L’agricoltura che produce del bene. Migliaia di aziende ospitano persone meno fortunate dando loro una prospettiva di vita migliore

Grazie alla legge 141 del 2015 è possibile per le imprese agricole affiancare il sistema dei servizi pubblici

L’agricoltura che produce del bene. Migliaia di aziende ospitano persone meno fortunate dando loro una prospettiva di vita migliore

Quello dell’agricoltura può anche essere indicato come “un contributo fondamentale alla stabilità sociale del Paese”. Così, almeno, è il ruolo dell’agricoltura cosiddetta sociale, quella, cioè, che riesce a coniugare produzione alimentare con attenzione a chi nella società è più debole. E’ ciò che con una espressione non bellissima viene definito come il “welfare contadino”: un ambito di attività che merita più di un approfondimento.
L’occasione per mettere in file numeri ed esempi sull’agricoltura sociale è arrivata con la Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo istituita dall’Onu. Stando ai coltivatori diretti, sarebbero 9mila circa le fattorie sociali nate nelle campagne italiane per sostenere le famiglie in difficoltà e le fasce più fragili della popolazione a partire dai disabili. Un’attività che negli ultimi anni è cresciuta d’importanza, anche dal punto di vista economico. Coldiretti stima che le imprese di questo genere abbiamo superato un giro d’affari pari al “miliardo di euro, di cui 600 milioni di euro in prodotti e 400 milioni di euro in servizi sociali”. Guardando più da vicino i dati generali, si scopre poi che le persone con disabilità mentale sono al primo posto tra le categorie più seguite dalle esperienze di agricoltura sociale, davanti a minori in difficoltà e disabili fisici (stando ad un’analisi Coldiretti sull’ultimo rapporto Welfare Index Pmi). Ma nelle fattorie trovano accoglienza anche detenuti ed ex detenuti, donne vittime di abusi, anziani, persone con problemi relazionali oppure con dipendenze fino ai disoccupati e agli stranieri. Nell’ultimo anno – dice ancora Coldiretti – “oltre 50mila persone hanno usufruito dei servizi nati grazie all’impegno sociale degli agricoltori, migliorando la qualità della propria vita e ricevendo formazione, con una presenza in azienda in molti casi quotidiana”.
Numeri che dicono molto, dunque. E ancora di più raccontano gli esempi che possono essere trovati lungo tutto lo Stivale. A Jesi un’azienda agricola (l’azienda “Le Noci”) è diventata una Farm Community che organizza percorsi di autonomia personale per aiutare persone in difficoltà attraverso esperienza di vita quotidiana in un ambiente familiare e a contatto con la natura, in particolare con i cavalli dell’allevamento. Più a sud, in Calabria, esiste l’esperienza “BuoniBuoni – Prodotti ad Alto contenuto di Felicità” che gestisce un ristorante sociale. In provincia di Salerno esiste invece “Paspartu”, acronimo di “Picentini Agricoltura Sociale Possibile: Abilità, Recupero, Territorio, Uguaglianza”, un progetto che ha un obiettivo: porre l’agricoltura come strumento di inclusione di persone con disabilità psichica leggera. L’iniziativa presentata qualche settimana fa prevede di coinvolgere 45 adulti in carico al dipartimento di Salute mentale dell’Asl Salerno e coinvolge diverse aziende agricole della zona. Andando ancora più a nord la cooperativa agricola sociale “La Collinella” in Piemonte rappresenta una rete di oltre 18 aziende di agricoltura sociale che da alcuni anni stanno lavorando insieme per la distribuzione di panieri di “cibo civile”, l’organizzazione di eventi di promozione dell’agricoltura sociale, e la realizzazione di percorsi di inserimento al lavoro di persone svantaggiate.
L’elenco potrebbe continuare a lungo e rappresenta anche la risposta concreta ad una carenza oggettiva dello Stato. Grazie alla legge 141 del 2015, infatti, è possibile per le imprese agricole, spiegano ancora i coltivatori, “affiancare il sistema dei servizi pubblici messo sempre di più sotto pressione. Lo Stato, infatti, non arriva a coprire i costi e a offrire servizi sociali dignitosi per tutti ed è per questo che l’agricoltura, con la sua diffusione capillare può supportare il welfare pubblico alleggerendone gli oneri”. Agricoltura che produce cibo, quindi, ma anche benessere e coesione sociale.

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Fonte: Sir