La guerra in Ucraina vista da Kabul: “I talebani ci cercano, anche noi vogliamo poter fuggire”

La testimonianza di un giovane di Kabul, che come la madre e il padre ha lavorato presso organizzazioni nazionali e internazionali e ora è tra i bersagli dei talebani: “Non ci hanno fatti evacuare, siamo ancora qui, tra povertà e paura. Gli afgani sono ancora nei guai, ma il senso di umanità è sempre vivo nel cuore degli afgani. Siamo con l'Ucraina”

La guerra in Ucraina vista da Kabul: “I talebani ci cercano, anche noi vogliamo poter fuggire”

“Gli afgani sono ancora nei guai, ma il senso di umanità è sempre vivo nel cuore degli afgani. Siamo con l'Ucraina. Ma non dimenticatevi di noi”. Ahmad Naveed ha 29 anni, è uno studente di Kabul, la città in cui ancora oggi vive insieme alla sua famiglia: madre, padre, fratello, sorella e nonna. La mamma, Shafiqa, ha lavorato con diverse organizzazioni internazionali, nell'ambito del supporto ai bambini di strada, alle donne, alle povertà. Per 14 anni ha diretto la sede locale di una Ong italiana, nell'ambito di un progetto che forniva microcrediti a chi, non avendo i mezzi economici, volesse avviare una piccola attività. Anche Ahmad ha lavorato in diverse organizzazioni nazionali e internazionali, come il ministero delle Finanze, il ministero del Lavoro, la Banca mondiale ed è un ex dipendente della Commissione Elettorale dell'Afghanistan nelle elezioni parlamentari.
La sorella è un medico, il fratello un giornalista freelance. Una famiglia impegnata e quindi, in questo momento, particolarmente esposta: per questo, Ahmad non si sente al sicuro e da mesi cerca un modo per scappare dal suo paese. Ora, ascoltando le notizie che arrivano dall'Ucraina, sente vicino il dolore e il terrore della gente in fuga. E ricorda che anche in Afghanistan, tanti civili rischiano la vita ogni giorno e cercano una strada per uscire dal Paese.

“In generale, qui la questione sicurezza peggiora di giorno in giorno – ci racconta - perché la povertà sta aumentando a causa della mancanza di opportunità di lavoro. I posti di controllo, poi, sono in ogni angolo della città, i talebani chiedono informazioni sull'identità dei cittadini e sul loro passato, con il governo precedente. Oggi vanno di casa in casa, cercano coloro che hanno lavorato con organizzazioni internazionali come l'Isaf, la Nato e le Organizzazioni non governative. Se trovano informazioni su queste persone, le arrestano e non si sa più nulla di loro”.

E poi, c'è anche la situazione economica, che “sta peggiorando di giorno in giorno: a causa dell'arrivo dei talebani, infatti, la maggior parte delle persone hanno perso il lavoro. Anche tutta la mia famiglia è ora disoccupata e, se prima aveva un buon reddito, ora fatica a procurarsi il necessario. Paghiamo 200 euro di affitto e non possiamo permetterci nemmeno elettricità e acqua: questo per noi è un grande problema”.
Intanto, alla fame si aggiunge il gran freddo, che mette in difficoltà una popolazione già provata da una guerra tutt'altro che finita: “Scontri sono ancora in corso in diverse province, specialmente nel Panjshir, ma ci sono anche altre zone di resistenza, nella provincia di Jalalabad, nelle vicinanze della città di Kabul, che vogliono opporsi ai talebani. Intanto, l'Isis ha 40 mila soldati all'interno dell'Afghanistan, che operano in diverse parti del paese contro i talebani e sono l'esercito più crudele del mondo. Abbiamo paura dell'inizio di una guerra interna”.

In particolare. Ahmad si sente in pericolo perché “io, mia madre e mio padre abbiamo lavorato con diversi uffici nel precedente governo dell'Afghanistan e in altre organizzazioni nazionali e internazionali: i talebani sono una minaccia, un pericolo reale, stanno cercando persone come noi. Sono sette mesi ormai che non possiamo uscire liberamente, specialmente mio padre, che è un ex militare. Non possiamo nemmeno usare tranquillamente i nostri telefoni”.

Per questo, Ahmad chiede al mondo occidentale di non dimenticare l'Afghanistan, anche nei giorni in cui l'attenzione mediatica e l'angoscia globale riguardano soprattutto la crisi ucraina: “Chiedo all'occidente di non riconoscere il governo talebano, perché noi sappiamo cosa vuol dire avere i talebani in casa, lo sperimentiamo quotidianamente: con i talebani, il futuro è buio. L'Occidente dovrebbe sostenere le donne e i loro diritti in Afghanistan, perché le donne sono la parte più debole della nostra società. Credo che l'Occidente dovrebbe continuare a sostenere i civili in Afghanistan, perché è in corso una catastrofe economica e una crisi umanitaria. Non lasciateci soli!”.

Certo, “la situazione in Ucraina non è accettabile e dovrebbe essere fermata subito, sanzionando la Russia. Seguo con preoccupazione le notizie che arrivano dall'Ucraina, sono e siamo solidali con il popolo che sta vivendo ora la guerra che noi ben conosciamo. Questo conflitto deve essere fermato subito, attraverso un negoziato tra Ucraina e Russia, con l'aiuto dell'Occidente”.

Riguardo la presenza della Nato e delle organizzazioni internazionali in Afghanistan e il loro recente disimpegno, dalle drammatiche conseguenze, Ahmad riconosce che “queste organizzazioni hanno svolto molti buoni servizi in Afghanistan, ma il governo precedente era corrotto e ha reso il loro lavoro più complicato. Un errore però lo hanno commesso: hanno lasciato alcuni loro dipendenti afghani qui, nelle mani dei talebani, in una situazione di grande pericolo, in cui la gente viene uccisa ogni giorno, lontano dai media. E' necessario che tutti gli afghani che hanno lavorato con queste organizzazioni possano lasciare il Paese, per mettersi al sicuro e costruirsi una nuova vita: qui, in questo momento, non è possibile farlo. La guerra in Afghanistan è iniziata prima della guerra in Ucraina e non è ancora finita: così come la popolazione ucraina, anche noi afghani abbiamo bisogno e diritto di essere protetti dalle minacce di questi animali selvaggi”.

Più della paura, dell'angoscia e del rancore, può però la speranza: “Ho fiducia che il futuro sarà migliore, sono istruito, ho tanta energia e tanta forza. Ho passato 16 anni della mia vita a studiare, ora voglio dare una vita grande alla mia famiglia, che merita il meglio. L'Ong presso cui lavorava mia madre ha evacuato gran parte dei suoi dipendenti e delle loro famiglie, giocando un ruolo importante in quei giorni drammatici. Ma noi siamo ancora qui: abbiamo paura, siamo preoccupati e crediamo di meritare un posto sicuro: come tutti I fratelli ucraini, a cui va la nostra vicinanza e la nostra solidarietà. Non dimenticatevi di noi, aiutateci a trovare una terra in cui ricostruire le nostre vita, fn quando il nostro Paese non tornerà ad essere la nostra casa”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)