L’Amazzonia continua a bruciare. Siccità e incendi dolosi mandano in fumo una straordinaria biodiversità

L’anno scorso era su tutte le prime pagine. Un anno dopo, mentre impazza il Covid-19, in pochi ne parlano. Ma l’Amazzonia, soprattutto in Brasile, continua a bruciare. Anche più dello scorso anno, quando la situazione già si era rivelata drammatica. A fuoco anche altre regioni di inestimabile valore naturalistico, come il Pantanal, al confine tra il Brasile e la Bolivia. Le testimonianze raccolte direttamente dal Sir evidenziano uno scenario sempre più allarmante.

L’Amazzonia continua a bruciare. Siccità e incendi dolosi mandano in fumo una straordinaria biodiversità

L’anno scorso era su tutte le prime pagine. Un anno dopo, mentre impazza il Covid-19, in pochi ne parlano. Ma l’Amazzonia, soprattutto in Brasile, continua a bruciare. Anche più dello scorso anno, quando la situazione già si era rivelata drammatica. A fuoco anche altre regioni di inestimabile valore naturalistico, come il Pantanal, al confine tra il Brasile e la Bolivia. Le testimonianze raccolte direttamente dal Sir evidenziano uno scenario sempre più allarmante.

“Secondo l’Impe (l’Istituto nazionale di ricerche spaziali brasiliano) l’aumento di roghi rispetto allo scorso anno è del 34%, altri istituti parlano del 28%. In ogni caso, la tendenza è a una forte crescita rispetto al 2019 che era stato ritenuto da tutti un anno record.

La verità è che aumentano i roghi e aumenta la deforestazione, in modo inesorabile”.

Lo afferma dal Roraima, l’estremo nord del Paese, quasi ai confini con il Venezuela, Luis Ventura, missionario laico, tra i leader del Cimi, il Consiglio indigenista missionario, collegato alla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. “Gli incendi – aggiunge – si sviluppano soprattutto nell’estremità meridionale e orientale della grande foresta”. Non è un caso, “corrispondono alle zone dove avanzano le grandi coltivazioni di soia e mais. Sono territori già devastati dalla deforestazione, dove avanzano latifondi e grandi opere”.

Di fronte a questa calamità, “l’atteggiamento del Governo è opaco, non protegge l’ambiente e i diritti delle popolazioni locali, occulta i numeri. È fondamentale continuare a fare pressione e in questo è centrale il ruolo dei Governi europei”.

Fuochi fuori controllo nel Pantanal. In questi giorni, però, la zona dove il fuoco è completamente fuori controllo è il Pantanal, vasta zona umida che si estende negli Stati del Mato Grosso e del Mato Grosso del Sud, e sconfina poi in Bolivia. Più di 200 i roghi in agosto, già 164 in settembre, secondo il sito di giornalismo d’inchiesta Agência Pública, secondo il quale circa metà dei territori indigeni sono coinvolti.  

“Abbiamo il Covid-19, il grande caldo, la siccità, e ora il fumo, che avvolge completamente la nostra città”

ci racconta dom Joao Bergamasco, vescovo di Corumbá, città che si trova nel cuore del Pantanal.

“Si tratta – spiega il vescovo – di un bioma di grande biodiversità, con grande quantità di specie, di laghi, paludi. La zona sta attraversando un periodo di grande siccità. Così, gli incendi sono iniziati molto presto, già in aprile e maggio. Abbiamo 40 gradi e una sensazione termica di 48. I fuochi sono aumentati di tre volte rispetto a un anno fa, quando già erano a loro volta in crescita”. La siccità e il caldo, insomma decisivi. Poi ci sono i comportamenti degli uomini:

“Chi accende fuochi per fare pulizia, i pescatori, chi brucia le sterpaglie nei pascoli. È una situazione molto preoccupante”.

Difficile, però, secondo il vescovo, pensare a situazioni generalizzate di incendi dolosi programmati, come accade spesso in Amazzonia: “Il Pantanal non è una regione agricola, ma di pascoli. c’è solo agricoltura familiare, di sussistenza. Si tratta, però, di un territorio molto fragile. Quelli che avanzano sono i minatori, di ferro, manganese, e altro”. Non mancano, tuttavia, episodi di incendi dolosi. Per esempio, 5 proprietari di aziende agricole, nel Mato Grosso do Sul, sono indagati dalla Polizia federale per la distruzione di 25 ettari di terreno.

