Iran, l'astensionismo alle urne

A inizio mese, in Iran si è votato il rinnovo del Parlamento consultivo. L’affluenza è stata del 41 per cento, il dato più basso dalla rivoluzione del 1979. Per dire, alle scorse elezioni parlamentari, in piena panemida, il dato era stato del 42 per cento. 

Iran, l'astensionismo alle urne

Un voto senza consenso in Iran. Il recente rinnovo del Majles (il Parlamento consultivo della Repubblica islamica) registra un’affluenza del 41 per cento fra i 61 milioni di cittadini: percentuale perfino più bassa rispetto alle precedenti elezioni in piena pandemia. Dunque, boicottaggio (in particolare nel Kurdistan iraniano) abbinato alle schede bianche e nulle ufficialmente riconosciute al 5 per cento.

È la vittoria annunciata, quanto dimezzata, della Guida Suprema 84enne Ali Khamenei. I candidati “riformisti” erano già stati bocciati preventivamente a migliaia. Compreso Hassan Rouhani, presidente della Repubblica dall’agosto 2013 all’estate 2021. Così la distribuzione dei seggi diventa a senso unico: 200 dei 245 deputati appartengono al sistema di potere degli ayatollah; una quarantina i parlamentari “di centro”; appena 11 le donne che erano 16…

Le urne premiano soprattutto personaggi come il chierico Mahmoud Nabavian, 58 anni, e Hamid Resaee fedelissimo di Khamenei. Hanno avuto più preferenze di Mohammad Bagher, ex sindaco di Teheran e presidente uscente del Majles, per altro superato anche dal giovane volto televisivo di Amir Hossein Sabeti.

Nel drappello di minoranza spiccano, invece, le figure di Masoud Pezeshkian, 69 anni eletto a Tabriz ex ministro della Salute, e di Ali Motahari 66 anni leader di “Voce del popolo”. Arduo immaginare che in primavera si aggiungano altri nel ballottaggio che assegnerà gli ultimi 45 seggi…

«Gli ultraconservatori sono ancora più forti e al tempo stesso sono sempre meno interessati al consenso di facciata – commenta Luciana Borsatti, già corrispondente dell’Ansa da Teheran – C’è una profonda crisi di legittimità. Significativo il fatto che proprio il giorno del voto sia emersa la notizia della condanna a oltre tre anni di carcere di Shervin Hajipour, autore della canzone “Baraje” cioè l’inno delle proteste del Movimento Donna Vita Libertà».

Lo scenario non è più quello dell’Onda Verde che nel 2009 confidava in Hossein Musavi, ma fu schiacciata dal presidente Ahmadinejad. Dieci anni dopo, in Iran è scattata la repressione culminata il 16 settembre 2022 nella morte di Mahsa Amini colpevole di non indossare “correttamente” l’hijab. Di qui la diaspora dei giovani e dei professionisti in grado di raggiungere l’Occidente.

Di fatto, nella Repubblica islamica fondata nel 1979 “regna” il sistema con quattro poteri sotto il controllo della Guida Suprema. Sepāh-e Pāsdārān-e Enqelâb-e Eslâmi ovvero i Guardiani della Rivoluzione in grado di controllare ordine pubblico, ma anche i gangli dell’economia. Poi c’è Sayyid Ebrahim Raisol-Sadati, il capo del governo, 63 anni dei Chierici Militanti. Al suo fianco Gholam-Hossein Mohseini Ejei al vertice della piramide giudiziaria. E l’Assemblea degli Esperti in cui siedono Ahmad Khatami, imam delle Preghiere del Venerdì, e Mohammad Sayydi, eletto nella città santa di Qom.

Il regime di Teheran, comunque, resta protagonista nello scacchiere della “Mezzaluna Sciita”. Con i pasdaran che hanno combattuto in Siria il califfato dell’Isis. Nel consolidato legame in Libano con Hezbollah. A fianco dei ribelli Houti che dallo Yemen ora minacciano il traffico marittimo. E naturalmente, da sempre, con la Palestina: a maggior ragione nell’attuale guerra di Gaza.

Sempre fiduciosa Shirin Ebadi, 76 anni, prima musulmana Premio Nobel per la Pace nel 2003: «Il crollo del regime sarà la conseguenza del processo che sta avanzando come un treno: si ferma, riparte e non viaggia sempre alla stessa velocità verso il capolinea».

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