Le famiglie aumentano ma sono sempre più piccole. Oltre 7 milioni di giovani vivono con i genitori

I dati del Rapporto annuale dell’Istat. Prosegue l’invecchiamento della popolazione: al primo gennaio 2022 l’indice di vecchiaia è pari a 187,9%. Le famiglie sono 25,6 milioni e il numero medio di componenti passa da 2,6 a 2,3. Oltre 1,6 milioni di anziani vivono da soli

Le famiglie aumentano ma sono sempre più piccole. Oltre 7 milioni di giovani vivono con i genitori

In Italia prosegue l’invecchiamento della popolazione per una persistente bassa fecondità e una longevità sempre più marcata. Al 1° gennaio 2022 l’indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra anziani di 65 anni e più e giovani di età inferiore a 15 anni) è pari a 187,9%, aumentato in vent’anni di oltre 56 punti. Anche nei prossimi decenni si prevede che l’invecchiamento continuerà: l’indice raggiungerà quota 293 al 1° gennaio 2022. E’ quanto emerge dal rapporto annuale 2022 dell’Istat sulla situazione del paese, pubblicato oggi.

Gli anziani di 65 anni e più sono 14 milioni 46 mila a inizio 2022, 3 milioni in più rispetto a venti anni fa e pari al 23,8% della popolazione totale. Nel 2042 saranno quasi 19 milioni, il 34% della popolazione. I grandi anziani (80 anni e più) superano i 4,5 milioni mentre la popolazione con almeno cento anni raggiunge le 20 mila unità, valore quadruplicato negli ultimi vent’anni. Nel 2042 gli ultraottantenni saranno quasi 2 milioni in più e gli ultracentenari triplicheranno, raggiungendo le 58 mila e 400 unità.

La popolazione continua a diminuire dal 2014 per via del saldo naturale negativo non compensato dall’apporto positivo delle migrazioni. Secondo i primi dati provvisori, al 1°gennaio 2022 la popolazione è scesa a 58 milioni 983 mila unità, cioè 1 milione 363 mila in meno nell’arco di 8 anni.

Il rinvio della maternità si accentua. Rispetto al 1995 l’età media al parto aumenta di oltre due anni, arrivando a 32,2 nel 2020. Nello stesso periodo cresce anche, e in misura ancora più marcata (oltre tre anni), l’età media alla nascita del primo figlio, che raggiunge 31,4 anni.

Nel 2021 il numero medio di figli per donna è di 1,25, lo stesso del 2001, quando era in atto un recupero della fecondità (soprattutto ad opera delle donne straniere nel Centro-nord) dopo il minimo storico di 1,19 figli per donna toccato nel 1995. La fecondità delle straniere è ancora superiore a quella delle italiane ma in diminuzione: nel 2020 è pari a 1,89 figli per donna (da 2,22 nel 2011) contro 1,17 per le italiane (da 1,32).

La diminuzione complessiva delle nascite è attribuibile prevalentemente al calo dei nati da coppie di genitori entrambi italiani, pari a 313 mila e 700 nel 2021 (oltre 147 mila in meno rispetto al 2011). Anche i nati da genitori stranieri (80 mila nel 2012) diminuiscono fino a 56 mila e 700, risultando più penalizzati dalla diffusione della pandemia: tra il 2020 e il 2021 il calo è cinque volte superiore a quello dei nati italiani (-5,1% vs -0,9%).

Anche i primogeniti risultano in forte diminuzione: -28,1% nel 2020 rispetto al 2011 (-23,8% per i secondogeniti o di ordine successivo) ma si arriva a -40% nel caso di genitori coniugati, per effetto del contemporaneo calo della nuzialità.

All’opposto aumentano le nascite fuori dal matrimonio, soprattutto negli anni della pandemia: 159.453 nel 2021, ossia +25 mila rispetto al 2011 e +106 mila nel confronto con il 2001. In termini relativi, negli ultimi due anni la quota dei nati fuori dal matrimonio sul totale delle nascite sale a 35,8% nel 2020 e a 39,9% nel 2021 (da 24,6% nel 2011 e 10,0% nel 2001), prevalentemente per il dimezzamento dei matrimoni registrato nel 2020 e non ancora recuperato.