Dai pressi di Corumbá arriva anche la testimonianza del missionario salesiano padovano padre Pasquale Forin. “L’anno scorso era stato un disastro – ci dice -. Tornando da un viaggio, avevo percorso la strada tra Campo Grande e Corumbá, 430 chilometri di desolazione. Quest’anno gli incendi sono iniziati ancora prima e si sono sviluppati tantissimi incendi.

Poi, a metà agosto, le piogge hanno spento i roghi, ma ora sono certamente ripresi, anche se qui anche gli stessi telegiornali parlano pochissimo di questo fenomeno, fanno finta che non esista.

Ma il fumo c’è, e quindi ci sono sicuramente ancora roghi. Negli ultimi giorni si è parlato di un grandissimo incendio nello Stato più a nord, il Mato Grosso, che non si riesce a bloccare”.

Padre Pasquale si riferisce, quasi certamente, all’area del parco nazionale “Encontro das Aguas”, dove esiste la più alta concentrazione al mondo di giaguari, distrutto per l’85%: una catastrofe ecologica e ambientale.

Prosegue padre Forin: “Io mi trovo in campagna, dove da decenni seguo dei piccoli agricoltori, che sanno gestire bene i propri territori. Qui non si sono sviluppati, ma siamo preoccupati, il fuoco potrebbe arrivare dalle colline qui vicine. Qui tutto intorno siamo avvolti da quella che qui viene chiamata fumaça, facciamo fatica a respirare”. Sulle cause, anche il missionario ritiene che siano molteplici: “Il terreno è molto secco è c’è molto vento, a volte può bastare anche un mozzicone di sigaretta, spesso gli allevatori incendiano i pascoli per fertilizzare il terreno, in qualche caso, certo, ci sono anche incendi dolosi.

In ogni caso c’è poca presenza politica. Lo Stato arriva in ritardo, e con pochi mezzi”.

Allarme anche dalla Bolivia. Brucia il Pantanal brasiliano, brucia anche la vicina Bolivia: roghi si segnalano non solo nel Pantanal boliviano, all’estremo est del Paese, ma anche in Amazzonia, in Chiquitanía, nel Chaco, ai confini con il Paraguay, dove pure sono drammatici gli effetti della siccità. Circa 12.500 gli incendi segnalati quest’anno nel dipartimento di Santa Cruz, circa 8.550 quelli nel dipartimento del Beni.

“Viaggiando tra la savana e la foresta di incendi se ne vedono molti – dice mons. Eugenio Coter, vescovo del vicariato apostolico di Pando, molti di ‘piccole dimensioni’, tra i 10 e i 20 ettari, o resti di foresta e di prato, di qualche chilometro. Spesso si sente odore di fumo e il cielo stesso è affumicato. Ed è una pena vedere alberi alti più di 20 metri bruciare lungo tutta la loro altezza”.Spesso sono responsabili “sia grandi proprietari che piccoli agricoltori e allevatori. Qualcuno promette facili guadagni aumentando gli spazi per il bestiame”.La Repam (Rete ecclesiale panamazzonica della Bolivia), presieduta proprio da mons. Coter, nelle scorse settimane, “al potere legislativo di abrogare le leggi che favoriscono gli incendi che hanno colpito la Bolivia e anche le successive normative che cedono il passo alle colture transgeniche; al potere esecutivo di promuovere azioni concrete a tutela della natura; e alle organizzazioni economiche e sociali di assumere la salvaguardia della casa comune”. In effetti,il Governo ad interim che si è installato dopo la caduta di Evo Morales non ha messo in discussione i provvedimenti che favorivano i roghi nelle zone di pascolo.

“Anzi – conclude mons. Coter – l’attuale Esecutivo ha aperto al transgenico non solo per la soia, come già accadeva, ma anche per il cotone e il mais”.

Bruno Desidera

giornalista “La vita del popolo” (Treviso)

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Fonte: Sir