono a uscire, perché ogni attraversamento è difficile. A Bihac Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ha aperto un centro diurno dove assiste le persone in transito offrendo vestiti, servizio di lavanderia, docce e caffetteria; con una palestra di arrampicata terapeutica garantisce uno spazio di relazione e inclusione per la comunità locale e le persone migranti. “L'idea - spiega Niccolò Parigini, referente di Mediterranean Hope - FCEI in Bosnia - nasce dal fatto che l'arrampicata ha un valore sociale enorme: non a caso è uno sport consigliato anche come supporto per le persone con sindrome post traumatica da stress, con problemi di ansia e depressione, perché si lavora sul rapporto di fiducia con altre persone e sulle proprie capacità, anche di entrare in relazione con gli altri. Ed è allo stesso tempo un'attività individuale ma che si fa in gruppo: serve cioè a stabilire delle connessioni, a favorire l'inclusione e, quello che ci auguriamo, un modello di integrazione spontanea".

Stando ai dati resi noti da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, nel 2022 sono stati 128 mila gli attraversamenti lungo la rotta balcanica, un numero nettamente maggiore a quelli del Mediterraneo centrale (85 mila). "I numeri aumentano e scendono di continuo. Quest’anno, per esempio, nei primi sei-sette mesi abbiamo avuto molti arrivi dal Burundi e da Cuba. Le persone arrivavano in aereo fino in Serbia perché era possibile viaggiare senza visto, grazie a una politica di liberalizzazione degli ingressi messa in atto dal paese. Poi questa esenzione è stata tolta in seguito a una richiesta dell’Unione europea - spiega Maraone -. Negli ultimi mesi, invece, vediamo un aumento di rifugiati afgani, in particolare di quelli che si sono messi in viaggio dopo il ritorno dei talebani. Si tratta di minori non accompagnati, famiglie, donne con bambini. I pachistani sono, invece, in diminuzione da quando la Bosnia ha firmato un accordo di rimpatrio con il Pakistan e sono iniziate le prime riammissioni”.

Solo a ottobre sulla rotta dei Balcani sono stati più di 22 mila i respingimenti registrati. Spesso avvengono anche con l’uso di abusi e maltrattamenti. Sulla rotta balcanica si arriva dalla Turchia o dalla Grecia per poi risalire attraverso la Bulgaria, la Serbia o l’Albania. Ma in Bosnia il percorso per tanti si interrompe: chi prova a passare viene quasi sempre respinto dalla vicina Croazia. Lo chiamano “il game”, il tentativo di arrivare fino all’Italia superando le tre frontiere più difficili (Bosnia-Croazia, Croazia-Slovenia e Slovenia-Italia). In macchina ci vogliono circa tre ore e mezza da Trieste, a piedi dieci giorni di cammino, in mezzo alla foresta, con il rischio di essere attaccati da animali selvatici o fermati dalla polizia e respinti. Per poi ricominciare da capo, proprio come in un videogioco. Nei fatti, però, sono pochi a tagliare il traguardo e tanti a tornare al punto di partenza, portandone i segni sul corpo.

“Nell’ultimo anno i pushbacks violenti sono diminuiti. L’anno scorso una bambina afgana, Madina, è morta in seguito a un respingimento, c’è stata una sentenza e oggi c’è più attenzione anche nell'opinione pubblica. Quest'anno, dunque, la polizia sta avendo un atteggiamento più contenuto. Ma i ragazzi che tornano indietro ci raccontano che continuano a derubarli e spogliarli di tutto - continua Maraone - Eppure in Italia questo è un argomento di cui non si vuole parlare, innanzitutto perché è difficile raccontarlo in termini numerici. Poi un barcone lo vedi, lo puoi fotografare, puoi usarlo per farci una campagna mediatica. Le persone che attraversano le frontiere terrestri, e in particolare i boschi, sono invisibili, non si dice che quella balcanica è la rotta principale perché non è controllabile”.