L’incidenza dei nati fuori dal matrimonio è più alta nel Centro (45,8% da 29,0% del 2011), anche se negli anni più recenti il ritmo di incremento più rapido si è osservato nel Mezzogiorno (da 17,2% a 34,6%).

Continua la tendenza al rinvio e alla diminuzione dei matrimoni, soprattutto del primo ordine. L’età media al primo matrimonio, pari a 32,6 anni per gli uomini e a 30,1 per le donne nel 2011, sale a 33,9 e 31,7 anni nel 2019. Il rinvio si è ulteriormente accentuato nel 2020 tanto da portare la media a 34,1 per gli uomini e 32,0 per le donne. Nel 2021 si sono celebrati 141.141 primi matrimoni, il 78,8% del totale (-3,4% rispetto al 2019 e quasi il 20% in meno del 2011).

Prosegue il trend crescente dell’instabilità coniugale: secondo i dati provvisori 2021 le separazioni sono cresciute in un anno del 22,4%, i divorzi del 24,5% e si è tornati a livelli simili a quelli del 2019. Rispetto al 2011 le variazioni sono rispettivamente pari a +10,1% e +54,3%.

Come cambiano le strutture familiari

Le famiglie sono sempre di più, 25,6 milioni nel 2020-2021, ma sempre più piccole: il numero medio di componenti della famiglia scende a 2,3 da 2,6 del 2000-2001. Sull’aumento del numero delle famiglie pesa il forte incremento di quelle costituite da una sola persona, passate dal 24,0% del totale di inizio millennio al 33,2%. In aumento anche le famiglie composte da un solo genitore che vive con i figli senza altri membri aggiunti (quasi una famiglia su dieci). Diminuiscono invece le famiglie costituite da coppie con figli e senza altre persone (quasi 8 milioni, 31,2% del totale nel 2020-2021, -11,1 punti percentuali in vent’anni). Nel Nord-est le persone sole e le coppie con figli si equivalgono (ciascuna il 30% del totale), nel Centro e nel Nord-ovest prevalgono le famiglie unipersonali (36% contro 28% circa delle coppie con figli) mentre nel Mezzogiorno risultano ancora preponderanti le coppie con figli (circa 36% contro circa 30% delle persone sole).

Coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e monogenitori non vedovi sono le tipologie familiari in crescita: nel 2020-2021 ammontano in totale a 9,4 milioni, ossia il 36,7% delle famiglie (da quasi il 20% di inizio millennio). Le persone sole non vedove sono 5 milioni e 275 mila, quasi raddoppiate rispetto al 2001, uomini nel 56% dei casi (+3 punti dal 2000-2001). Per circa due terzi si tratta di celibi o nubili. Sul territorio le persone sole non vedove sono relativamente di più al Nord-ovest (30%) rispetto al Centro (23%), al Nord-est e al Sud (18%) e, infine, alle Isole (9%). Per effetto dello scioglimento delle unioni, le famiglie costituite da monogenitori non vedovi sono oggi poco più di 1,8 milioni, un milione in più rispetto a vent’anni fa. Oltre quattro su dieci risiedono nel Nord, quasi uno su tre nel Mezzogiorno e meno di uno su quattro nel Centro. La maggioranza di questi nuclei è composta da madri sole (80,9%) anche se in calo in vent’anni, con conseguente aumento dei padri soli (dal 15,7% al 19,1% dei monogenitori). In tre casi su quattro si tratta di persone separate o divorziate, con un’incidenza un po’ più alta tra i padri soli (quasi otto su dieci hanno alle spalle un matrimonio). I monogenitori non vedovi con figli minori sono più della metà (quasi un milione) ma il loro peso relativo diminuisce nel tempo (erano sei su dieci venti anni prima). Nell’84% dei casi sono madri, nonostante la lieve crescita dei padri. In questi nuclei la presenza di figli minori è più alta nel Mezzogiorno (58,2%) e più bassa al Centro (47,9%). Nel biennio 2020-2021 le coppie in Italia sono 13,9 milioni, quasi mezzo milione in meno rispetto a venti anni prima. Anche se la tipologia dominante è ancora la coppia coniugata in prime nozze (circa 11,6 milioni, pari all’83,3% dal 94,3% del 2001) risultano in forte crescita le coppie non coniugate, o unioni libere (1 milione e 453mila, 10,5% da 3,1%) e le coppie ricostituite coniugate, in cui almeno uno dei due partner proviene da un precedente matrimonio (863 mila, 6,2% da 2,6%). Sul territorio le coppie coniugate in prime nozze, pur in calo, rimangono più rappresentate nel Mezzogiorno mentre le unioni libere e le ricostituite coniugate crescono ovunque nel Paese, anche se sono più diffuse al Nord e al Centro. In particolare, le unioni libere e le ricostituite coniugate hanno incidenze doppie al Centro-nord (circa 12% e 7,4%) rispetto al Mezzogiorno (6,5% e 3,8%) ma vent’anni fa erano il triplo, nonostante i livelli più bassi. Le caratteristiche dei partner evolvono e sono differenti a seconda della tipologia di coppia. Le coppie coniugate hanno una struttura per età più invecchiata della media delle coppie; all’opposto quelle in libera unione sono mediamente più giovani: il 31,3% delle donne ha meno di 34 anni e il 30,7% è tra i 35 e i 44 anni, contro rispettivamente il 10,1% e il 19,5% del totale. Questa evidenza sembra confermare che la libera unione viene scelta dai più giovani come primo passo verso il matrimonio o come alternativa a esso. La diffusione delle unioni libere si riflette anche sulla genitorialità. Aumenta infatti molto l’incidenza delle coppie non coniugate con figli minori, dal 38,6% dell’inizio del millennio al 50,4%, mentre scende quella relativa al complesso delle coppie con minori (dal 41,2% al 36,6%). In vent’anni sono fortemente cresciute le donne in coppia con titolo universitario (dal 7,2% al 17,6%) o diploma superiore (dal 28,8% al 37,6%). Più modesti gli incrementi delle donne in coppia che si dichiarano occupate la cui incidenza eguaglia quella, in diminuzione, delle casalinghe (entrambe al 38% circa); crescono le donne in coppia in cerca di occupazione (6,4%), stabili le ritirate (14,6%).

Le coppie in cui i partner hanno lo stesso livello di istruzione sono maggioritarie ma in forte diminuzione (dal 74,2% al 64,9%) nei vent’anni presi in esame. Crescono, invece, le coppie in cui uno dei due partner supera l’altro: oggi il caso più frequente è quello in cui la donna ha un titolo di studio più alto (20,7% contro 14,4%) ma all’inizio del millennio accadeva il contrario (12,4% contro 13,4%). La diffusione delle coppie con donna più istruita dell’uomo è maggiore nelle coppie ricostituite coniugate (25,9% da 13,5% del 2001) e ancora di più nelle unioni libere (28,9% da 21,5%). Le coppie con donna fino a 64 anni in cui ambedue i partner si dichiarano occupati sono il 42,3%. Il trend di crescita delle coppie a doppio lavoro emerge solo per quelle in cui la donna ha tra 45 e 54 anni (da poco più di una coppia su tre a una su due). La situazione è rimasta più o meno la stessa di vent’anni fa per le coppie in cui la donna ha da 35 a 44 anni (circa il 52%) mentre è in deciso calo la percentuale di coppie in cui lavorano entrambi con donna tra i 25 e i 34 anni (da 51,3% a 46,5%). Tra le coppie non coniugate quelle in cui entrambi dichiarano di lavorare sono il 57,9% contro circa il 40% delle coppie ricostituite coniugate e delle coppie tradizionali. Le unioni civili tra persone dello stesso sesso, introdotte nel 2016, dopo una progressiva stabilizzazione (2.808 unioni nel 2018 e 2.297 nel 2019) subiscono un forte calo nel 2020 (1.539, -33,0% su anno precedente) che non è compensato dalla ripresa del 2021 (circa 2mila, -6,2% rispetto al 2019), accentuando la tendenza alla diminuzione già in atto.

