In Italia oltre un milione di romeni: 30 anni di immigrazione

Sono la prima collettività straniera nel paese e contribuiscono ogni anno ad almeno il 2% del Pil italiano. Dall'emigrazione delle donne che "ha creato problematiche sociali spesso irrisolte" al crescente protagonismo imprenditoriale fino all'impatto della pandemia: l'indagine promossa dall’Istituto di Studi Politici S. Pio V e realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos

In Italia oltre un milione di romeni: 30 anni di immigrazione

I romeni, che in Italia erano poco meno di 10.000 in occasione del Censimento del 1991, hanno sfiorato il milione e duecentomila presenze nel 2018 e sono oggi la prima collettività straniera, con 1.076.412 presenze, pari al 20,8% del totale degli stranieri”. Lo rileva l'indaginepromossa dall’Istituto di Studi Politici S. Pio V e realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos, presentata oggi. “Radici a metà. Trent’anni di immigrazione romena in Italia”, spiega Idos, esce oltre dieci anni dopo “Romania. Immigrazione e lavoro in Italia” (2008) e “Romeni in Italia tra rifiuto e accoglienza” (2010), pubblicazioni realizzate per Caritas Italiana che “hanno significativamente contribuito a contrastare il panico e i pregiudizi romenofobici esplosi all’interno della società italiana nel fatidico 2007, l’annus horribilis dei romeni in Italia”.

L'emigrazione delle donne

La presenza dei romeni in questi anni è cresciuta e si è distribuita sul territorio nazionale, facendo registrare "un solido radicamento a livello familiare". "Laddove non è possibile mantenere la coesione familiare, - spiegano gli osservatori - l’emigrazione delle donne ha creato problematiche sociali, spesso irrisolte, che hanno portato anche a campagne di 'moral panic' tese a colpevolizzare in alternativa l’Italia (da qui l’espressione “Sindrome Italia”) o le dirette interessate, che invece si prodigano al meglio delle possibilità per assicurare una continuità emotiva e una guida da lontano". Tuttavia, sottolinea il rapporto "il problema del 'care shortage' e quindi della doppia vulnerabilità di madri e bambini 'left behind' rimane ampiamente irrisolto".

Il lavoro in Italia

Secondo i dati Inps sono 602.312 i lavoratori romeni, di cui 128.001 lavoratori domestici. Secondo la Labour Force Survey “si assiste ad una significativa differenziazione di genere: le donne risultano prevalentemente occupate nei servizi domestici, come addette non qualificate ai servizi di pulizia di uffici o esercizi commerciali e nel settore alberghiero in qualità di bariste e cameriere; gli uomini, in quattro casi su dieci, nelle costruzioni (soprattutto come muratori)". Non è un caso, quindi, che i comparti di punta siano l’edilizia (20,1%), i servizi alle famiglie (19,6%) e l’agricoltura (7,3%).
Nel 2020, nei due terzi dei casi (68,9%) svolgono una professione poco qualificata o operaia, contro il 29,8% degli italiani; mentre solo il 5,9% riesce a ricoprire una professione qualificata (rispetto al 39,1% degli italiani). E "tale condizione migliora solo parzialmente in caso di possesso di un titolo di studio elevato".
Cresce  il protagonismo nel settore dell’imprenditoria:  i titolari di impresa nati in Romania sono 50.230, di cui 30.426 nelle costruzioni. Negli anni più recenti l’imprenditoria romena "ha trovato nuova linfa grazie alla progressiva apertura a nuovi ambiti di attività, trainata dal ruolo crescente delle donne".
Nel 2020 il valore aggiunto generato dai lavoratori stranieri in Italia è stato pari a 146,7 miliardi di euro, cioè al 9,5% del Pil, e "tenuto conto che i romeni in Italia rappresentano oggi il 20,8% della presenza straniera, è doveroso riconoscere ai lavoratori romeni di contribuire ogni anno ad almeno il 2% del Pl italiano".
La crisi pandemica (con i vari regimi di lockdown, le chiusure di frontiera temporanee, le quarantene e l’attivazione dei green pass), registrano gli osservatori, ha inferto un "duro colpo allo stagionalato dei romeni e prodotto un peggioramento delle condizioni lavorative ed economiche delle presenze stabili, favorendo nell’immediato un’ondata temporanea di ritorni, la cui sostenibilità andrà valutata negli anni a venire".

L’Italia, "quasi una seconda patria"

Lo studio ha interrogato attraverso una websurvey la comunità romena.  "Nonostante aver sofferto sporadici episodi di discriminazione", gli intervistati hanno dichiarato in larga parte di sentirsi inclusi e pienamente accettati nella società italiana. "Il legame creatosi nel tempo - commentano gli osservatori - ha reso l’Italia quasi una seconda patria, sentimento che è evidente soprattutto tra i giovani, per i quali è sostanzialmente impossibile definirsi interamente romeni o italiani. La complessità identitaria delle seconde generazioni, il sentirsi 'mezzo e mezzo' nutrendosi e aprendosi a due radici socio-culturali, rappresenta un valore aggiunto nella odierna società globalizzata, nella quale il loro futuro difficilmente si giocherà solo in un orizzonte ristretto tra Italia e Romania".
Interrogati sulla percezione della propria identità, la maggior parte dei romeni ha dichiarato di sentirsi un “cittadino europeo”. La probabilità di dichiararlo a scapito di “immigrato romeno” o “romeno temporaneamente insediatosi in Italia” e “(futuro) cittadino italiano” cresce con l’aumentare del livello di istruzione e del tempo trascorso nella Penisola.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)