Oulx, Trieste, Ventimiglia, dove le persone restano invisibili

Dimenticati dal dibattito pubblico sono anche gli altri confini terrestri, da Trieste a Oulx fino a Ventimiglia. E in questa invisibilità spesso avvengono la maggior parte delle violazioni dei diritti. Secondo il report “Human dignity lost at the EU’s borders, elaborato dal Danish refugees Council e alcune agenzie partner (comprese in Italia Asgi Diaconia Valdese) per tutto il 2021, per esempio, le regole internazionali sulla protezione sono state sistematicamente violate in diverse aree dell’Ue. Una situazione che non è migliorata nel 2022. Attraverso il progetto D(i)ritti al Confine, realizzato Danish Refugee Council, insieme a Rainbow for AfricaCommissione Sinodale per la Diaconia e Caritas Intemelia, per potenziare la risposta umanitaria nelle aree di Trieste, Ventimiglia e Oulx, le associazioni hanno monitorato costantemente la situazione dei migranti in transito sui confini italiani. In nove mesi di attività, da settembre 2021 a maggio 2022, le attività di progetto hanno raggiunto un totale di 40.644 persone. Nello specifico l’intervento alle frontiere ha garantito assistenza legale, medica, predisposizione di soluzioni abitative e distribuzione di pasti caldi e indumenti a 12.086 persone.

Il report evidenzia come al confine tra Italia e Francia il numero di richieste d’asilo sia rimasto pressoché invariato rispetto ai mesi precedenti, mentre è aumentato il numero di casi complessi di persone stanziali in Italia (o Europa) da diversi anni e con permessi di soggiorno scaduti da tempo, che rimangono a Ventimiglia irregolarmente senza avere possibilità di accesso ai servizi e sistemi d’accoglienza. Tale situazione ha contribuito alla creazione spontanea di nuovi luoghi informali di aggregazione per il pernottamento e incrementato una generale situazione di disagio.

A Oulx, invece, si è verificato un incremento di arrivi di minori rintracciati sul territorio e portati formalmente dalla polizia al Rifugio Fraternità Massì. “È il sintomo di mancanza di posti e possibilità di inserimento per minori" denunciano le associazioni.“Al rifugio c’è neve, le temperature sono basse, sul valico di frontiera si raggiungono anche i meno 10 gradi - spiega Federica Tarenghi di Medici per i diritti umani (Medu), coordinatore sanitario del Rifugio -. "Lunedì scorso una famiglia con un bambino di quattro mesi ha provato l’attraversamento sul Monginevro, che oggi è il confine più pericoloso, lo scorso inverno due persone hanno perso la vita”. Molti minori soli, spiega ancora Tarenghi, arrivano dalla rotta balcanica o dalla rotta turco-calabra, che si è riattivata dall’estate. 

A Trieste, invece, secondo il monitoraggio delle associazioni si è registrato “un cambiamento del contesto dopo lo scoppio della crisi in Ucraina, con un numero crescente di transiti di persone e un incremento di attività poste in essere da diverse realtà e ong sul territorio”. Eppure proprio da quella frontiera il governo italiano ha deciso di riattivare le “riammissioni informali” in Slovenia. Una decisione che ha innescato la protesta di diverse organizzazioni umanitarie. 

In una nota congiunta Magistratura Democratica, Arci, Asgi, Acli e Cgil hanno ricordato che si tratta di un accordo bilaterale con la Slovenia sottoscritto il 3 settembre 1996, mai ratificato dal Parlamento. E che le procedure informali di riammissione in Slovenia sono state già applicate nel corso del 2019 e del 2020 nei confronti dei migranti rintracciati a ridosso della linea confinaria italo-slovena. Ma a seguito di un provvedimento del Tribunale di Roma che aveva dichiarato l’illegittimità di tale prassi (non smentito in sede di reclamo sul piano del suo inquadramento giuridico) le riammissioni a gennaio 2021 erano state sospese. “Si tratta di una prassi giuridicamente illegittima da molteplici punti di vista - spiegano -. Le riammissioni informali ledono il diritto fondamentale degli stranieri di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre sostanziandosi in un respingimento o riaccompagnamento alla frontiera si tratta di provvedimento restrittivo della libertà personale per il quale è necessaria la preventiva convalida dell’autorità giudiziaria. Tutte le più autorevoli fonti danno conto delle sorti dei migranti “riammessi” in Slovenia, sottoposti di fatto a un respingimento a catena fino in Bosnia ed Erzegovina”.

UNA VIA SICURA è un reportage in dieci puntate realizzato e pubblicato da Redattore Sociale in collaborazione con Acri. Il lavoro giornalistico, curato da Eleonora Camilli con il supporto grafico di Diego Marsicano e la supervisione di Stefano Caredda, affronta da più punti di vista il tema delle migrazioni, raccontando alcune delle esperienze supportate da Acri nel suo Progetto Migranti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)