“Noi qui, i nostri figli al fronte. Viviamo nel terrore”, le voci della comunità ucraina in Italia

Sono oltre 230 mila gli ucraini che vivono stabilmente nel nostro paese, l’80 per cento sono donne che lavorano nei servizi di assistenza e cura. “Questa situazione è una follia, il prezzo da pagare è troppo alto per tutti”

“Noi qui, i nostri figli al fronte. Viviamo nel terrore”, le voci della comunità ucraina in Italia

“Mio figlio sta partendo per andare a combattere. E io sono qui che vivo ogni minuto nel terrore. L’unica cosa che vorrei è tornare a casa, a Kiev, stare vicino alla mia famiglia, ai miei nipoti, ma mi dicono che è impossibile arrivare in Ucraina”. Ina, 64 anni, da 22 in Italia, non trattiene le lacrime mentre racconta dei messaggi che arrivano costantemente sul suo cellulare: vocali, immagini, video, in cui si sentono gli spari, si vedono le città deserte e i rifugi di fortuna che i suoi connazionali stanno cercando per mettersi al riparo. “Chi ha una cantina o un garage ha chiamato i parenti e si è rifugiato lì - aggiunge -. Hanno portato cibo, acqua e valigie. A casa nessuno si sente più al sicuro. L’altro mio figlio è riuscito a scappare da Kiev e andare in una città vicina, ma tentare l’uscita dal paese è impossibile. Io sono terrorizzata, non riesco neanche a pensare cosa può succedere alla mia famiglia”. 

Quando è arrivata in Italia nel 2000, Ina pensava di restare qualche mese, mettere da parte i soldi e poi tornare. Sono passati anni, ha fatto tutti i lavori di assistenza e cura: “Mi occupo soprattutto degli anziani, come dite voi faccio la badante - spiega - ma mi è capitato anche di lavorare come baby sitter, nelle famiglie. Sono rimasta qui per aiutare la mia famiglia a distanza, tornando solo alcuni periodi. Ora non posso pensare di rimanere qui, distante mentre il mio paese vive giorni di orrore”. 

Anche Oxana, 50 anni lavora qui da quasi vent’anni con una ditta di pulizie. “Ieri mattina quando sono uscita per andare a lavoro il mio telefono è stato sommerso da chiamate e messaggi: ‘è iniziata’ mi ha scritto mia figlia. Mi sono sentita morire”. La famiglia di Oxana vive a Leopoli. “Domani mio genero partirà per il fronte - spiega - i miei nipoti hanno due anni e otto mesi. Non posso pensare a mia figlia sola a casa con questa angoscia. Questa situazione è una follia, il prezzo da pagare è troppo alto per tutti”. 

Da ieri la comunità ucraina in Italia è scesa in piazza ed è decisa a continuare con manifestazioni, sit in, appelli. Una comunità vasta e numerosa, dove la componente femminile è prevalente. Stando ai dati si tratta di circa 230 mila persone, al quarto posto tra le nazionalità dei migranti regolarmente soggiornanti nel nostro paese (dopo Marocco, Albania e Cina). Le donne rappresentano il 78,6% della popolazione ucraina in Italia contro il 21,4% di uomini. Un dato in controtendenza con la popolazione extra Ue nel nostro paese. Anche l’età media di 46 anni è un unicum nel panorama migratorio italiano, nettamente superiore a quella rilevata sul complesso dei cittadini non comunitari (34 anni). Il rilascio del permesso di soggiorno è legato principalmente a motivi familiari, seguito dai motivi di lavoro. Le condizioni occupazionali della comunità ucraina nel nostro Paese sono, infatti, relativamente migliori di quelle della popolazione non comunitaria complessiva, con una maggior quota di occupati e minori livelli di inattività. Il profilo prevalente tra gli occupati ucraini è quello di donne impiegate nel settore dei servizi, come personale qualificato nei servizi personali ed assimilati e con un grado di istruzione medio-alto. Donne dunque che lavorano come supporto nelle famiglie italiane, per l’assistenza ad anziani, disabili e non autosufficienti. E che rappresentano un tassello fondamentale del nostro welfare

“Siamo venute qui per lavorare, sappiamo quanto il nostro lavoro sia importante e riconosciuto - aggiunge Olga, 46 anni -. Ma oggi chiediamo la pace e che la comunità internazionale si attivi. Noi sappiamo di cosa è capace Putin, perché gli è stato permesso di arrivare a questo? Perché nessuno ha scongiurato quest’invasione? Noi continueremo a chiederlo e ad urlarlo finché avremo voce. Le nostre famiglie sono in pericolo. E’ in pericolo mia figlia, mia madre, mia sorella. Ma l’Unione europea deve capire che, nella realtà, siamo in pericolo tutti”. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)