La permanenza dei giovani nella famiglia di origine

Nel 2021 sono poco più di 7 milioni i giovani di 18-34 anni che vivono in casa con i genitori (67,6%), in aumento di 9 punti dal 2010, cioè prima che gli effetti della Grande recessione tornassero a far crescere la permanenza in famiglia. Rispetto al 2019, ossia prima della pandemia, la permanenza è cresciuta di 3,3 punti. Nel Mezzogiorno la situazione per i giovani in famiglia è più critica. Non solo perché in questa area del Paese sono relativamente di più quelli che vivono con i genitori (il 72,8% contro il 63,7% del Nord e il 67% del Centro) ma anche per l’alta incidenza di giovani in famiglia che si dichiarano disoccupati (35%), doppia rispetto al Nord (17%), e la contestuale bassa incidenza di quelli occupati (29% nel Mezzogiorno contro 46% nel Nord). Sul totale dei giovani occupati di 15-34 anni, nel 2021 un ragazzo su tre e quattro ragazze su dieci sono dipendenti a tempo determinato, più del doppio di quanto registrato sul totale degli occupati 15-64enni (15,7% tra gli uomini e 17,3% tra le donne).

La condizione degli anziani e il bisogno di assistenza

Nel 2019 circa 7 milioni di anziani (52,1%) sono autosufficienti nelle attività quotidiane di cura personale e della vita domestica: due su tre sono 65-74enni, il 54% uomini. Oltre 1,6 milioni vivono da soli e i restanti 5,3 milioni in famiglia, rappresentando una potenziale risorsa a sostegno di altri familiari. Sette “giovani anziani” di 65-74 anni su dieci sono completamente autonomi nelle attività di cura personale o della vita domestica; dopo gli 85 anni gli autonomi crollano al 13% mentre salgono a sette su dieci quelli con gravi riduzioni nell’autonomia (56,7% tra gli uomini e 77,9% tra le donne). Le persone anziane che vivono nel Sud e nelle Isole sono le più svantaggiate, anche a parità di età. Il gap si amplia per le donne: tra le ultraottantacinquenni quelle con gravi difficoltà sono il 74,4% al Nord e al Centro e l’85,5% nel Mezzogiorno.

Dei 6,4 milioni di anziani con limitazioni gravi o moderate il 33,7% dichiara di non sentirsi adeguatamente aiutato mentre l’aiuto è sufficiente per il 39% e non necessario per il 27,4%. In totale sono circa 4,6 milioni gli anziani con moderate o gravi limitazioni nella cura della persona o della vita domestica che dichiarano di aver bisogno di aiuto per svolgere tali attività. In Italia è la famiglia la principale rete di aiuti informali nell’assistenza agli anziani: il 43,2% degli anziani con ridotta autonomia si avvale in modo esclusivo del supporto dei propri familiari (sia conviventi che non conviventi), il 12,3% insieme ad altre persone che li aiutano, sia che si tratti di personale a pagamento (9,2% dei casi), sia di amici o volontari comunque a titolo gratuito (3%). Solo il 9,4% degli anziani con riduzione dell’autonomia è aiutato esclusivamente da persone esterne alla famiglia, di cui il 7,5% solo a pagamento. Il 5,3% dichiara di non ricevere alcun aiuto anche quando vive con altri familiari. In Italia sono circa 7 milioni le persone che si prendono cura, con frequenza almeno settimanale, dei familiari con problemi di salute dovuti all’invecchiamento o a patologie croniche. Quasi 1 milione si dedica invece all’assistenza di persone esterne alla famiglia. I caregiver hanno per lo più tra i 45 e i 64 anni; in questa classe di età sono circa una donna su quattro e circa un uomo su cinque. Anche gli anziani svolgono un ruolo attivo nelle reti informali: sono caregiver il 16,2% dei 65-74enni e il 10% circa degli ultrasettantacinquenni. Non di rado il supporto dei caregiver anziani (1,5 milioni, l’11% degli anziani) è rivolto a un familiare non autonomo, sia in casa (900mila) che fuori (600mila).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)